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Della descrizione dell'Africa e delle cose notabili che quivi sono per Giovani Lioni Africano [prima del 1523].
Leone Africano
(Hasan ibn Muhammad al-Wazzan, 1485?-1554?)

Testo inviato e commentato da Giovanni Dall'Orto

NOTE

Hasan ibn Muhammad al-Wazzan è un musulmano spagnolo di Granada, fuggitone alla conquista cristiana (1492). Cresciuto a Fez ed inviato quale ambasciatore al sultano ottomano, è fatto schiavo al ritorno da un corsaro cristiano e donato a Papa Leone X de' Medici (nel 1518 o 1519).

Il papa lo fece battezzare nel 1520 imponendogli il nome di Giovan Leone de' Medici. 
In Italia Leone de' Medici sarebbe rimasto altri otto o nove anni, poi sarebbe riuscito a tornare in Africa (e all'islamismo), e qui avrebbe trascroso il resto della sua esistenza.

Nel periodo trascorso in Italia compose in italiano, prima del 1523, la Descrizione dell'Africa, nella quale mise a frutto i numerosi viaggi che aveva compiuto.

Nei brani che ho scelto parla della presenza omosessuale nel Nordafrica, svelando l'esistenza di una cultura sbalorditivamente strutturata e di spazi sociali per l'omosessuale effeminato e travestito: l'elcheua.

Ancora più sconcertante è l'esistenza di una specie di corporazione di indovine lesbiche, le sahacat.

La testimonianza di Leone Africano meriterebbe insomma di essere approfondita.


Il testo è qui quello dato dall'edizione online del Ramusio, presso il Progetto Manuzio.

Le parole fra parentesi quadre sono state aggiunte da me.

Della descrizione dell'Africa e delle cose notabili che quivi sono per Giovani Lioni Africano [prima del 1523].

Leone Africano (1485?-1554?)

Da: Giovanni Battista Ramusio (a cura di), Navigazioni e viaggi, Einaudi, Torino 1978, vol. 1, pp. 19-460.


Azaamur città

Azaamur è una città in Duccala, edificata dagli Africani sul mare Oceano e su l'entrata del fiume Ommirabih nel detto mare, lontana da Elmadina 30 miglia verso mezzogiorno, molto grande e abitata, e fa cerca a cinquemila fuochi.

(...)

[Fu conquistata dai portoghesi grazie al fatto che] prima che si desse la battaglia da' cristiani, i giudei, che avevano pochi dì adietro patteggiato col re di Portogallo di dargli la città, con patto che a loro non fosse fatto ingiuria, col consentimento di ciascuno apersero loro le porte. Così i cristiani ebbero la città, e il popolo andò ad abitar parte a Sala e parte a Fez. Ma prima fu molto ben castigato del suo orrendo vizio, percioché quasi tutti erano immersi nel peccato della sodomia, in tanto che raro era quel fanciullo che scappasse dalle loro mani.


[Fez]
pp. 168-169
Osterie

Nella detta città sono circa a dugento osterie, benissimo veramente fabricate. E tali ve ne hanno che sono grandissime, sì come quelle che sono vicine al tempio maggiore, e fatte tutte in tre solai; ve n'è alcuna che ha centoventi camere, e tali piú, e in tutte sono e fontane e cessi, con lor canaletti che portano fuori le brutture. Io non ho veduto in Italia simili edificii, se non il collegio degli Spagnuoli ch'è in Bologna e il palazzo del cardinal di San Giorgio in Roma. E tutte le porte delle camere rispondono al corridore [danno sul corridoio, NdR]. 

Ma, come che queste osterie siano belle e grandi, v'è un pessimo alloggiare, percioché non c'è né letto né lettiera, ma l'osterie danno a quello che viene albergato una schiavina e una stuora [coperta e stuoia, NdR] per suo dormire, e se egli vuol mangiare convien che si comperi la robba e gliela dia a cuocere. 

In queste osterie si riparano ancora le povere vedove della città, le quali non hanno né tetto né parente che gliene presti. A queste s'assegna una stanza, cioè ciascuna ha la sua camera, e in tal ve ne albergano due; esse poi si pigliano cura del letto e della cucina.

E per darvi alcuna informazion di questi ostieri, essi son d'una certa generazione che s'appella elcheua, e vanno vestiti d'abiti feminili e ornano le lor persone a guisa di femine: si radono la barba e s'ingegnano d'imitarle per insino nella favella. Che dico favella? Filano anco. 

Ciascuno di questi infami uomini si tiene un concubino, e usa [ha rapporti sessuali, NdR] con esso lui non altrimenti che la moglie usi col marito.

Eziandio [anche, NdR] tengono delle femine, le quai serbano i costumi che serbano le meretrici nei chiassi [bordelli, NdR] dell'Europa. 

