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Suor Juana Inés de la Cruz (1648/51-1695). Il sogno infranto

di Maria G. Di Rienzo

(apparso su "Babilonia" n.172, dicembre 1998, pp. 38-41)

didascalia

BIBLIOGRAFIA
“Risposta a suor Filotea” con il testo teatrale di Dacia Maraini “Suor Juana - La casa del linguaggio”, La Rosa, Torino, 1980

“Poesie. Con la risposta a suor Filotea de la Cruz”, Rizzoli, Milano, 1983

“Il Sogno”, Piovan, Abano Terme, 1985

“Risposta a suor Filotea”, Sellerio, Palermo, 1995

“Versi d’amore e di circostanza”, Einaudi, Torino, 1995

SU DI LEI
Dario Puccini, “Sor Juana Inés de la Cruz. Studio d’una personalità del Barocco Messicano”, Ed. dell’Ateneo, Roma, 1967

Octavio Paz, “Suor Juana Inès de la Cruz o le insidie della fede”, Garzanti, Milano, 1992 (testo vincitore del Premio Pulitzer)

IN RETE
Inés de la Cruz, suor Juana (1648/51-1695)
Considerata uno dei più grandi poeti di lingua spagnola, nonostante le sue poesie d'amore per la viceregina del Messico creino (molto) imbarazzo agli studiosi, suor Juana, imbavagliata dai superiori e costretta a tacere in vita, oggi ha ricevuto dalla Rete l'omaggio di The Sor Juana Inés de la Cruz project (in inglese), che vuol mettere online il testo di tutte le sue opere (in spagnolo). Non è un sito gay, ma lo sfondo è decorato coi colori dell'arcobaleno: chi vuol capire...
Sette poesie lesbiche, con testo spagnolo e traduzione inglese, si trovano su Sappho, e due poesie in italiano su Women.it.
Nulla toglie e nulla aggiunge questo sito messicano, in spagnolo, su Geocities con due poesie.

Suor Juana Inés de la Cruz (1648/51-1695). Il sogno infranto

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Il ritratto più noto di Juana, ed il più antico che conosciamo, è postumo, dipinto nel 1713 da Juan de Miranda per il convento di San Girolamo, in cui ella visse fino alla morte, ma altri ne furono dipinti in seguito ed altri ancora dovettero esistere mentre Juana viveva; così lei stessa ne descrive uno nei suoi versi, nel tentativo di “sminuire” gli elogi che erano stati fatti alla sua immagine:

“Questo, che vedi, inganno colorito,
che dell’arte ostentando gli splendori,
con falsi sillogismi di colori
è un inganno dai sensi percepito;(...)”

In tutte le raffigurazioni che ho potuto vedere, Suor Juana è sempre ritratta nel proprio studio, nell’atto di scrivere o leggere, con i libri alle spalle in bell’evidenza (si stima che ella finisse per raccogliere circa 10.000 volumi!). Se le immagini di lei sono veritiere, e se i miei sensi non si ingannano, lo sguardo di Juana era di quelli che non si dimenticano: profondo, luminoso, specchio dell’ardore del conoscere che infiammò la sua esistenza. La data di nascita di Juana de Asbaie y Ramìrez non è certa e può essere collocata fra il 2 dicembre 1648 ed il 12 novembre 1651 (le due ipotesi più accreditate); sul luogo, invece, non vi sono dubbi: San Miguel de Nepantla, un villaggio a circa 60 chilometri a sud di Città del Messico, allora capitale del vicereame della Nuova Spagna. La madre, la creola Isabel Ramìrez, ha già altre due figlie (Marìa e Josefa) dall’uomo con cui vive e con il quale non è sposata; analfabeta, Isabel Ramirez dirige però una masseria, è praticamente a capo della comunità in cui vive e già dal 1655 si è scelta un nuovo compagno, con il quale avrà i successivi tre figli.

A tre anni Juana impara a leggere, tenendone all’oscuro la madre, grazie alla complicità di una sorella maggiore che la conduce con sè da una maestra: “(...) seppi leggere in così breve tempo, che già lo sapevo quando lo seppe mia madre, cui la maestra l’aveva tenuto nascosto per darle alla fine la buona notizia e, insieme, ricevere la ricompensa; e io l’avevo taciuto, credendo che mi avrebbero frustata poiché l’avevo fatto senza ordine.”

