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Da: "Varietas" n. 75, luglio 1910, pp. 401-406.
WILLIAM VON GLOEDEN

Testo fornito da
GiovanBattista Brambilla.

Da: "Varietas" n. 75, luglio 1910, pp. 401-406.

WILLIAM VON GLOEDEN

La falange degli artisti stranieri stabiliti in Italia aumenta sensibilmente con nostra grande soddisfazione, non solo, ma con rilevante beneficio dell'arte medesima che se ne avvantaggia in maniera vistosa e prospera nel campo fecondo come magnifica pianta sotto la radiosità azzurra.

Oggi è la volta del barone William von Gloeden, premiato testè con la grande medaglia d'oro dal Ministro della Pubblica Istruzione, e le cui mirabili fotografie artistiche vennero, in album, presentate in dono a S. M. Vittorio Emanuele III, che molto se ne compiacque e molto lodò la tecnica dell'artista.

L'Accademia dell'arte in Weimar, da lui frequentata sotto la guida di Karl Gehrts, era riuscita a svegliargli quell'amore al pittoresco e quel sentimento della perfezione nel bello, che sono le prerogative di ingegni, dirò così, aristocratici, ma fu in Italia che la mente, ben nutrita di linee e di luci, si diede a rivangare, e risalendo alla civiltà classica, la fantasia prese a popolare quei luoghi che furono teatro di altri tempi, di classiche figure dell'epoca.

Egli ha concepito l'arte della fotografia non come semplice arte di riproduzione di luoghi e di persone, ma bensì come mezzo a far rivivere una civiltà spenta, della quale cogliamo qua e là degli improvvisi bagliori. Da qui il nessun contatto della sua arte con quella dei comuni fotografi; da qui la maestrevole maniera di accoppiare il luogo e la figura; da qui l'individualità netta e spiccata e anche audace se vogliamo, nel campo artistico, e appunto lodevole perché ha oltrepassato i limiti voluti dal convenzionalismo, ed ha aperto una nuova via, non battuta da alcuno, né menomamente sognata.

Il contatto col Michetti, col quale visse per un certo periodo di tempo in Francavilla al Mare, e la frequenza con Costantino Barbella, D'Annunzio, Serao, influirono grandemente allo sviluppo dei suoi ideali d'arte, e gli procurarono il plauso dei pochi che cominciavano a comprendere l'armonia della sua idea. Egli stesso narra della sua prima visita a Michetti che, sulle prime, lo ricevette con una tal quale diffidenza, ritenendolo uno del grande stuolo dei suoi ammiratori, ma avendo, in seguito, esaminato l'album di figure in cui il Gloeden si era dilettato, gli disse semplicemente, ma solennemente: "Ella è un artista!", ed essendosi quegli schermito accennando alla sua deficienza in pittura, Michetti tagliò corto ed esclamò in tono che non ammetteva replica:

- Chiunque può essere pittore, cioè a dire, manipolatore di colori, ma artista non vuol dire pittore: ed ella è artista!

Da qui s'intrecciò una cordiale amicizia che doveva rinvigorire i due ingegni in un'unica intesa artistica, stabilendo una corrente di simpatia tra i due maestri: il maestro dei colori ed il maestro delle linee, compendiandosi l'uno nell'altro e completandosi a vicenda.

Un'opera d'arte è un pezzo della Natura veduto traverso un temperamento, disse Zola; ma noi non possiamo dare un temperamento all'apparato fotografico, sicché l'artista deve fare in modo che la camera e l'occhio ottico possano vedere come egli vede, debbano cioè sottomettersi al suo volere, piegarsi, ripiegarsi, foggiarsi, in maniera da corrispondere perfettamente all'idea. Nell'arte riproduttiva il lavoro dell'artista consiste nel sapere cogliere l'espressione che la cosa racchiude in sé stessa, mentre l'arte del Gloeden consiste nell'immaginare, rendere al vivo tale espressione, assimilarla all'ideale e fissarla, e le sue fotografie, che costituiscono una serie di quadri a soggetti classici, si svolgono in un'atmosfera cantata da Teocrito e da Ovidio.

È il luogo che gli suggerisce la figura, o la figura che gli suggerisce il luogo? Un po' l'uno, un po' l'altro: un arco, una colonna antica, un tempio bastano perché la fantasia rievochi persone che colà vissero in tempi remoti e per là s'aggirarono; un profilo, un atteggiamento, un'espressione gli parlano delle genti di Hellas e di Roma.