Hanno costoro autorità di comperar e vender vino senza che i ministri della corte diano loro fastidio, e in dette osterie vi praticano di continovo tutti gli uomini di pessima vita, chi per imbriacarsi, chi per sfogar la sua libidine con le femine da prezzo, e chi per quell'altre vie illecite e vituperevoli, per esser sicuri dalla corte, de' quali è il tacer più bello. 

Questi sì fatti ostieri hanno un consolo [rappresentante, NdR], e pagano certo tributo al castellano e governator della città. 
Oltre a questo sono obligati, quando egli accade, di dar all'esercito del re o dei principi una gran quantità della lor brigata per far la cucina ai soldati, percioché pochi altri sono in tal mestiero sufficienti.

Io certamente, se la legge alla quale è astretto l'istorico non m'avesse sospinto a dir la verità, volentieri arei trapassata questa parte con silenzio, per tacere il biasimo della città nella qual sono allevato e cresciuto. Che in vero, trattone fuori questo vizio, il regno di Fez contiene uomini di maggior bontà che siano in tutta l'Africa.

Con questi adunque così fatti ostieri non sogliono tener pratica (come s'è detto) se non uomini ribaldi e di sangue vile, percioché né letterato, né mercatante, né alcun uomo da bene artigiano pur solamente parla loro, ed è similmente interdetto a quelli d'intrar nei tempii e nelle piazze dei mercatanti, e cosí alle stufe e alle case loro. 

Meno possono tener l'osterie che sono appresso il tempio, nelle quali alloggiano i mercatanti d'alcuna rara qualità.

E tutto il popolo grida loro la [chiede la loro, NdR] morte. Ma, perché i signori se ne servono (come io dissi) nelle bisogne del campo, gli lasciano starsi in tal disonesta e pessima vita.


[Fez]
pp. 192-193
Di alcuni artigiani e indovini. 

(...)
Vengo a dire d'alcuni indovini, i quali vi sono in gran numero, e si dividono in tre sorti o vogliamo dire qualità.
(...)
La terza spezie è di femine, le quali fanno credere al volgo ch'elle tengono amicizia con certi demoni di diverse sorti, percioché alcuni si chiamano i demoni rossi, alcuni si dicono i demoni bianchi e altri sono addimandati demoni neri. E quando vogliono indovinare, a richiesta di chi che sia, si profumano con certi odori e allora, sì come dicono, il demonio che esse chiamano entra nella loro persona, onde subito cangiano la voce, fingendo che lo spirito sia quello che parli per la lingua loro.

La donna o l'uomo che è venuto per qualche cosa che desidera di sapere dimanda allo spirito ciò che vuole, con gran reverenzia e umiltà, e avuta la risposta lascia un presente per quel demonio e si diparte.

Ma gli uomini che hanno con la bontà congiunto il sapere e l'esperienza delle cose chiamano queste femine sahacat, che tanto dinota quanto nella voce latina fricatrices ["sfregatrici", lesbiche, NdR]: e nel vero tengono esse questo maledetto costume, il quale è d'usare [aver rapporti sessuali, NdR] l'una con l'altra, che per più onesto vocabolo non posso esprimere. 

E quando, fra le donne che vanno a loro con desio di sapere alcuna cosa, se ne trova alcuna di belle, elle s'invaghiscono di lei come un giovane s'invaghisce d'una fanciulla, e in forma del demonio le domandano in pagamento i congiungimenti amorosi: e quella, credendo avere a compiacere allo spirito, le piú volte loro consente. 

Molte ancora sono che, di questo giuoco dilettandosi, desiderano d'esser di lor compagnia, onde, fingendo d'essere inferme, mandano per [a chiamare, NdR] una di queste; e sovente lo sciocco marito è l'imbasciatore. Elle subito iscuoprono [manifestano, NdR] all'indovine il loro disio, le quali dicono poi al marito che alla sua moglie è entrato uno di quei demoni nel corpo e, amando egli la sua sanità, conviene che esso le dia licenza [permessp, NdR] che la detta possa entrar nel numero dell'indovine, e secretamente praticar con esso loro [frequentarle, NdR].

Il marito bufolo [bufalo, idiota, NdR] sel crede e, consentendo a ciò, per maggior sua sciocchezza fa un suntuoso convito a tutto l'ordine, nel fine del mangiare danzando ogni una e festeggiando al suono degli strumenti di certi negri; e poscia ve la lascia andare alla buona ventura. 

Ma alcuno ve n'è che fa uscire gli spiriti di corpo alla moglie col suono di solenni bastonate; altri, fingendo ancora essi d'essere indemoniati, ingannano l'indovine nel modo che esse hanno le loro moglieri ingannate.



L'Archivio di Storia Gay e Lesbica è a cura di Giovanni Dall'Orto

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