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La Repubblica
19 novembre 1999

Ultima fermata Tangeri

Paul Bowles
La scomparsa dello scrittore

di STEFANO MALATESTA

Prima di Tè nel deserto, il film di Bernardo Bertolucci tratto dal suo romanzo, in Italia pochi avevano sentito parlare di Paul Bowles. Quando una volta proposi al giornale d'intervistarlo a Tangeri, qualcuno commentò: "Ma chi cavolo è questo Bowles?". E un altro gli fece eco: "Ma è Malatesta che vuole spassarsela a Tangeri". Alla fine degli anni '80 lo avevano dimenticato anche negli Stati Uniti. Romanzi come The Sheltering Sky (Il tè nel deserto) e Let It Came Down (Lascia che accada), erano stati molto apprezzati a suo tempo, diventando di moda presso gli americani sedentari che volevano leggere di americani in giro per il mondo. Poi la moda cambiò e il grande tema dei romanzi si trasferì nel caos e nelle contraddizioni metropolitane, dalla Chicago di Saul Bellow al Bronx di Tom Wolfe. Bowles era oramai visto più come un personaggio legato a Tangeri e come una sorta di zio eccentrico della Beat Generation in trasferta in Africa. O come il marito di Jane, l'autrice di Two Serious Ladies (Due signore perbene), definita con enfasi da Tennessee Williams la migliore scrittrice di fiction degli Stati Uniti, uomini compresi.
Abitava in un cupo, squallidissimo appartamento di una palazzina moderna di Tangeri. Quando gli chiesi, stupidamente, come mai non avesse scelto di vivere nella kasbah, in una di quelle stupende case con la vista sull'Atlantico e la costa spagnola, mi rispose gelido: "Lì ci vanno gli antiquari svizzeri". Non fu un incontro facile. Era molto sospettoso e anche poco interessato a un'intervista (Bertolucci mi ha raccontato che si comportò nella stessa, identica maniera anche con lui, al primo contatto per il film). Rispondeva per monosillabi, ah sì, ah no, lisciandosi all'ingiù i capelli bianchi tagliati corti, che finivano con una specie di frangetta. Rimase in piedi per almeno mezz'ora a rimestare la brace del caminetto, vestito elegantemente con un paio di calzoni di flanella e un maglione a giro collo, come se fosse a New York, aspettando che mi levassi dalle scatole. Poi devo aver detto qualcosa che dimostrava come non fossi uno sprovveduto, riguardo ai suoi lavori e alla sua vita. Quasi di colpo si addolcì, abbandonando l'atteggiamento di estremo snobismo e mi diede appuntamento il giorno dopo in un caffè chiamato Hafa.
Il caffè era bellissimo, dipinto di bianco e aperto sulle falaises, con pochi tavoli di ferro, stuoie di paglia e circondato da una profumata macchia mediterranea. Qui Bowles stava molto più a suo agio che nell'appartamento e parlò ininterrottamente per due ore, mentre ragazzini curiosi facevano il gesto di offrire sigarette che spandevano nell'aria un forte odore di "kif" e Caio Mario Carruba prendeva le fotografie con due Leica simili a piccoli gioielli. Disse di non aver scelto Tangeri, ma di esserci capitato. Nel 1931 era arrivato in Europa dagli Stati Uniti con il musicista Aaron Copland, pensando di raggiungere Cocteau e il suo giro a Villefranche. Ma Gertrude Stein, che a Parigi aveva il ruolo di indirizzare per il meglio o per il peggio i giovani espatriati americani, lo sconsigliò: "Che vai a fare a Villefranche? Ci stanno tutti. Meglio il nord Africa, dove non ci sta nessuno". Bowles si ritrovò a Tangeri, passando tutta l'estate a suonare al pianoforte Mozart in una casetta del quartiere arabo. Ma per molti anni ha viaggiato moltissimo, fermandosi a scrivere qua e là: a Ceylon, nella Thailandia, nei piroscafi delle Messageries Maritimes. E' rimasto anche alcuni anni con Jane a New York, in una pensione a Brooklyn Heights che ospitava W.H. Auden, Carson McCullers e Gypsy Rose Lee, la famosa spogliarellista. Si fermò definitivamente a Tangeri solo quando comprese che non valeva più la pena di girare tanto, per vedere gli stessi posti cambiati in peggio.
Aveva cominciato come musicista. Capisco poco di musica moderna, ma immagino che Pierre Boulez e Luciano Berio troverebbero le sue composizioni troppo tonali e le armonie troppo raveliane. Se a Parigi si fosse sottomesso, come altri compositori americani, alla disciplina di Nadia Boulanger, sarebbe potuto diventare un ottimo professionista. Rimase invece qualcosa di simile a un ottimo dilettante, anche perché era passato dalla parte della letteratura. I suoi biografi fanno coincidere questo passaggio con l'incontro con Jane, una donna molto particolare, e molto amata da tutti quelli che l'hanno conosciuta. Si erano sposati prima della guerra, lui per sbarazzarsi definitivamente delle donne, lei degli uomini. Truman Capote, di solito velenoso nei giudizi come un mamba, pensava che fosse una delle donne più straordinarie che avesse conosciuto. Era piccola, magra, con grandi occhi neri e i capelli corti e ricci, petulante, brillante, lesbica e disperata.Il suo primo e unico romanzo, Two Serious Ladies, lodatissimo da una parte della critica, non aveva avuto successo di pubblico. Jane, nata Auer, era psichicamente un'instabile cronica e non riuscì più a scrivere nulla, finendo in una clinica spagnola (morì nel 1973, a 56 anni). A Tangeri aveva fatto follie per una orrenda mercantessa del suk ricoperta di collane, con i baffi e i denti d'oro. Per conquistarla spese tutti i soldi che aveva in una lussuosa auto e andò a prenderla al mercato insieme con un autista in divisa e gambali. Ma già allora la sua fortissima tendenza autodistruttiva si manifestava in stravaganze sempre più accentuate e in un alcolismo senza ritorno.
Le composizioni di Paul erano state definite "fredde" e non si capisce bene se fosse un complimento. La definizione venne ripetuta per i suoi libri, questa volta con ammirazione. I lettori erano affascinati da una prosa esatta e indifferente che descriveva con distacco atrocità, incubi e tutta una serie di accadimenti spaventosi in località esotiche. Nel Té nel deserto la protagonista abbandona nel Sahara il marito che sta morendo di febbre, viene raccolta e violentata da due beduini, chiusa in un harem e salvata dai soldati francesi solo quando è diventata pazza. In uno dei suoi più famosi racconti un predone taglia il pene di un viaggiatore europeo e glielo infila nella pancia dopo averci fatto un buco con il coltello. Il succo di simili vicende stava nell'irriducibilità delle differenze culturali. E nel trauma che si produceva all'interno del cervello dell'occidentale civilizzato, messo davanti al mostruoso. Gore Vidal diceva che le sue storie erano tra le migliori mai scritte da un americano.
A Tangeri rimase per pigrizia, aiutando negli ultimi tempi i suoi giovani amici locali, Mohamed Choukri, Mohamed M'rabet, a pubblicare i loro primi libri. In precedenza, tra la fine degli anni '40 e i primi dei '50, si dovevano essere parecchio divertiti nel porto franco, almeno a leggere i racconti di Capote e di Vidal, con feste sulla spiaggia o nella villa di Barbara Hutton e fotografie di Cecil Beaton. Poi il giro elegante svanì e al suo posto, dopo qualche anno, sbarcarono i beat che avevano eletto Bowles come loro padre spirituale. E' difficile capire che cosa avessero in comune un dandy sempre lindo e pinto e i pidocchiosi, geniali strafattoni on the road, oltre ad andare insieme al caffè "Parade" e a fumare un po' di kif. Ma Bowles è stato sempre attratto dagli slittamenti della ragione, che aveva osservato con l'abituale freddezza nella moglie, e le droghe e i suoi effetti lo interessavano. Dopo il film di Bertolucci ci fu come un'ultima stagione. Ma chi andava a cercarlo non erano più scrittori, ma turisti, che volevano vedere di persona il guru di Tangeri, così come in Spagna, nel paese di Deyà, avevano dato la caccia a Robert Graves, il guru di Mallorca. Quando lo incontrai di nuovo, molto più tardi, mi disse con l'aria del martire stoico che si aspettava nuove edizioni dei suoi libri, non quella moltitudine di seccatori.

