MQ

"La natura è madre dolcissima".

L'accettazione dell'omosessualità  nel libertinismo italiano dei secoli XVI e XVII

di Giovanni Dall'Orto

Da: "Sodoma" nn. 5, primavera-estate 1993, pp. 27-41.

COMMENTO

Desidero ringraziare per l'aiuto prestatomi, in quella tela di Penelope che è stata la mia ricerca sul libertinismo, Giuseppe Panella e Walter Lupi, che cortesemente hanno discusso con me le mie opinioni sui libertini e le hanno "passate al vaglio". Questo saggio incorpora spunti e suggerimenti che mi vengono da loro.

La responsabilità per le affermazioni qui contenute, e specialmente per gli errori, è comunque interamente mia.

NOTE

1) Archivio di Stato di Venezia (ASV), "Santo Uffizio", Processi, "busta" 8, "pezza" 28; sentenza nella "pezza" 29.
1) René Pintard, Le libertinage érudit dans la première moitié du XVII siècle, Paris 1943. Reprint: Slatkine, Genève et Paris 1983.

2) René Pintard, Op. cit.; Alan Bray, Homosexuality in Renaissance England, Gay men's press, London 1982.
Incidentalmente: è buffo notare come gli studiosi del libertinismo cinque-seicentesco italiano e quelli del libertinismo sei-settecentesco francese ed inglese fatichino a vedere la continuità fra i due momenti principali del libertinismo.
Si veda per esempio il tentativo di sintesi fra le disparate definizioni di "libertinismo" circolanti oggi, operato da James Turner: The properties of libertinism, in: Robert Maccubin (a cura di), Unathorized sexual behavior during the enlightenment, numero speciale di "Eighteenth century life" IX 1985, pp. 75-87.
In questo saggio si osserva fra l'altro che certi studiosi collocano "the first major flourishing" del libertinismo molto precocemente: addirittura verso il... 1650! Cioè nientemeno che un secolo dopo la sua vera "prima fioritura", quella italiana.

3) Giorgio Spini, Ricerca dei libertini, La nuova Italia, Firenze 1983 (seconda edizione accresciuta e rivista).

4) Si veda Giorgio Spini, Alcuni appunti sui libertini italiani, in: Sergio Bertelli (a cura di), Il libertinismo in Europa, Ricciardi, Milano e Napoli 1980, pp. 117-124, che accusa i cattolici di avere usato "l'empia teoria della religione come impostura (...) a fine di bene, cioè per difendere il cattolicesimo". E aggiunge: "Non è affatto da escludere che proprio questo genere di polemiche abbia contribuito ad avallare e diffondere le ideologie libertine" (p. 121).
Uno sbalorditivo esempio d'uso di argomentazioni "libertine" nelle polemiche religiose è studiato da Valerio Marchetti, in: Nelle fabbriche dell'immaginazione antilibertina: Andrea Cardoini, Ibidem, pp. 169-180, a proposito di un'apologia cattolica contro Calvino, che dell'"eresiarca" avversario finisce per fare un diabolico impostore.
Dall'altro lato della barricata, l'uso di tematiche libertine per combattere la "superstizione cattolica" è esaminata per esempio da Giancarlo Carabelli, Libertinismo e deismo in Inghilterra, in: Tullio Gregory ed altri (a cura di), Ricerche su letteratura libertina e letteratura clandestina nel Seicento, La nuova Italia, Firenze 1981, pp. 407-416.

5) Stimolante sulla questione è il ricco intervento di Ornella Pompeo Faracovi, L'antropologia della religione nel libertinismo francese del Seicento, in: Tullio Gregory ed altri (a cura di), Op. cit., pp. 119-142.

6) Al proposito si veda fra l'altro Dino Pastine, L'immagine del libertino nell'apologetica cattolica del XVII secolo, in: T. Gregory, op. cit., pp. 143-173. Cfr. in particolare p. 153.

7) Come sottolinea Tullio Gregory, il libertinismo riconduce "a cause naturali gli interventi miracolosi, e offre i fondamenti di un'etica mondana, libera dai miti religiosi; sullo sfondo un distaccato relativismo scettico che si configura come rinuncia alla metafisica e alle visioni totalizzanti, rifiuto del dogmatismo e delle polemiche religiose, valorizzazione di un uso della ragione nell'orizzonte umano; (...) ovunque (...) un progressivo allontanamento dal sacro, la sua esclusione dalla storia, una riduzione dei riti e dei miti religiosi alla sfera dei comportamenti esteriori, pratici, politici". (Tullio Gregory, Il libertinismo della prima metà del Seicento, in: Gregory ed altri (a cura di), Op. cit., p. 6).

8) Sul punto vedi oltre il paragrafo: "Legge di natura e responsabilità morale".

9) Che l'anima muoia assieme al corpo era addirittura insegnato impunemente all'Università di Padova, uno dei capisaldi italiani del libertinismo, da Cesare Cremonini (1550-1631) sulle orme di Pietro Pomponazzi (1462-1525).

10) "Souvent on arrive à même fin par différentes voies; pour moi, je ne condamne point vos manières, chacun se sauve à sa guise, mais je n'irai point à la béatitude par le chemin que vous tenez". Bussy Rabutin, Roger de (1618-1693), Historie amoureuse des Gaules, Garnier, Paris 1868, vol. 2, p. 151 (prima edizione: 1665).

11) Questa morale fu condivisa da almeno una parte della società, al di là dei confini del libertinismo vero e proprio.
Giustamente Armando Marchi (introduzione a: Ferrante Pallavicino, Il corriero svaligiato, Università di Parma, Parma 1984, p. XXVII) nota per esempio come anche un Giovan Battista Marino (1569-1625) vi faccia riferimento nel suo Adone (1623) là dove dichiara: "e chi s'astien da quel piacer giocondo/ nega a Natura il suo devuto dritto" (Adone XX 429); ed anche: "Fallo non è, poi che d'Amor t'accendi/ furto non è, se quanto dài ti prendi" (idem XII 243).

12) Il libertinismo era insomma un atteggiamento filosofico che valutava positivamente la sessualità in tutte le sue manifestazioni. Grazie al suo influsso l'Italia di tre o quattro secoli fa era molto meno ascetica di quanto ci appaia ora.
Se oggi facciamo fatica a notarlo, lo si deve anche alla battaglia condotta dalla Controriforma contro l'opinione diffusissima secondo cui la "semplice fornicazione" (cioè il semplice rapporto sessuale non accompagnato da reati come incesto, stupro, corruzione di minori, sodomia e simili) non è peccato.
Questa opinione fu dichiarata e trattata come eretica, e ciò scoraggiò i nostri avi dallo scriverne o parlarne apertamente.
Ciò non toglie che questo convincimento restasse a lungo ben radicato nella mentalità popolare, a giudicare dalle lamentele dei predicatori cattolici. Si veda per esempio nel 1424 Bernardino da Siena (1380-1444), secondo cui certuni "dicono che la fornicazione e l'andare alle meretrici non è peccato mortale" (Le prediche volgari, a cura di Pietro Bargellini, Rizzoli, Milano s.d. ma 1936, p. 413), o nel 1474 Roberto Caracciolo (1425-1495) che si lamenta perché "molti (...) sono soliti dire che la lussuria non è peccato, perché l'atto sessuale è naturale e ad esso ci inclina la natura" (multi (...) dicere solent luxuriam non esse peccatum: quia actus eius est naturalis et ad illum natura inclinat; Roberto Caracciolo o "da Lecce", Sermones declamatorii, Venezia 1496, p. 83r).
Nonostante la rilevanza di questa tesi, non mi risulta che la sua repressione sia stata per ora studiata per quanto riguarda l'Italia. Che però sia esistita lo testimonia ad esempio il libro di Gustav Henningsen e John Tedeschi (a cura di), The Inquisition in Early modern Europe, Northen Illinois University press, Dekalb, Illinois 1986, p. 105, che accenna alla condanna in Sicilia da parte dell'Inquisizione di un uomo che aveva detto che "simple fornication is not sinful" (senza contare a p. 103 l'uomo condannato nel 1583 per aver detto che "anyone who was not a homosexual was not a real Christian", and on another occasion that: "A man who fancied men deserved to be worshipped").
Esiste comunque un'analisi di questa importante battaglia ideologica per quel che riguarda la Spagna: Bartolomé Bennassar (a cura di), Storia dell'Inquisizione spagnola, Rizzoli, Milano 1980, pp. 285-296 e passim.