Questo plasmatore di modelli, come lo hanno definito nelle diverse Esposizioni in Germania, questo Alma Tadema della fotografia, come lo chiamano gli Inglesi, nel realizzare l'idea, nell'incorporarla e sostituirla all'ambiente, ha il privilegio di sapere scegliere dei modelli nelle cui vene c'è ancora un residuo di sangue greco o romano, aggiogarli alla sua volontà, far loro pensare, contemplare, esprimere ciò che egli medesimo pensa, contempla, esprime!

Non è la volgare posa, tanto biasimata e discussa nell'arte fotografica, e per la quale i più bravi artisti cadono nell'ammanierato, ma sono atteggiamenti ed espressioni che qualificano l'essere e lo situano nell'ambiente che solo gli conviene. Nell'Attenti allo spettacolo ci troviamo in piena epoca romana, e sul viso dell'uomo, seduto, dallo sguardo fisso allo, spettacolo svolgentesi nell'arena, rilevansi l'ansia e la trepidazione interna che induriscono e quasi ne contraggono le linee. Socrate alla fontana che vede riflessa nell'acqua cristallina la propria immagine, è un capolavoro di concetto e di esecuzione. Svelto, fine, come modellato nella cera, è il corpo adolescente, lungo giacente su un fianco. Il capo è poggiato sul braccio destro, ed il sinistro, cadente lungo il fianco, trattiene indolentemente l'anfora, che riempirà d'acqua alla fonte, tosto che verrà il suo turno. E nell'attesa del suo turno egli adocchia, con malizia d'adolescente, le giovinette, come lui venute ad attingere l'acqua, e sorride, intanto, tenendo tra i denti un bocciolo di rosa, nella spensierata baldanza giovanile, felice di vivere, di godere, di sentirsi pulsare il sangue nel fine e svelto corpo fiorente.

Di classica bellezza greca è il profilo del giovinetto il cui sguardo si perde in lontananza; e la Siesta greca costituisce da sola una di quelle tele dipinte da mano maestra, e nella quale l'artista ha voluto versare tutta la sua anima, traducendovela in un abbagliante fulgore che cade come pioggia d'oro sulle cose, e, avvincendo i corpi in una spira magnetica, li fa cedere al silenzio, al grande e magnifico silenzio dei vividi e infocati meriggi siciliani.

Il profilo della piccola testa di popolana, dal mento proteso in su e dalle labbra semiaperte, racchiude tale doloroso sentimento nostalgico, tale potente anelito, tale disperato ed intimo desiderio, che lo personifica, e quasi lo simboleggia.

Bella, d'una placidità riposante e carezzevole, è la Figlia di Maria, che, chiusa nella mantellina bianca, lascia vedere un viso quieto e sereno, i cui grandi occhi neri, privi di sogni, pare adorino il momento religioso.

La testa di Glauco ha nelle linee della breve fronte, delle guance e del mento qualche cosa di indefinibile e di squisitamente bello. Stupendo la testa del Fauno, nella terribile espressione d'ira.

Bello L'orgoglio simboleggiato nella figura del giovane che ammira il tacchino far la ronda, e quasi gli parla.

Il quadro Indolenza meridionale, incarnata nella giovane figura maschile che scende lentamente gli scalini, con un braccio indolentemente teso verso il fogliame, e l'altro cadente lungo il corpo recante tre belle rose a stelo lungo (sintetizzanti la giovinezza, la bellezza e l'amore), è per me una stupenda opera artistica, sia per. gli effetti della luce che, cadendo in pieno, vi crea penombre e contrasti recisi, quasi bruschi, sia pel concetto bellamente simboleggiato.

Di questo siamo debitori al von Gloeden, unico nel suo genere, di avere cioè adottato l'arte fotografica come mezzo riproduttivo dì soggetti simbolici, nei quali egli eccelle, guidato da una rara sagacità e da un finissimo acume. Come faccia il Gloeden a trovare i modelli e adattarli alla sua idea è materia dì discussione fra gli amatori d'arte. Egli però non ne fa un mistero, e con la maniera franca e disinvolta, che costituisce in lui un merito grandissimo, egli narra delle difficoltà che incontra nei modelli, scovati nel popolo, fra gente quindi ignorante o poco intelligente.

- Raccomandare a cotali persone di prendere questa o quella posa, sarebbe deturpare orrendamente l'idea che mi prefiggo; vedere, cioè, il concetto mutarsi in una comica scena buffa, talmente grottesca sarebbe la posa che essi prenderebbero.