A 7 anni, poiché le promettono in premio un libro, compone un inno sulla Comunione e, appreso dell’esistenza di scuole a Città del Messico ove si studiano le scienze, supplica la madre di acconsentire a travestirla da ragazzo e di mandarla all’Università... L’anno dopo la madre manda effettivamente Juana a vivere a Città del Messico, con una zia sposata ad un benestante, nella casa del nonno materno da poco scomparso (il quale aveva fama di letterato e poeta ed era in possesso di una vasta biblioteca): era probabilmente l’unica cosa che Isabel potesse fare per venire incontro al desiderio di conoscenza della figlia. La fanciulla cresce graziosa ed estremamente intelligente, nonostante la mancanza di un’educazione formale: nulla nelle ricerche indica che Juana sia stata guidata nell’apprendimento da altro oltre alla propria curiosità ed il proprio intelletto. La sua rapidità nell’apprendere è eccezionale (imparerà il Latino in sole 20 lezioni), i suoi interessi multiformi: scrive versi, studia astronomia, compone musica, dipinge. Dirà più tardi, a questo proposito, che trovava limitante, per un cattolico, non sapere che ogni cosa, “in questa vita di divini misteri” può essere conosciuta tramite i sensi e i mezzi naturali.

Nel 1664 viene presentata dalla zia alla corte dei nuovi Vicerè Antonio Sebastiàn de Toledo e Leonor Carreto, Marchesi di Mancera: entra immediatamente fra i ranghi delle dame della Viceregina, con il titolo di “amatissima”. Il primo biografo di Juana, padre Diego Calleja, annota nella Vida de Sor Juana (1700) che la signora Viceregina non poteva restare un solo giorno senza “la sua Juana Inés”. I versi che la fanciulla le dedica, pur essendo meno “torridi” di quelli che invierà in seguito alla sostituta di Leonor ed in cui esploderà un erotismo che di barocco ha solo forma e cornice sfuggono già, in parte, al semplice “encomio” di maniera, dovuto da una suddita ad una regnante: Leonor vi è cantata come la “divina Laura”, a cui Juana ha offerto la vita ed un corpo su cui nemmeno la morte può trionfare fintanto che “Laura” lo possiede con il suo amore. L’eccellenza nelle arti e nelle scienze di una fanciulla così giovane, unita secondo il citato biografo ad un sembiante che la bilanciava per bellezza, non finivano di stupire il marito di Leonor, che la sottopose in un sol giorno ad un esame di una quarantina di dotti e sapienti, dalle cui domande ed argomentazioni Juana si liberò “come un galeone reale” da poche “scialuppe”.

Le ragioni per cui, nel 1667, Juana abbandona la corte ed entra in convento sono molto discusse. A seconda della visione che si vuol avere di lei, alcuni sostengono che la decisione fu presa dopo una delusione d’amore, che l’avrebbe spinta ad abbandonare le cose mondane; altri ritengono che fu l’insistenza di padre Antonio Nunez de Miranda, confessore del Vicerè che Juana conobbe a corte, a convincerla alla monacazione; altri ancora parlano di semplice “chiamata” da Dio.

E’ difficile dar credito ad una di queste ipotesi: sulla prima, almeno in senso eterosessuale, non abbiamo alcun indizio a suffragio e Juana mostrava scarsi segni di religiosità prima del suo ingresso in convento. Si trattò, più probabilmente, di una decisione pratica, basata sulla valutazione delle opportunità che le si offrivano, come donna, a quell’epoca in Messico. La sua condizione di servizio alla Viceregina, per esempio, non era stabile, nel senso che Juana aveva la necessità di assicurarsi un futuro prima del ritorno di Leonor in Spagna: il “mandato” di vicereggenza durava 3 anni, veniva riconfermato molto raramente, ed il cambio avrebbe potuto esserle non favorevole. La sua condizione di illegittima non era peraltro un serio impedimento al matrimonio, essendo allora piuttosto comune: entrambe le sorelle di Juana si sposarono con uomini facoltosi. Ma Juana dichiarò nero su bianco la propria avversione alle nozze: “Presi i voti perché, pur sapendo che lo stato monacale presentava aspetti (di quelli marginali, parlo, non di quelli sostanziali) che non mi andavano a genio, era comunque, per il netto rifiuto che provavo del matrimonio, la cosa meno fuori luogo e più congrua che potessi scegliere per la mia salvazione; al quale progetto (come al fine più importante) cedettero e piegarono il capo tutti i miei capriccetti, ossia il desiderio di vivere sola, di non avere alcuna occupazione che intralciasse la libertà dei miei studi, ne’ rumore di comunità che disturbasse il quieto silenzio dei miei libri.”