13) "All thei that love not tobacco and boyes are fooles"; citato in: Alan Bray, op. cit., pp. 63-64.

14) Un eccellente studio della logica sottesa anticamente in area cattolica alle bestemmie, è quello di Luiz Mott, Maria, Virgem ou nâo? Quatro séculos de contestaçâo no Brasil, testo di conferenza (Luiz Mott, c/o Universidade Federal da Bahia, Dept.o de Antropologia, Estrada de S. Lázaro 197, 40000 Salvador, Ba, Brasile).
La matrice "libertina" di queste prese di posizione blasfeme appare in questo saggio evidentissima, soprattutto quando gli accusati sono di origine italiana.

15) Spini (Ricerca dei libertini, Op. cit, p. 126) riferisce anche il caso di Dionisio Ponzio, compagno di prigionia di Tommaso Campanella, da cui "Cristo (...) viene accusato di avere coltivato vizi nefandi".
E' importante notare che delle sei citazioni sull'omosessualità di Gesù che qui riporto, quattro appartengono a personaggi chiaramente omosessuali o accusati (come Marlowe) di omosessualità. Ne consegue che evidentemente la "bestemmia" libertina non è un tentativo di "insultare" il mondo del sacro (se così fosse stato i quattro omosessuali, lungi dal "giustificarsi", si sarebbero condannati da sé), ma semmai una strategia che cerca di riportarlo alla dimensione umana da cui è convinto che derivi.
"Gesù era un uomo, e aveva stimoli umani, come me", è il messaggio della bestemmia libertina, che va controcorrente rispetto a uno degli obiettivi della Controriforma: mettere in secondo piano gli aspetti umani del Cristo e dei santi.
Si noti che alla cultura dei secoli precedenti era familiare la discussione sulla presenza dello stimolo sessuale in Gesù, come elemento di prova della realtà della sua natura umana. Si veda al proposito Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell'arte rinascimentale, e il suo oblio nell'epoca moderna, Il Saggiatore, Milano 1986, stimolante anche per chi non vuole condividerne le analisi più estreme.

16) "That St. John the Evangelist was bed-fellow to Christe, that he leaned always in his bosom; that he used him as the synners of Sodoma". Citato in: Alan Bray, Op. cit., pp. 63-64.

17) "I am neither god nor angel - angels we know are sexless - but a man like any other. I love the Earl of Buckingham more than any other. Christ had his John and I have my Stenie".
Citato in: Jim Kepner, Becoming a people, The national gay archives, Hollywood 1983, p. 19.

18) "O Cristo era afeiçoado a Sâo Joâo porque dormiam ambos". Aggiungendo anche: "Se Sâo Paulo falou tanto nas molicies, é que alguma cousa obrara nelas", dando a entender que S. Paulo cometera o pecado de molicies", ossia: "se san Paolo ha parlato tanto delle mollities, è che qualcosa in quel campo avrà fatto, dando ad intendere che S. Paolo avesse commesso il peccato di mollities" (sodomia incompleta, NdR).
(Archivio Nazionale della Torre do Tombo, Lisbona, "Inquisiçâo de Lisboa", n. 10093). Il testo mi è stato cortesemente comunicato, come quello che segue, dal professor Luiz Mott di Bahia (Brasile).

19) "Nosso senhor Jesus Cristo era nefando, disse por outra palavra mais torpe e execranda". (Arquivo Nacional da Torre do Tombo, Lisbona, "Caderno do Promotor", n. 56).
"Nefando" era nel XVII secolo eufemismo comunissimo per "sodomita", esattamente come "diverso" oggi.

20) "Si la Madeleine avait eu quelque aventure galante avec le Christ; si, aux noces de Cana, le Christ entre deux vins, un peu non-conformiste, eût parcourou la gorge d'une des filles de noce et les fesses de Saint Jean, incertain, s'il resterait fidèle ou non à l'apôtre au menton ombragé d'un duvet léger: vous verriez ce qu'il en serait de nos peintres, de nos poètes". In: Oeuvres esthétiques, Garnier, Paris 1959, cap. IV, pp. 706-707

21) Si veda al proposito Ira Wade, The intellectual origins of the French Enlightenment, Princeton University Press, Princeton 1972, che non ho però potuto consultare.
Per fare un esempio citerò il caso di Denis Diderot (uno dei "padri" dell'Illuminismo) che riprende nel 1769 nel Sogno di D'Alambert (Rizzoli, Milano 1967, p. 88, capitolo "séguito della conversazione") la tesi secondo cui "tutto ciò che è, non può essere né contro né fuori della natura".

22) Per Federico II di Prussia: "Ce bon saint Jean, que pensez vous qu'il fit, pour que Jesus le jetât sur son lit?/ Sentez-vous pas qu'il fut son Ganymède?" (vedi: Oeuvres posthumes, Decker, Berlin 1788-1789 (tomi 15) tomo 12, "Le Palladion", chant 4, pp. 89-93).
Per Jeremy Bentham si veda la lunga citazione, datata 1817, in Louis Crompton, Byron and Greek love, University of California Press, Berkeley, Los Angeles, 1985, p. 278.
Per le affermazioni di Papini (in: Gesù peccatore, "Lacerba", 1912/1913) e per la polemica che ne seguì, fino alle aule di tribunale, cfr. Sebastiano Vassalli, L'alcova elettrica, Einaudi, Torino 1987.

23) Parlando di Charron, Tullio Gregory osserva come: "Contro un'etica servile legata alla paura dell'al di là, Charron afferma il valore di un comportamento che si fonda sulla natura e sulla ragione.
E' un ideale che il saggio rinuncia a comunicare ai più non solo perché è pretesa tipica del dogmatismo voler persuadere gli altri (...), ma soprattutto perché il saggio conosce la forza invincibile della coustume [i costumi, NdR], seconda natura che ha definitivamente corrotto la massa degli esprits foibles ["spiriti deboli", NdR] ai quali ben si addicono le briglie "di religioni, leggi, costumi, scienze, precetti, minacce, promesse mortali e immortali".
Il saggio, se non vuole "inviare la coscienza al bordello", dice efficacemente Charron, deve "lasciare il mondo là dove è"". (Tullio Gregory, Il libertinismo della prima metà del Seicento, in: Gregory ed altri (a cura di), Op. cit., p. 15).

