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FRANCO SACCHETTI (1332/34-1400), Il Trecentonovelle [1378/1395]
NOVELLA CXXXIX

Il testo è quello messo online dal Progetto Manuzio, che a sua volta si rifà all'edizione Einaudi, Torino 1970, a cura di Emilio Faccioli.

Testo inviato e annotato da Giovanni Dall'Orto

NOTE

(1) Non potendo, noi diremmo oggi: "pagare cauzione", fu costretto a lasciarsi rinchiuso nelle carceri di Firenze, le "Stinche".

(2) Iniziò a discutere con lui, e del motivo per cui era lì.

(3) Aver sonno, addormentarsi.

(4) Dato che gli sembrava un bighellone (così il Grande dizionario della lingua italiana del Battaglia).

(5) Membro virile.

(6) E cominciò a chiedere in un latino grossolano: "Signor giudice, non giudicatela malizia, ma solo errore".

(7) Mi state prendendo in giro.

(8) Lasciami.

FRANCO SACCHETTI (1332/34-1400),
Il Trecentonovelle [1378/1395]

NOVELLA CXXXIX


Uno Massaleo da Firenze, essendo in prigione con uno giudice stato della Mercatantia, con una strana piacevolezza usata nel giudice si mostra avere errato.

Massaleo degli Albizi fu uno nuovo uomo, e con molte nuove piacevolezze.

Essendo costui stato in prigione buon pezzo e ancora essendovi, venne per caso che uno giudice della Mercatantia, assai giovane e pulito e chiaro, nel tempo del suo sindacato, per certa cosa accusato, non potendo per quella dar mallevadore, convenne che andasse alle Stinche (1).

Massaleo veggendo questo giudice, entrò con lui in ragionamento, e per quello che v'era, e molte altre cose; e in fine lo invitò a cena, ed elli cenò con lui (2).

Avendo cenato, e vegliato un pezzo, Massaleo veggendo che 'l giudice ancora non era fornito del suo letto, lo invitò a dormire con lui; e 'l giudice ancora, veggendo la domestichezza di Massaleo, si coricò nel letto. Dove ragionato che ebbono un pezzo, e venendo sul cominciare a sonneferare (3); e Massaleo mosso più per piacevolezza che per vizio, e per comprendere un poco de' modi del giudice, però che a lui stesso parea un bigolone (4), disteso il braccio per lo letto verso lui, gli pigliò il picciuolo (5), e cominciandolo a rimenare; il giudice, che già era mezzo addormentato, subito destossi, dice:

- Oimè, o che fé a costui vu?

Massaleo subito risponde:

- Perdonatemi, che io credea che fosse il mio.

E 'l giudice disse:

- In fé di Dio, voi smarriresti bene un'altra cosa, quando voi smarrite questa.

E Massaleo disse:

- Io era abbarbagliato già dal sonno, e non credea che altro che 'l mio ci fosse in questo letto - : e cominciò ad allegare con una gramatica grossa: - Domine judex, reputate non esse malitiam, sed errorem (6).

Dice il giudice:

- Mo, messer Massaleo, e' par che vo' sia per caleffare (7); lagàme (8) dormire, che io ve ne prego.

E Massaleo ed egli s'addormentorono, e così finì quest'opera. Che saputa che questa novella di fuori fu per Firenze, li più valenti uomeni che v'erano scoppiavono delle risa.

E 'l giudice poi per maraviglia del grande errore, e di Massaleo, quando a ciò pensava, parea quasi un uomo invasato; e fecesi recare un letto per lui, e in quello, mentre che stette in prigione, si dormì, acciò che Massaleo più non cadesse in simile errore.

 



L'Archivio di Storia Gay e Lesbica è a cura di Giovanni Dall'Orto

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