Il primo convento che accoglie Juana è quello delle Carmelitane scalze (S. Joseph), ma la durezza della “regola” la induce a lasciarlo dopo 3 mesi. Pronuncerà invece i voti il 21 febbraio 1669, durante una cerimonia che vede la presenza dei Vicerè, nel convento di San Girolamo. In quell’occasione la madre le regala una schiava come servente, Juana de San José. La comunità in cui entra con il nome di Suor Juana Inés de la Cruz è una piccola città femminile; vivevano in essa 50 suore, ma con la presenza delle loro serve e delle sorelle laiche a loro affidate, il numero delle abitanti del convento era di circa 200. Le cosiddette celle delle monache erano veri e propri appartamenti, spesso su due piani, che comprendevano cucina, 2 o più camere da letto, salotto e bagno (quest’ultimo con impianto idraulico per l’acqua calda!). Le sorelle di San Girolamo, nonostante i voti di povertà, possedevano beni personali, gioielli e, come nel caso di Juana, libri; potevano vendere ed acquistare proprietà o effettuare investimenti tramite intermediari. La regola del convento proibiva l’uscita delle monache e l’ingresso di visitatori esterni se non protetto dalla grata del parlatorio, ma quest’ultimo aspetto veniva generalmente ignorato. Le fanciulle laiche e le monache giustificavano i loro interessi “mondani” con il fatto che San Girolamo era stato noto per le sue produzioni artistiche (musica, danza, teatro). Il salotto monacale di Juana si trasformò ben presto, in tale contesto favorevole, in un salotto intellettuale. Ella iniziò in questo periodo una fitta corrispondenza con altri letterati in Spagna ed in America Latina di cui abbiamo menzione in diversi testi, ma nessuna delle sue lettere è stata finora rinvenuta.

Il Marchese di Mancera e sua moglie vengono sostituiti nel 1672, ma resteranno a Città del Messico, a titolo personale, per quasi altri due anni. Il Vicerè che li sostituiva morì 4 giorni dopo il suo insediamento ed il suo posto fu preso da un sacerdote proveniente dall’aristocrazia spagnola, Fray Payo Enrìquez de Rivera. Durante i 7 anni di vicereggenza di quest’ultimo abbiamo scarse tracce che ci indichino cosa facesse Suor Juana: sappiamo che era la contabile e la tesoriera del convento ed indubbiamente dobbiamo supporre che continuasse i propri studi. Nel frattempo, a Juana era mancata anche la “divina Laura”, morta sulla via del ritorno in Spagna, nei pressi di Veracruz, nel 1674:

“Bello composto in Laura or separato,
anima eterna, spirito glorioso,
perché lasciasti corpo sì vezzoso
e un’anima siffatta hai congedato?
(...)
Vola, anima beata, con anelo
e, dal tuo ameno carcere slegata,
fra le porpore sue mutate in gelo,
sali a venir di stelle incoronata:
che è proprio necessario tutto il cielo
perché pari dimora ti sia data.”

Il 30 novembre 1680 fa il suo ingresso a Città del Messico il nuovo Vicerè, cugino di Fray Payo, Tomàs Antonio de la Cerda, marchese de la Laguna, assieme alla moglie Marìa Luisa Manrique de Lara, contessa di Paredes. Ad accogliere la nobile coppia c’è un arco di trionfo, come tradizione vuole; un arco di trionfo il cui disegno è stato commissionato a Suor Juana: sua la scelta architettonica, sua la composizione dei versi su esso iscritti, sua la scelta delle immagini dipinte. Il testo ideato da Juana si intitola “Neptuno alegòrico” e raffigura il Vicerè e sua moglie come Nettuno ed Anfitrite. Marìa Luisa era una donna colta, oltre che, se dobbiamo dar credito alle descrizioni che di lei fa Suor Juana, supremamente affascinante: ella la definirà “transito ai giardini di Afrodite”, “angelica forma”, “cumulo di bellezze”, “bucchero di fragranze”... L’incontro fra Marìa Luisa e Juana fu subito simpatia ed ammirazione reciproca; la loro relazione divenne un’amicizia ardente ed infine non le si potè dare che il nome di amore. “L’affetto di Suor Juana per la contessa di Paredes, a giudicare dal tono delle composizioni che le indirizzava, si trasformò rapidamente in un sentimento che può solo essere chiamato amore. Da quei testi si comprende anche che l’amicizia amorosa fu corrisposta con pari eccessi, effusioni ed impeti. (...) E’ fuori di dubbio che la relazione con la contessa di Paredes, dal 1680, divenne l’asse fondamentale della vita di Suor Juana.”