24) Su Antonio Rocco sono già intervenuto con il mio saggio Antonio Rocco and the background of his "L'Alcibiade fanciullo a scola" (1652), in: Among men, among women (atti del congresso), Universiteit van Amsterdam, Amsterdam 22-26 giugno 1983, pp. 224-232 e 571-572 (che ho in buona parte riversato nel presente saggio). Ad esso, alla nuova edizione dell'Alcibiade, pp. 95-98 (vedi nota seguente), ma soprattutto al prezioso lavoro di Laura Coci, L'Alcibiade fanciullo a scola. Nota biobliografica, ("Studi secenteschi", XXVI 1985, pp. 301-329), rimando chi fosse interessato alla travagliata vicenda che ha portato all'attribuzione del libretto al Rocco.
Sull'ambiente culturale e letterario che lo circonda segnalo anche: Claudio Varese, Momenti e implicazioni del romanzo libertino nel Seicento italiano, in: Sergio Bertelli (a cura di), Op. cit., pp. 239-269; Albert N. Mancini, La narrativa libertina degli Incogniti. Tipologie e forme, "Forum Italicum", XVI, winter 1982, pp. 203-229.
Sull'effettivo valore ("di rottura" oppure "conservatore"?) degli intellettuali e scrittori libertini italiani di questo secolo è indispensabile la lettura di Armando Marchi, Il Seicento en enfer. La narrativa libertina del Seicento italiano, "Rivista di letteratura italiana", II 1984, pp. 351-367. Contiene preziosissimi spunti e idee.

25) Antonio Rocco, L'Alcibiade fanciullo a scola, Salerno, Roma 1988.

26) Archivio di Stato di Venezia, (ASV) "Santo Uffizio", Processi, Busta 103, "pezza" n. 3. Parzialmente pubblicato in Giorgio Spini, Ricerca dei libertini, op. cit., pp. 163-164 e 166-167.

27) ASV, ibidem, e Giorgio Spini, Op. cit., p. 163.

28) ASV, ibidem, e Giorgio Spini, Op. cit., p. 164.

29) ASV, ibidem.

30) ASV, ibidem, e Giorgio Spini, Op. cit., pp. 167-168.

31) Antonio Rocco, Op. cit., p. 51.
Questi brani burleschi si rifanno alla tradizioni di opere come quella Cazzarìa di Antonio Vignali de' Buonagiunti, scritta fra il 1525 e il 1526, che dedica un paragrafo altrettanto burlesco a spiegare "perché si chiami fottere contro natura il fottere le donne dietro" (pp. 67-68 della ristampa del 1984, Edizioni dell'elefante, Roma).
Questa stessa opera la ritroveremo (e non per caso) fra le mani di quel Francesco Calcagno di cui parlerò nel prossimo saggio. 32) Antonio Rocco, Op. cit., pp. 51-52.

33) Ibidem, p. 53.

34) Ibidem, p. 56.

35) Ibidem, p. 57.

36) Ibidem, p. 58.

37) Ibidem, p. 61. A proposito della concordanza fra l'attuale lettura fatta dai gay credenti dell'episodio di Sodoma e Gomorra e quella proposta da Antonio Rocco, mi si conceda una domanda.
La convergenza deriva dal fatto che l'approccio libertino al testo biblico era sostanzialmente corretto, al punto da permettergli di "vedere giusto" esegeticamente con parecchi secoli di anticipo, oppure dal fatto che i gay credenti stanno oggi tentando una lettura in qualche modo "libertina" della Bibbia?
Entrambe le risposte portano con sé interessanti corollari.

38) Ibidem, p. 62.

39) Ibidem, p. 63.

40) Ibidem, p. 74.

41) Jean-Paul Aron e Roger Kempf, Il pene e la demoralizzazione dell'Occidente, Sansoni, Firenze 1979.

42) Antonio Rocco, Op. cit., p. 59.
Si confronti un secolo e mezzo dopo il marchese de Sade: "L'uomo è forse padrone dei suoi gusti? Bisogna compiangere chi ne ha di particolari, ma non certo insultarlo: la sua è una colpa della natura; non è più responsabile arrivare nel mondo con dei gusti differenti, di quanto lo siamo noi di nascere storpi o ben fatti"
(La filosofia nel boudoir, Dedalo, Bari 1984, p. 27).
Incidentalmente desidero sottolineare che se è certo corretto leggere Sade sulla scorta delle idee di Rocco, non mi pare corretto il procedimento opposto, che invece è quello normalmente impegato. Anche da Laura Coci, che leggendo Rocco "alla luce della coscienza sadiana" (Antonio Rocco, Op. cit., p. 26), si lancia in opinabili elucubrazioni psicoanalitiche. (Coci sostiene ad esempio che "il disprezzo della donna proietta (...) L'Alcibiade verso l'universo sadiano" (Ibidem, p. 23). Sarà...).
Inaccettabile giudico poi (Ibidem, p. 27) una lettura di Rocco fatta attraverso un Sade a sua volta letto attraverso un Klossowski. Si tratta di una lettura di terza mano, e come tale non può che essere mistificante.
Concordo semmai con la posizione di Nino Borsellino, che nell'introduzione alla Cazzaria (Op. cit., pp. 26-27) osserva che "per omologare su quel metro [quello di Sade, NdR] la filosofia dell'Arsiccio [cioè Antonio Vignali, autore della Cazzaria, NdR] e la sua pratica sodomitica bisognerebbe elevare ad esponente l'edonismo immoralistico degli Intronati, tradurlo in Vizio, dargli il valore di un'entità sopraffattrice e capovolgere il senso attribuito alla natura, da Bene in Male. Il libertinismo accademico del Vignali vuole semmai professare un accordo con i disegni della natura".

43) Il libertinismo nel secolo XVIII maturerà verso l'omosessualità una notevole tolleranza, tale da spingere efficacemente verso la progressiva sdrammatizzazione del comportamento omosessuale, fino alla sua depenalizzazione, che inizia negli ultimi decenni del Settecento e trionfa nel Codice Napoleonico.

44) Gabriele Martini, pur con il suo fastidioso tono giudicatorio (che a p. 111 del suo libro lo porta ad invocare l'"indebolimento morale" del ceto dirigente veneziano, per spiegare il calo di condanne a morte per sodomia avvenuto nel XVII secolo: un brindisi per lui!) osserva che nel Seicento a Venezia "paradossalmente, una "cultura della devianza" potè attecchire proprio nel gruppo sociale delegato alla difesa dei valori istituzionali. Senza che in tale gruppo vi fossero forze sufficienti per reagire a tale fenomeno. [Sic!]
Fatte salve, quindi, alcune oggettive motivazioni di carattere giudiziario, viene spontaneo chiedersi se il calo qualitativo e quantativo dell'azione repressiva nei confronti della sodomia non fosse riconducibile anche al particolare clima morale e culturale vigente nel ceto dominante". (Gabriele Martini, Il "vitio nefando" nella Venezia del Seicento, Jouvence, Roma 1988, p. 111).