Prima di mettere a fuoco, secondo le differenti espressioni da me desiderate, io narro delle cose dolcissime, se voglio farne risaltare la soavità, oppure delle cose trucidi lotte, di pugne, di atti ardimentosi se voglio destarne lo sgomento; riesco, grada?tamente, a svegliare l'attenzione del modello, fino a possederla intera; dopo di che accentro in lui la meditazione e giungo a fargli manifestare le succedanee sensazioni per mezzo dello sguardo, delle labbra che contraggono le linee del viso. Arduo e paziente lavoro, lo confesso, questo, diciamo così, ipnotizzamento del modello, e spesso fallace, poiché ad un tratto, mentre tra me stesso mi dichiaro vittorioso, ecco che si interrompe la corrente tra il modello reale e il personaggio immaginario (tale interruzione dovuta alla troppo a lungo durata tensione mentale del modello o 1 ad un subitaneo rallentamento muscolare, o ad una delle cento piccole cause, inqualificabili e di nessun conto in tutt'altro ingente, ma di massima importanza nel mio caso), ed ecco che tutto crolla come per incanto e mi tocca ricominciare di bel nuovo, tentando altri mezzi, altre vie di preparazione.

E continua, intercalando nella conversazione piacevolissima, fatta in buon italiano se l'intervistatore è italiano, o in al?tra lingua, degli aneddoti graziosissimi, che mostrano uno spirito castigato, esercitato ad una aristocratica maniera di porgere.

Il suo salotto, originalissimo, è un museo d'arte, ed è là che egli passa il suo tempo, quando, non. lavora, o quando il suo grande amore agli uccelli non lo attira nelle diverse uccelliere situate qua e là nel giardino. È notorio ed anche sorprendente, come egli arrivi ad ammaestrare i volatili, dal tacchino al colombo, dal corvo all'usignuolo. Egli riesce ad insegnare, col fischio, una canzone ad un uccello, che la ripete subito dopo modulandola nella piccola gola, in tutte le note alte e acute, basse e morenti. Ad un suo cenno l'uccello ?gli salta sul dito, contento di venir portato a spasso, lo bacia, gli va sulla spalla, e dopo un certo tempo ad un secondo cenno rientra nella gabbia, e canta come di sfida alla libertà! Uno stuolo di colombe vola riunito, dal tetto della casa, e gira e rigira nell'aere libero nel medesimo verso, fino a che egli non dica "basta" battendo due o tre volte le mani, al che come dal desìo chiamate con l'ali aperte e ferme ritornano sul tetto; nel medesimo attimo. Così egli vive: tra i fiori del suo giardino, che dà una vera idea di vegetazione tropicale, talmente le piante vi sono rigogliose, e intricate e il mondo degli uccelli che formano la sua passione, dopo l'arte a cui egli si è dato e continua tuttavia a darsi. Tutti gli artisti stranieri, tutte le persone eminenti di passaggio in Taormina, non mancano di visitarlo, e di procurarsi un'ora deliziosissima nella conversazione di lui, spigliata, franca, attraente, naturale. Non si sa che cosa ammirare di più in lui: la correttezza o la cordialità, la disinvoltura o la modestia che lo rende aristocraticamente cortese.

Di tanto in tanto dà delle belle serate che sono un alto godimento dello spirito per tutti coloro che hanno la fortuna di intervenirvi: un celebre violinista che offre volontariamente di far gemere il suo Stradivari; un celebre cantante che si presta a cantare della bella musica tedesca; un pianista che fa parlare il piano, una dicitrice che recita dei versi magnifici di Goethe, di Longfellow o di qualche altro genio, e le ore scorrono dolcissime nell'ambiente eminentemente artistico e lasciano quella impronta incancellabile che è delle cose rare e pregevoli.

Prima che il Fregoli sbalordisse il mondo con i suoi subitanei travestimenti il Gloeden si divertiva a recitare, nell'intimità del suo salotto, delle scene siciliane, adattando la voce a quattro o cinque differenti toni, riuscendo a dare l'illusione di assistere ad un vivo dialogo di parecchie persone.

Nella mattina egli lavora, quando non è in giardino a curare i suoi fiori, che crescono rigogliosi, in omaggio al panorama bellissimo, coll'Etna da un lato, nel gran manto d'ermellino, e giù, il mare morbido, striato, come seta cangiante.

Nel pomeriggio egli è sempre pronto a ricevere tutti coloro che vanno a trovarlo, e ai quali offre dell'ottimo caffè, tra una conversazione e l'altra.

In un grosso albo rilegato in pelle è tutta una preziosa raccolta dì autografi dì personaggi eminenti; ed è delizioso, oltre che importante, sfogliarlo e leggervi versi, massime, pensieri di aristocratici, di ministri, di artisti rinomati, che si trattennero con lui a parlare bellamente d'arte e di storia, mentre fuori la radiosità del meriggio trionfava in una pioggia d'oro, e nel piccolo ed intricato giardino aulivano, a cascate, le rose, in omaggio alla Natura, all'arte, alla bellezza!

NINA MATTEUCCI



L'Archivio di Storia Gay e Lesbica è a cura di Giovanni Dall'Orto

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