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La Repubblica
25 novembre 1999

Com'era spiritosa
la musica di Paul Bowles
Le sue composizioni sono molto più belle dei suoi libri

di ALBERTO ARBASINO

Per un omaggio memoriale a Paul Bowles che se ne è andato, mi permetterei di proporre un ascolto delle sue misconosciute composizioni musicali, che sono molto più belle dei suoi libri, e molto più spiritose. Sono incantevoli perché afferrano con disinvoltura rigorosa e apparentemente "casual" il vero spirito geometrico e ironico delle avanguardie più mondane degli anni Trenta: soprattutto la grazia acidulata di Francis Poulenc, ma anche il Satie più da cabaret. (E non per niente Cristopher Isherwood, in omaggio all' amico, e per nostalgie berlinesi comuni, chiamò "Sally Bowles" la sciantosa da cabaret in Addio a Berlino).
Sono due i compact fondamentali, e il migliore è prodotto in Germania: "Migrations" (Largo 5131). L'altro è americano: "The Music of Paul Bowles" (Catalyst 09026-68409-2). Ma in tutt'e due c'è la vera gemma: il "Concerto per due pianoforti, percussioni e orchestra", composto negli anni Quaranta per il celebre duo gay Gold-Fizdale, con soffi maliziosi di musica "etno" tangerina. Ma risale alla Germania prenazista di Isherwood la Sonata per oboe e clarinetto, apparentemente cubista e infatti composta nella casa dadaista di Kurt Schwitters a Hannover (e sembra già di sentire Ligeti). Alla Francia salottiera e a Monte-Carlo appartengono invece la Sonata per flauto e pianoforte, e le romanze da Anabase di Saint-John Perse. Ma qui si sente come del Sauguet, dell' Aurio.
I pezzi mirabili degli anni Trenta sono piuttosto americani: "Music for a Farce", sublime colonna sonora "live" per un film comico muto in bianco e nero proiettato durante uno spettacolo teatrale. (Siamo al mito di Entr'acte di René Clair, più i "Keystone Cops"). E una "Suite per orchestra da camera", delicata e pungente come un gin-and-tonic; e forse reminiscente della squisita astringente "Jazz Suite No. 1" di Sostakovic (del 1926). Negli anni Quaranta, ecco la sgargiante Suite "Pastorela" con sfacciati idilli e sarcastici tromboni e mariachi messicani e western, come nei balletti di Aaron Copland e nei successivi film di Sergio Leone. E il motivetto che accompagnò la scrittura del Tè nel deserto: un "Valzer notturno" per due pianoforti, evocativo come i "Valzer nobili e sentimentali" di Ravel (mentre il suo vero meraviglioso valzer appartiene alla suite "farsesca" ed è un sincero autentico equivalente alle grandi nostalgie di Richard Strauss nel Rosenkavalier).
Le composizioni maggiori paiono più disuguali. C'è una pseudo-zarzuela "The Wind Remains" su testi di GarcÀia Lorca, rappresentata nel '43 al "Moma" di New York da Leonard Bernstein e Merce Cunningham, ma pare un dialogo con la Storia del soldato di Stravinsky; e potrebbe servire al posto di questa per gli esperimenti di regia creativa e trasgressiva alla faccia dell'autore. Così come le musiche di scena per la Salome di Wilde e l'Ippolito di Euripide, composte dall'ultraottantenne Bowles sul synthesizer di una scuola americana a Tangeri, ma poi trascritte in arrangiamenti approvati e suggestivi. Brani brillantissimi. Ma forse ha riusato pezzi giovanili.


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