45) Cfr. i testi citati alla nota 4.

46) Un ottimo esempio di come gli studiosi italiani fatichino a liberarsi da un approccio moralistico al fenomeno è nel tono usato da Giorgio Spini nella citata Ricerca dei libertini, fra lo scandalizzato e lo sprezzante (di Dionisio Ponzio che non nascondeva la sua omosessualità dice ad esempio (p. 126) che "si vantava delle sue sozze imprese di omosessuale").
Ma anche a Laura Coci, (che pure ha ben presente lo sforzo del libertinismo per "fornire alla morale una motivazione autonoma": Antonio Rocco, Op. cit., p. 18) nell'introduzione all'Alcibiade scappa (p. 12) il nome di Satana, un'allusione all'eloquenza "demoniaca" del libertino Casanova, nonché al desiderio di aderire al Male di Sade...
Gabriele Martini, poi, nell'esaminare il Cremonini, afferma senza mezzi termini che "nella sua dottrina (...) c'erano i presupposti filosofici di atteggiamenti di immoralità pratico-teorica, destinati ad una grande diffusione tra il patriziato veneziano del Seicento" (Op. cit., p.105).
Né i turbamenti zitelleschi di Spini, né l'odore di zolfo evocato da Coci, né la liquidatoria identificazione tra "immoralità" e fenomeno libertino compiuta da Martini, permettono un approccio storico sereno al libertinismo.
Il quale non fu mai culto del Male e del diavolo, perché rifuggì il Male e la sofferenza, e del diavolo si fece beffe allo stesso modo che di Gesù; né fu immoralità perché fu ricerca di una moralità "altra".
Ricerca forse fallimentare (la cosa è però ancora tutta da verificare) ma degna, per uno storico, di rispetto, come qualsiasi altro oggetto di studio.

"La natura è madre dolcissima".

L'accettazione dell'omosessualità
nel libertinismo italiano dei secoli XVI e XVII


Nel suo libro Elementi di critica omosessuale (uno dei testi fondamentali del movimento gay italiano) Mario Mieli intitolò un capitolo di tema storico: "come gli omosessuali, di rogo in rogo, divennero gay".

Nel 1977 era essenziale, anche a costo di drammatizzare un po', riscoprire e denunciare le persecuzioni che nei secoli hanno colpito gli omosessuali: bisognava mostrare come per troppo tempo gli omosessuali fossero stati "minoranza oppressa", e quindi bisognosa di lottare per conquistare l'eguaglianza sociale.

Oggi invece, in un clima sociale più favorevole, diviene sempre più chiaro che è pericoloso leggere la storia gay solo come una sequenza di eventi che procede "di rogo in rogo".

I momenti di tolleranza non solo sono importanti, per la storia dell'omosessualità, quanto i momenti di repressione: in certi casi sono persino più importanti. Studiarli è perciò essenziale a una corretta comprensione della nostra storia.

Queste considerazioni iniziali servono a introdurre uno dei più interessanti fenomeni di tolleranza verso l'omosessualità della storia italiana: la corrente di pensiero nota come "libertinismo", che è la punta più alta di un generale atteggiamento tollerante verso l'omosessualità diffuso a partire dal Quattrocento. Trionfante in certi ambienti sociali nella prima metà del Cinquecento, riuscì a sopravvivere alla Controriforma per un paio di generazioni e, in alcuni capisaldi (fra cui Venezia e, soprendentemente, Roma (1) era ancora molto vivace oltre la metà del Seicento.

L'importanza del libertinismo nel campo dell'omosessualità è dimostrata dal fatto che ovunque ci siano in Italia, nei secoli XVII e XVIII, atteggiamenti favorevoli o anche solo non persecutorii nei confronti dell'omosessualità, o anche una semplice menzione priva di isteria, immancabilmente là ci sono libertini.

Anche in Francia o in Inghilterra i momenti e gli ambienti di massima tolleranza verso l'omosessualità rivelano la stessa dipendenza dalla diffusione di questa corrente di pensiero, costretta all'espatrio dalla repressione (2).

E quando più tardi l'Illuminismo cercherà di "farsi un'opinione" sul fenomeno omosessuale, sarà proprio nel libertinismo che troverà la risposta a molte domande, e opererà un saccheggio di idee a volte addirittura palese.

Caratteristiche del libertinismo

Vediamo allora di definire meglio questo fenomeno culturale e sociale.

Il libertinismo è una corrente di pensiero caratterizzata da una forte influenza delle antiche filosofie scettiche (pirronismo) e da un approccio materialista alla realtà. Alla sua formazione non sono però estranei, come è stato sottolineato da parecchi anni (3), sia la "polemica dei tre impostori" (che sarebbero Mosè, Gesù e Maometto) sia l'"aristotelismo eretico", tipici del tardo medioevo.

Un esame anche superficiale di questa corrente permette di notare che essa è composta da un insieme abbastanza eterogeneo di credenze, filosofiche in senso lato, e morali. L'eterogeneità di queste credenze non dipende dal caso, ma dal fatto che la spina dorsale del libertinismo è un atteggiamento scettico verso tutte le credenze comuni: non può infatti creare un nucleo di dogmi filosofici un movimento che quale unico dogma ha l'antidogmatismo.

Dunque, chi affronta il libertinismo deve avere sempre chiaro che non sta affrontando una scuola filosofica, ma piuttosto un atteggiamento mentale verso la realtà, un'area di pensiero. Questo spiega da un lato l'estrema complessità, fino alla contradditorietà, del libertinismo, e dall'altro spiega la sua estrema adattabilità e flessibilità, fino al doppio gioco del "nicodemismo".

Nonostante questa eterogeneità il libertinismo è comunque un'esperienza tutto sommato omogenea, nel senso che in tutte le sue espressioni è centrale almeno uno dei suoi elementi caratteristici: credenza nella mortalità dell'anima, teoria della religione come impostura, scetticismo e relativismo morale, elemento quest'ultimo che porta a un atteggiamento positivo nei confronti della sessualità, in tutte le sue espressioni.

La duttilità del libertinismo è dimostrata clamorosamente dalla presenza di atteggiamenti libertini persino all'interno della polemistica religiosa dei secoli XVI e XVII (in particolare là dove le sètte cristiane si accusavano a vicenda di essere opera di impostori) (4).

Non necessariamente il libertino è però ateo: spesso è deista ("possibilista"), o addirittura onesto credente (cattolico o protestante, fa lo stesso) che non ha fiducia nelle pratiche religiose esteriori (5).

Ciò non toglie che l'atteggiamento scettico nei confronti della religione mobilitasse contro il libertinismo vaste campagne di propaganda cristiana, tanto nel campo cattolico che in quello protestante. L'attuale uso della parola "libertino" come sinonimo di "personaggio immorale e dissoluto", non è altro che l'eredità di queste campagne denigratorie (6).

Tipica tesi libertina è, come già detto, quella secondo cui tutte le religioni sono opera di astuti impostori, che hanno sfruttato la credulità del popolo ignorante per terrorizzarlo con favole e miti, sottomettendolo così al loro potere.

Da questa premessa consegue che non esiste un codice morale "rivelato" da una divinità (ad esempio il codice morale cristiano). Il solo codice morale non arbitrario è quello che l'uomo colto riesce a costruire per mezzo della Ragione, attraverso la ricerca della Virtù e della Verità (7), che lo porta infine a scoprire e seguire la "legge di Natura" (8).