A questo proposito, l’anonimo curatore del primo volume pubblicato delle opere di Juana, la raccolta di poesie “Inundaciòn Castàlida”, si preoccupò di ribadire più volte come l’amore che legava le due donne non contenesse a suo avviso alcuna traccia di “indecenza” o “carnalità”: i versi in tale opera contenuti, dedicati a Marìa Luisa (celebrata con i nomi di Lysi e Filis), erano dunque già in sospetto di sconvenienza per un contemporaneo.

“(...) Ma a che serve proseguire?
Come te, Filis, io ti amo;
ché i tuoi meriti vedendo,
questo è l’unico tuo elogio.
Esser donna e starti assente
non impediscon di amarti;
le anime, tu ben lo sai,
distanza ignorano e sesso.”

Con l’ingresso della Viceregina nella sua vita Juana Inès guadagna, oltre ad un periodo di intensa felicità, una protettrice potentissima: alle (pur blande, fino a quel momento) rimostranze che le vengono mosse dai superiori ecclesiastici per la sua totale dedizione agli studi, ora Juana può rispondere con baldanza, o addirittura ignorarle. Ella è la beniamina della corte di Marìa Luisa, che si preoccupa di far circolare le produzioni artistiche di Juana; è solo grazie alla cura che la contessa di Paredes ebbe dei versi della sua amata se noi, oggi, possiamo apprezzarli. “Inundaciòn Castàlida”, il testo teatrale “El Divino Narciso”, il poemetto “Primero sueno”, furono tutti stampati, fra il 1689 e il 1690, a spese della contessa di Paredes: omaggio al genio di Juana da cui, dal 1688, Marìa Luisa ha dovuto separarsi, essendo scaduto il mandato di vicereggenza.

Nel momento in cui la fama di Juana si espande, valica il Messico e riscuote lusinghieri apprezzamenti in Spagna, ella si trova da sola a fronteggiare un temibile nemico, l’Arcivescovo di Città del Messico, Francisco Aguiar y Seijas. Costui disprezzava il sesso femminile in modo quasi patologico: che una donna fosse riconosciuta come intellettuale era per l’Arcivescovo già un affronto, ma egli trovava assolutamente intollerabile che una monaca scrivesse canzoni per balli, versi d’amore e testi di teatro che non avevano nulla di “sacro”. Particolarmente odiosa, per lui, fu la coincidenza che vide contemporaneamente il suo ingresso in città e la rappresentazione pubblica di una commedia di Juana, “Los empenos de una casa”: il secondo evento fu più rinomato del primo... C’è da dire che l’unica differenza fra Juana ed altri religiosi che scrivevano di argomenti “secolari” era esclusivamente il suo sesso: nessuno rimproverò Lope de Vega per le sue poesie profane... Per anni, l’Arcivescovo aveva covato il suo rancore verso Juana inviandole, tramite intermediari, delle vaghe reprimende e ammonimenti ad abbandonare gli studi, impedito però nell’azione dal legame della monaca con le due Viceregine.
Nel 1690 un passo falso, o un vero e proprio tradimento da parte di un amico, offrirono a Francisco Aguar y Seijas il modo di “vendicarsi”; viene pubblicato quell’anno, infatti, un opuscolo dal titolo “Carta atenagòrica de la madre Juana Inès de la Cruz”, sua prima ed ultima opera teologica, ovvero una serrata critica ad un famoso sermone gesuita dell’epoca e cioè alla corrente di pensiero a cui l’Arcivescovo si rifà. Il testo, in forma di lettera, era indirizzato a tale “Suor Filotea del convento della Santissima Trinità di Puebla”, ma dietro allo pseudonimo si celava il Vescovo Manuel Fernàndez de Santa Cruz, amico di Juana e da anni impegnato in una feroce lotta per il potere contro l’Arcivescovo. Manuel Fernàndez pubblica infatti il testo, a guisa di vero e proprio attacco provocatorio al suo nemico di sempre, ma premurandosi di anteporvi un monito a Suor Juana, nel quale le si consiglia di volgersi alle cose sacre e si smussano o contrastano alcune affermazioni contenute nel testo stesso. Lo scandalo che seguì a questa pubblicazione, anche se a noi oggi può apparire assurdo, fu enorme: apparvero immediatamente elogi a stampa del sermone criticato da Suor Juana e ancora nel 1731 il caso veniva dibattuto a Madrid con la pubblicazione di opere contrarie o favorevoli alla monaca.