Paul Bowles è morto ieri in un ospedale di Tangeri dove era stato ricoverato lo scorso 7 novembre per una crisi cardiaca. Bowles aveva 88 anni (era nato a New York il 30 dicembre del 1910) e da cinquant'anni viveva in Marocco. Nel paese maghrebino Bowles si era fermato insieme alla moglie Jane (morta nel 1973) dopo un lungo peregrinare, sempre attratto dal fascino del primitivo. Prima di dedicarsi alla letteratura era stato suggestionato dalla musica. Aveva studiato con Aaron Copland, diventando amico di Leonard Bernstein. Lavorò anche come critico musicale dell'Herald Tribune. In Marocco sono ambientati i suoi romanzi Il tè nel deserto (1949, tradotto da Garzanti) e Lascia che accada (1952). Bowles non tornò mai negli Stati Uniti, salvo nel 1968, quando vi si recò per tenere un corso di letteratura. A Tangeri fu raggiunto dagli scrittori americani della beat generation come Allen Ginsberg e William Burroughs. Dal suo romanzo Il tè nel deserto Bernardo Bertolucci ha tratto un film nel quale Bowles appare interpretando il narratore della vicenda dei due giovani americani smarriti. Fra gli altri suoi libri vanno ricordati La casa del ragno (1955) e i racconti raccolti in La delicata preda e Parole sgradite.


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