Tutto ciò comporta nel libertino il secco rifiuto di qualsiasi proibizione di comportamento basata solo su imperativi "rivelati" da una qualsiasi "sacra scrittura". Soltanto la Ragione può proibire certi comportamenti: quelli contrari all'equità e all'umanità.

La morale libertina è perciò squisitamente razionale e laica: gli imperativi morali non nascono da un imperativo religioso, ma dalla comprensione della necessità di regole per un ordinato e giusto vivere civile.

Se a quanto appena detto si aggiunge che fra i libertini è diffusa la credenza nella mortalità dell'anima (9), identificata in un principio vitale destinato a scomparire assieme al corpo che ha "animato", si comprendono le radici della loro tipica morale sessuale.


Natura e contro-natura

La morale sessuale del libertinismo è estremamente aperta nei confronti del comportamento omosessuale, che se non viene necessariamente approvato, non è neppure condannato.

Si può considerare paradigmatica l'affermazione di un libertino francese che, dopo aver sorpreso un amico a letto con un uomo, dichiara: "Spesso si arriva allo stesso fine per vie differenti; quanto a me, io non condanno affatto i vostri costumi, ciascuno si salva a modo suo, ma non andrò certo in Paradiso per la strada che seguite voi" (10).

Il fatto è che secondo i libertini la Natura ha provvisto l'uomo degli organi sessuali affinché se ne serva, essendo madre affettuosa e benigna, e non crudele.

L'uomo non è nato per soffrire, ma per godere dei piaceri a cui può darsi senza nuocere ai suoi simili.

Poiché all'uomo spetta una sola vita, quella terrena, non c'è ragione di soffrire in cambio di una ricompensa ultraterrena che non esiste (11).

Per queste ragioni il libertino non può non valutare in termini positivi la sessualità umana, ivi comprese le sue manifestazioni omosessuali (12). Il rapporto omosessuale ha, sul piano morale, la medesima dignità di quello eterosessuale o, per dirla più correttamente, la medesima irrilevanza.

La condanna biblica alla sodomia è per lo "spirito forte" (così i libertini definirono se stessi, in contrapposizione agli "spiriti deboli" vittime della superstizione) l'ennesima impostura. In realtà non può esserci nulla di male nel servirsi degli organi genitali per trarne un piacere che la stessa Natura ha reso possibile. Non può essere infatti "contro natura" ciò che avviene grazie all'opera e l'incitamento della Natura.

La famosa dichiarazione attribuita a Christopher Marlowe (1564-1593), secondo cui "tutti coloro che non amano il tabacco e i ragazzi sono pazzi" (13), esprime sinteticamente l'approccio libertino alla questione: bisogna essere "pazzi" per non apprezzare i piaceri che la vita ci offre!


La favoletta di Gesù sodomita

Dalle premesse appena esaminate emerge che il libertino tende a ridurre sistematicamente alla dimensione umana ciò che lo "spirito debole" attribuisce al sovrannaturale.

In questo sforzo inciampa contro l'onnipresenza, nella società in cui vive, della mitologia sacra. Come resistere quindi alla tentazione di "desacralizzare", riconducendoli alla realtà umana, i personaggi della storia santa, attribuendo loro difetti e desideri umani (anche sessuali)? Ecco nascere così quelle terribili e pittoresche "bestemmie" che tanto sconvolsero le Chiese antiche (14).

Fino a che punto il comportamento omosessuale facesse parte, per il libertino, della realtà umana, lo dimostra la tesi tipicamente libertina che sostiene che Gesù Cristo e san Giovanni evangelista furono amanti.

Troviamo già questa affermazione nel 1550 fra i capi d'imputazione del processo contro Francesco Calcagno che è pubblicato a séguito del presente saggio (15).

Nel 1593 ricompare nell'atto di accusa contro Christopher Marlowe, che avrebbe detto "che s. Giovanni evangelista era compagno di letto di Cristo, che giaceva sempre sul suo petto; che egli usava di lui come i peccatori di Sodoma" (16).

Dal suddito al re, la tesi riappare in bocca a re Giacomo I d'Inghilterra (1566-1626) per giustificare il suo amore per lord Buckingham: "Non sono né dio né angelo - gli angeli sappiamo che sono privi di sesso - ma un uomo come chiunque altro. Amo il conte di Buckingham più di chiunque altro. Cristo aveva il suo Giovanni, ed io ho il mio Stenie" (17).

Da un Paese protestante a uno cattolico (il libertinismo scavalca le barriere religiose): nel 1618 il sodomita Miguel Figuereido, 24 anni, è accusato a Lisbona di aver detto che "Cristo era molto attaccato a San Giovanni perché andavano a letto insieme" (18).

Da un continente all'altro: nel 1685 il principale poeta del Brasile coloniale, Gregório de Matos e Guerra, chierico, è accusato di aver detto che "nostro signore Gesù Cristo era "nefando", ma lo disse con un'altra parola più turpe ed esecrabile" (19).

Infine da un secolo all'altro, a dimostrazione della continuità esistente fra certe tematiche del libertinismo e quelle dell'illuminismo. Nel 1766 nell'Essai sur la peinture Denis Diderot (1713-1784), parlando dell'ipocrisia con cui si raffigura in pittura la beltà del corpo umano, afferma: "se la Maddalena avesse avuto qualche avventura galante con il Cristo; se, alle nozze di Cana, il Cristo fra un vino e l'altro, un po' "non-conformista", avesse sfiorato il seno di una delle damigelle, e le natiche di San Giovanni, incerto se restare o no fedele all'apostolo dal mento ombreggiato da una peluria leggera, voi vedreste cosa ne sarebbe dei nostri pittori, dei nostri poeti" (20).

Se un'idea tanto blasfema riuscì a sopravvivere a due secoli di persecuzione inquisitoriale, quante altre idee libertine sono riuscite a sopravvivere anch'esse, travasandosi prima nel calderone illuminista, e da qui poi nel pensiero dei nostri giorni (21)?

Ho compilato questa lista di citazioni (a cui si potrebbe aggiungere, se non fossero ormai al di fuori dei limiti temporali fra cui mi sto muovendo, Le palladion di Federico II di Prussia (1712-1786), un manoscritto di Jeremy Bentham (1748-1832) in difesa dei "pederasti", via via fino a Giovanni Papini (22)), per mostrare come quelle che a prima vista sembrano sfoghi estemporanei di un individuo si rivelano (col ripetersi in differenti epoche, classi sociali, nazioni e ambienti religiosi) espressioni di un modo di pensare coerente.

Il libertinismo, appunto.


Libertinismo e società

Sarebbe ovviamente assurdo pensare che la società, presa di mira dalle bordate blasfeme dei libertini, si limitasse a subire senza reagire. La propaganda antilibertina fu sempre massiccia e capillare.

L'eterodossia in campo sessuale, in particolare, fu sfruttata dagli avversari del libertino per presentarlo come un mostro di lussuria, un individuo privo di morale capace di qualsiasi scelleratezza pur di garantirsi i godimenti carnali.