Ancora più assurdo appare pensare che Juana avesse deciso di rendere pubblica la “Carta atenagòrica” nel momento in cui si trovava priva di difese; a tanto clamore, comunque, Juana fa seguire la sua “Respuesta a Sor Filotea” il 1° marzo 1691: avrebbe dovuto trattarsi, viste le nuvole che le si addensavano sul capo ed il palese rifiuto del Vescovo Fernàndez di intervenire a sua tutela, di un atto di pentimento e di sottomissione, ma non lo fu. Fu invece un’appassionata e splendida difesa della propria carriera intellettuale e del diritto delle donne alla conoscenza e agli studi. L’atmosfera di sdegno nei suoi confronti crebbe a dismisura e Juana lottò per non soccombervi come poteva e sapeva: continuò a scrivere nel mentre le sue opere, fino al 1693, continuarono a venir pubblicate in Messico, a Barcellona e Siviglia, con dediche e premesse che celebravano l’eccellenza delle donne negli studi e la particolare eccellenza di Suor Juana, avallate da autorevoli conferme di rinomati “dottori della Chiesa” dell’epoca. Marìa Luisa Manrique fu l’organizzatrice occulta della maggioranza di queste operazioni; impotente a difendere Juana in altro modo, poiché ormai vedova (dal 1692) e distante e non più in grado di esercitare, tramite il titolo del marito, un’influenza diretta sulla politica messicana, la contessa di Paredes non riuscì ad evitare la riduzione al silenzio della sua amata. Sottoposta ad ogni genere di pressioni, mentre attorno a lei infuriano disordini civili, rivolte e lotte per il pane, infine Juana cede: dopo una lunga confessione in cui ammette di aver “vissuto nella religione senza religione”, ella consegna all’Arcivescovo la sua amata biblioteca, i suoi strumenti scientifici e musicali, i doni preziosi che le erano stati fatti dai suoi ammiratori e si dà, secondo i biografi, a “crocifiggere le sue passioni” sottoponendosi ad ogni sorta di privazioni. L’Arcivescovo vendette tutto a scopo di beneficenza e, non contento, confiscò i fondi del convento che Juana amministrava, sebbene solo una piccola parte di quel denaro le appartenesse. Nell’anno successivo, Juana arriva a firmare con il proprio sangue una completa rinuncia agli studi. Forse si trattò dell’ultima strategia difensiva che le restava per non affrontare l’accusa di disobbedienza ai suoi superiori e quella, ben più temibile, di eresia; tuttavia, ridotta al silenzio, Juana si avvia quasi consapevolmente verso la fine. Ella muore infatti di peste nel 1695, il 17 aprile, dopo essersi prodigata nelle cure alle altre monache colpite dal morbo. Non si hanno notizie precise, invece, sulla data di morte di Marìa Luisa, che era più o meno coetanea di Juana; c’è chi sostiene sia scomparsa nel 1696, e chi ritiene sia morta in esilio, in seguito ad una guerra di successione in Spagna, nel 1721. L’ultimo scritto della poeta che l’amò è una richiesta di perdono alle consorelle, vergata pochi mesi prima della morte sul libro delle professioni di fede del convento, che Juana firma così: “Yo, la Peor de Todas”, ovvero “Io, la peggiore di tutte”. E doveva davvero esserlo, una donna che nel 1600 scrive:

“Stolti uomini che accusate
la donna senza ragione,
ignari di esser cagione
delle colpe che le date;
(...)
Io molti argomenti fondo
contro le vostre arroganze,
ché unite in promessa e istanze
l’inferno, la carne e il mondo.”

Maria G. Di Rienzo


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