In realtà il tipico libertino fu sempre rispettoso delle leggi, per quanto possibile. Convinto di appartenere a una élite di pochi illuminati (e veramente il libertinismo fu all'inizio fenomeno soprattutto urbano e delle classi medie e alte) in un mondo su cui regnano ignoranza e stupidità, lo "spirito forte" non intende creare scandalo fra le masse troppo ottuse per capire le ragioni del suo comportamento.

Il libertinismo è così, di fatto, anche un atteggiamento intrinsecamente conservatore (non a caso Antonio Rocco (1586-1652), autore del celebre Alcibiade fanciullo a scola, fu accanito avversario di Galileo Galilei), perché ritiene che le masse ignoranti, incapaci di tenere al guinzaglio con la Ragione i peggiori istinti animali, necessitino del freno costituito dalla religione e dalla superstizione (23).

Per questo nei confronti della religione l'atteggiamento del libertino è d'indulgenza divertita, o al più di beffa blasfema (la bestemmia!), ma non di contrapposizione aperta e programmatica. La superstizione, per quanto sia un male, è un male necessario.

Così come necessario è il nicodemismo (cioè la devozione puramente esteriore alle pratiche religiose care ai più), che non sempre è ipocrisia, anzi spesso è solo desiderio di non scandalizzare i cervelluzzi degli "spiriti deboli".

Un esempio: Antonio Rocco (1586-1652)

Dopo aver enunciato le più diffuse convinzioni libertine in materia di sessualità, cerchiamo di esaminarne un caso concreto (24).

Ho scelto un esempio celeberrimo ma poco studiato, quello di un libro ripubblicato di recente dopo aver costituito per secoli una rarità bibliografica: L'Alcibiade fanciullo a scola del già citato Antonio Rocco, scritto verso il 1631 ma pubblicato nel 1651 (25).

Sul fatto che il sacerdote Antonio Rocco fosse un libertino impenitente esistono pochi dubbi: per lui parla la collezione di denunce (cinque fra il 1635 e il 1652) che l'Inquisizione veneziana raccolse a suo carico, senza però riuscire ad arrestarlo a causa delle protezioni "in alto loco" di cui egli godeva (26).

Esaminandole si scopre che nel 1635 una "persona di zelo christiano" avvisò l'Inquisizione che in una riunione dell'Accademia degli Incogniti, di cui Rocco faceva parte, egli "nel suo discorso portando [citando, NdR] la scrittura di S. Paolo che si lamentava del stimolo della carne, al qual essendoli risposto sufficit tibi gratia mea [la mia grazia ti è sufficiente, NdR], espose e interpretò che detta gratia del Signore era la delettation carnale che l'huomo riceve nell'atto venereo, della qual espositione fù ponto e ripreso altamente all'hora da un Padre di S. Francesco ivi presente, che fù sentito da tutti gl'Accademici et auditori" (27).

Nel 1648 un certo Enrico Palladio, malato, confessa a scarico di coscienza di aver frequentato il Rocco, il quale "signor Rocco spesso ci domandava quanto tempo era che havevamo usato carnalmente ò naturalmente ò contra natura, e noi gli dicevamo alle volte di si, et egli soggiungeva, havete fatto bene, perché quello instrumento è stato fatto dalla natura, perché noi ne habbiamo i nostri gusti e diletti" (28).

Più lapidaria è la dichiarazione della "vilissima pecorella, anima christiana" datata 1652: "il Rocco non crede niente" (29).

Per la "vilissima pecorella, anima christiana" dell'ultima delle denunce collezionate dal Rocco, non ci sono dubbi: egli è un propalatore di dottrine irreligiose, sebbene "sapendo tutti che lui non dice Messa e vive come atheista non puòl far tant'impressione" (30).


L'Alcibiade fanciullo a scola

Se si passa dalle denunce private all'Alcibiade fanciullo a scola si nota senza difficoltà come la mentalità di fondo sia esattamente la stessa.

Il libro descrive come il maestro di scuola Filòtimo cerchi di convincere il giovane Alcibiade a cedere alle sue voglie, riuscendoci.

È un'opera importante per la storia dell'omosessualità perché in essa, partendo da un tema volutamente "ostico" e "impossibile, appena appena ricoperto dalla facciata di un "libretto da Carnevale", il Rocco esplora come sottrarre al controllo della morale sociale il comportamento sessuale (in questo caso omosessuale), per scoprire uno spazio individuale di coscienza, il quale sia in accordo con la Natura.

Alcune argomentazioni sono burlesche (come quando Rocco spiega che la sodomia è "contro natura" solo perché si pratica di contro (ossia dalla parte opposta) la natura, che in buon toscano significava e significa tutt'ora "organo genitale" (31).

Altre sono invece del più puro filone libertino. "Sono naturali", afferma il maestro, "quelle opere a cui la natura ci inclina, de' quali pretende il fine e l'effetto. Se adunque è natural inclinazione veder de' bei fanciulli, come sète voi contra natura? (...) Stimate voi la natura così improvida? È forse ìnvida al nostro bene? Impoverisce ella nelle delizie nostre? Gli si rubba cosa ch'ella non voglia? Se il tutto ha fatto per noi, il tutto a sua gloria è ragionevole che si goda da noi. Chi non si serve de' suoi doni la dispreggia; chi non mette in esecuzione le sue invenzioni si disnatura e gli diventa ribelle, onde merita d'esser tolto di vita; ella ne somministra il piacere, perché godendo noi la celebriamo per cara, provvida, ricca e cortesissima madre" (32).

E ad Alcibiade che obietta che così facendo si perde di vista la procreazione, il maestro ribatte: "Ma che? Forse sempre si prendono o devono prender i piaceri amorosi per generare? S'averà d'aver tanti figlioli quanti diletti carnali? Son follie lontane dal vero sentimento e dal giusto". Senza contare che non "mancano di quei che più a loro [alle donne, NdR] che a' fanciulli inclinano" (33).

E quando Alcibiade si fa scudo della legge, il seduttore non si lascia sorprendere. "Che le leggi d'alcuni popoli", afferma, "lo vietano, non è che in se stesso non sia buono. Aggiustano costoro le leggi a' suoi interessi; non sottomettono gl'interessi al giusto. (...) Hanno così fatti ordeni riguardi [tali regole hanno riguardi, NdR] piutosto agl'interessi di stato e di politica, che a dittami della ragione, all'inclinazione della natura; anzi, sopra questa maledetta ragion di stato gran parte delle umane leggi e le religiose stesse si fondano, talché alcune di loro esecrabili sono dal sciocco volgo stimate venerabili e sacrosante" (34).

In altre parole, la legge è mossa dalla ragion di Stato, cioè dall'opportunismo di chi regge il potere, e non dall'inseguimento della giustizia. Eppure a queste leggi e queste religioni, spesso volubili e crudeli, la gente prepone l'onore e la vita. In conclusione Filotimo chiede al discepolo: "Vi paiono elle giuste?" "Anzi, irragionevoli e pazze" rispose il fanciullo Alcibiade. "Nondimeno - ripigliò il maestro - canonizzate dall'uso, stabilite dal timore e autenticate per vere non meno dalla simplicità de' creduli che dalla severità di chi regge, sono per giustissime mantenute" (35).

Ad Alcibiade resta solo un appiglio: la legge divina. Ma anch'esso è rapidamente demolito dall'implacabile maestro, che gli mostra come "legge divina" non sia altro che un nome di comodo, applicato da chi detiene il potere alle leggi che promulga per indurre la gente ad obbedirle.

"Coloro a' quali, per loro privati interessi, è parso vietare questo diletto, stimando che li giudiziosi s'opponessero al vero, che le sue leggi fossero a ragione neglette, il caduco delle lor posizioni hanno cercato fulcire nel immutabile dell'apparente auttorità di Dio. Ove è manco [meno, NdR] di vero, ivi s'apportano più giuramenti, e per far credibile il falso si meschiano le cose profane con le sacre. Si vince la mente pura con l'attrocità delle pene e de' tormenti" (36).

Nel caso del racconto di Sodoma, Rocco escogita una spiegazione che, se non fosse oggi molto in auge fra i gruppi dei gay credenti, potrebbe essere definita "comica". Il racconto di Sodoma e Gomorra e la proibizione biblica furono escogitate, spiega Filotimo, per favorire la procreazione nel piccolo e minacciato popolo ebraico.

Ma "l'auttor di questa invenzione", che attribuì a Dio la proibizione di amare i maschi, finì col contraddirsi, perché "parendogli esser troppo rigore di porre in precetto quel che aveva inventato per amplificazione e per terrore nelle sue leggi scritte, non dice che per l'uso simplice de' fanciulli fossero le predette città sommerse, ma perché erano impie, crudeli, avare, rapaci, violente; e che l'ultimo della loro ruina fu la violenza che volsero [vollero, NdR] usare agl'angeli. E così mancò poco che non ritrattasse con questa limitazione quel che pareva di voler vietare del tutto: fu dunque castigata la violenza, non il piacere; la crudeltà, non l'amore; l'inumanità, non gl'amplessi" (37).


Legge di natura e responsabilità morale

Questa è la critica che Rocco muove alle leggi umane e divine. Ma bisognerà allora vivere senza leggi? Il libertino è davvero un lussurioso sfrenato che, come Sade, non bada a nulla pur di godere? Niente affatto. Il libertino obbedisce alle leggi di Natura, le sole ad essere rette e giuste.

Quali sono? Lo spiega il maestro di Alcibiade: "Chiamo leggi di natura (...) quelle che dal lume dell'intelletto sono a ciascuno degl'uomini, di qualsivoglia setta o nazione, naturalmente, senza artificio, sino dalla culla inserte; e approvate con universal consenso da tutti, e da' più savii e da' più giusti. In due parti principali si dividono: l'una conscerne [concerne, NdR] l'onor di Dio, l'altra la benevolenza ed equità del prossimo" (38).

Ora, accettare un rapporto omosessuale non va contro le leggi di natura. "Si è qui offeso il prossimo? Chi direbbe queste pazzie? E se dal libero albitrio, dono regale di Dio, dipende il volere e poter far ciò che piace del suo, perché non si può di questo? (...) Chi è tiranno sì empio che donando la libertà ad un suo servo gli proibisca l'uso? Ci averà dunque fatti liberi Dio perché siamo schiavi delle nostre passioni e dell'eccesso sregolato di esse? Egli dunque, nella tempra che ha data al nostro frale [alla nostra fragilità, NdR], vedrà languire le cagioni, riprenderà quel ch'è suo? O forse ha pena del nostro bene? Invidia il nostro diletto?" (39).

Ecco il segreto del libertino. Il suo comportamento deve essere regolato non da leggi imposte dall'esterno, ma dalle leggi di natura che egli porta impresse dentro di sé, leggi che gli dicono di evitare non l'amore omosessuale, ma piuttosto "la schiavitù delle passioni e l'eccesso sregolato di esse". Anche in campo sessuale.

Rifacendosi alle spiegazioni "scientifiche" dell'epoca (che vedevano nello sperma una forma di "sangue molto raffinato", per così dire "distillato" dall'organismo) e chiamando in causa la teoria degli Umori cara alla medicina antica, il maestro spiega che: "Il cazzo deve esser moderato, perché l'eccesso, privandoci della più pura e spiritosa sostanza, ci estenua, ci dissecca e consuma. E ben spesso in loco di seme si manda fuori sangue vivo, si distilla il cervello, si discipano i spiriti: onde si cangia figura e colore, e s'accellera [sic] velocissimamente la morte, perché la natura, intenta più alla conservazione della specie che del individuo, mette ogni sforzo a preparar materia per la generazione, sì che dato fuori il seme ne apparecchia subito dell'altro, e ne toglie la materia dal sangue più puro, onde ne rende vuote le vene e le parti più principali e più vitali" (40).

Strana tesi, che sfugge dalla teologia per porre nella biologia le ragioni ultime della temperanza sessuale. Strana, ma non sterile, se ancora nel XVIII e XIX secolo sarà nella fisiologia che la morale laica cercherà di radicare i suoi interdetti sessuali.

Pensiamo a un personaggio come Tissot. Visto alla luce di queste affermazioni di Rocco ci apparirà non più come un precursore della morale borghese dell'Occidente, quale ce l'hanno presentato i vari Aron e Kempf (41), ma piuttosto come un epigono del tipo di morale propugnata dai libertini. Un motivo in più per guardare al libertinismo con interesse.

Un interesse che non può non aumentare nel rendersi conto del fatto che Rocco nel suo libretto non si è limitato a esibire l'armamentario polemico del libertinismo nei confronti delle leggi morali e religiose.

Rocco ha aggiunto pure un richiamo al diritto a vivere ciascuno secondo le proprie "inclinazioni" (oggi diremmo "tendenze") innate, che ci appare modernissimo e vicinissimo alle nostre aspirazioni: "Se l'orologio ha [riceve, NdR] il moto dalle ruote e dalli contrapesi che gl'ha dati l'artefice, sarà difetto d'esso orologio che batta l'ore a questo tempo o in un altro?

Le inclinazioni sono contrapesi datici dalla natura e da Dio, chi segue quelli non s'allontana dai propri principii, non fa contro l'istitutore" (42).

Non avendo noi scelto le nostre tendenze innate, dichiara insomma Rocco, non possiamo andare contro la natura o contro Dio che con quelle tendenze ci hanno creato. Può darsi che gli altri giudichino l'omosessuale come un orologio che batte le ore nel momento "sbagliato". Ma se anche così fosse, essendo stati Dio e la natura a costruirlo in modo tale che egli batta le ore in quel modo e non in un altro, come può egli avere una qualche colpa?

Non c'è bisogno di sottolineare come una filosofia capace di riflessioni di questo tenore permettesse sorprendenti spazi di giustificazione e tolleranza nei confronti del comportamento omosessuale (43).

Al punto che oggi gli storici iniziano a chiedersi se laddove essa prevalse non abbia ostacolato la persecuzione dei "sodomiti" (44).


Sorte del libertinismo

Inizialmente forte nel XVI e XVII secolo in Italia, il libertinimo fu perseguitato con accanimento dalla società della Controriforma e ridotto, almeno nelle sue manifestazioni più evidenti, a corrente sotterranea, clandestina.

Il ridimensionamento del libertinismo italiano non significò comunque la sua fine: la "mala pianta", prima di essere tagliata, era riuscita a spargere i suoi semi in Inghilterra e Francia, dove si osserva nel XVII secolo quella fioritura eccezionale che darà vita al libertinismo "classico" che tutti conoscono (quello del XVIII secolo).

La vera decadenza iniziò semmai quando nel XVII secolo l'evoluzione del pensiero occidentale lo mutilò della sua speculazione scientifica (incapace di staccarsi dall'aristotelismo) e propose a partire da Galileo e Cartesio fino a (soprattutto) Hume un approccio al materialismo più produttivo.

Questa "mutilazione" si rivelò benefica, portando alla ribalta quella che era sempre stata la carta migliore della corrente libertina: la riflessione nel campo dell'etica. Qui il libertinismo rimase produttivo sino all'avvento dell'Illuminismo, di cui costituì una delle radici e da cui fu rimpiazzato.

Tipiche argomentazioni e tipici atteggiamenti libertini riemergono, come si è già detto, negli scritti degli illuministi; e ancora a XVIII secolo avanzato un approccio coerentemente libertino si trova nelle opere del marchese de Sade.

E' però proprio questo autore a marcare la fine del libertinismo, che in lui diviene esattamente ciò che i suoi avversari lo rimproveravano di essere: la ricerca del piacere (riservata a un'élite) che non si ferma di fronte a nulla, neppure alla sofferenza altrui. Un atteggiamento ben lontano dalle esigenze di equilibrio e urbanitas delle prime manifestazioni libertine, e certo inconciliabile con quelle "leggi di natura" che il libertinismo inseguiva, e la rivoluzione francese si sarebbe sforzata di incarnare.

Con Sade ciò che era nato da un'esigenza di massimizzare il godimento dell'unica esistenza che è dato a vivere all'uomo, e quindi da un atteggiamento positivo e gioioso nei confronti della vita, diviene ricerca di piacere che può essere foriera di sofferenza e morte, come nelle Centoventi giornate di Sodoma.

Giunto a questo punto di non-ritorno il pensiero libertino non poteva non essere condannato a spegnersi definitivamente.

La Rivoluzione francese sconvolse per sempre il tessuto sociale (aristocratico) in cui il libertinismo manteneva le sue ultimi propaggini: dopo questo evento esso si può considerare estinto.


Libertinismo popolare

L'esposizione dei capisaldi del pensiero libertino che ho appena fatto non può rendere conto del suo significato di fenomeno sociale.

Se infatti per definizione il libertino è una persona colta (cioè - dati i tempi - o ricca o di condizione sacerdotale), le sue idee e il suo stile di vita non si fermano agli "happy few", vuoi perché lo stile di vita delle élite affascina sempre il resto della popolazione, vuoi perché alcune delle affermazioni più comuni riuscirono a diventare "buon senso comune" prima che la Controriforma riprendesse saldamente il controllo.

Né si può sottovalutare il ruolo che ebbero le lotte e le guerre di religione, mettendo in scena innumerevoli Chiese ciascuna delle quali condannava tutte le Chiese (meno se stessa) come frutto di impostura (45).

In questo clima è comprensibile che molti (anche nel "popolo basso") fossero indotti a concludere che tutte le religioni (nessuna esclusa) sono frutto di impostura, e fossero quindi spinti nelle braccia di visioni della vita più o meno "libertine". Magari rozze, o prive dei raffinati panni filosofici ostentati dai philosophes libertini.

Per questi ed altri motivi il libertinismo poté essere in Italia fenomeno in parte "popolare", o comunque più "popolare" di quanto non sia stato in Francia o Inghilterra.

Accanto alla forma "filosofica" (che è la sola fino ad oggi esaminata dai ricercatori) di chi aveva studiato antichi filosofi greci, esiste anche una versione "vulgata" che si esprime soprattutto nel dileggio delle autorità religiose e del rispetto ad esse dovuto, nell'adesione a una morale laica e possibilista, e - questo è il campo che ci interessa - in una visione positiva della vita e dei suoi piaceri. Questo atteggiamento vede la sessualità come un aspetto buono della vita (e non come un elemento di perdizione).

Questo disdegnato libertinismo "spicciolo" si esprime in una miriade di piccoli gesti di scherno contro la religione, che vanno da elaboratissime bestemmie alla profanazione di immagini sacre, ma che ha la sua manifestazione più importante nella impunità e facilità con cui i libertini potevano manifestare in pubblico le loro idee, nonché i loro comportamenti sessuali eterodossi.

Un eccellente esempio di questa facilità si ha nel processo a Francesco Calcagno pubblicato di seguito al presente saggio.


Conclusione

Quanto detto fin qui rappresenta, è ovvio, solo un approccio generalissimo al problema dell'influenza del libertinismo sulla morale e sul comportamento sessuale dei nostri avi.

Il fatto è che al mosaico mancano ancora numerose tessere. Se l'interesse per il libertinismo è recente (data solo dall'ultimo dopoguerra), quello per la tematica erotica nel libertinismo non ha mai preso il volo.

Troppi studiosi hanno dato per scontato che si sapesse già tutto della morale sessuale dei libertini (cosa poteva essere, se non "libertina"?) o che comunque fosse priva di interesse: giusto un pretesto per darsi alla dissolutezza (46).

Al contrario un esame diretto anche superficiale (quale è il mio) rivela che l'atteggiamento libertino fu più sfumato, più sano, più equilibrato di quanto ci si aspetterebbe.

Gli avversari del libertinismo hanno perso la guerra contro i "liberi pensatori", ma hanno vinto la battaglia d'immagine, sono riusciti a convincerci, forse per colpa di Sade, del fatto che il libertino fosse un gaudente che badava solo al proprio piacere egoistico.

Ci hanno così impedito di vedere in lui anche un precursore, l'autore di un tentativo di morale laica, un tentativo di trovare in se stesso, nella propria umanità, le ragioni del rispetto verso gli altri esseri umani.

Non sto cercando di fare del libertino il precursore dell'"uomo moderno": non lo fu. Sommando nicodemismi e ipocrisie belle e buone ci si accorge che sotto sotto al libertino andava bene la società di cui pure si faceva beffe.

Fare di lui un rivoluzionario sarebbe eccessivo. Come si vedrà, Francesco Calcagno, che pure si faceva beffe della Chiesa cattolica e delle sue credenze, non cessò per questo di celebrare messa, pur non avendo il diritto di farlo. Un atteggiamento contraddittorio al massimo grado.

Eppure liquidare il libertinismo come un figliolo appena un po' scapestratello della Controriforma cattolica, come ha fatto il protestante Giorgio Spini, è decisamente riduttivo.

Tanto più che per quello che riguarda il tema omosessuale, fra le pieghe di queste contraddizioni il libertino fu capace di trovare le motivazioni di una sostanziosa tolleranza verso tutti i "diversi", influendo sul pensiero occidentale nel senso di addolcirne l'atteggiamento anti-omosessuale.

Questa non sarà forse la Rivoluzione nel senso in cui avrebbe potuto concepirla un Marx, tuttavia è già molto di più di quello che si accontenterebbero di avere molti omosessuali al giorno d'oggi.

E' forse poco?



L'Archivio di Storia Gay e Lesbica è a cura di Giovanni Dall'Orto

Tutti gli articoli qui pubblicati appaiono per gentile concessione degli autori.
© dei singoli autori e di MondoQueer.