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L'Espresso
16 dicembre 1999

FAMIGLIE DI FATTO / SCENE DA UN CONFLITTO LACERANTE

Coppie sì, ma senza fede

Registri delle unioni libere. Diritti, finora riservati solo ai coniugi, estesi a chi non è sposato. Avviene in alcuni Comuni. E la Chiesa insorge

di Renzo Di Rienzo

Con il fiuto infallibile per le scosse profonde e laceranti, la Chiesa ha compreso che sta nascendo un movimento ancora disorganico ma molto diffuso nella società. Le sparse iniziative per arrivare al riconoscimento giuridico delle "coppie senza fede" (stimate in 340 mila) ricordano gli esordi del movimento per i diritti civili degli anni Settanta. E hanno un sapore antico pure gli anatemi dei parroci contro quei sindaci che cominciano a dare visibilità ai "concubini pubblici", come li definì negli anni Sessanta il vescovo di Prato. È, per ora, un movimento più virtuale che reale. Le adesioni arrivano copiose su Internet, meno sui registri esposti da qualche comune d'avanguardia. E il loro impatto produce più una spinta politica che provvedimenti municipali a favore di queste coppie di fatto. Il sito www.unionicivili.org ha raccolto 330 adesioni di conviventi in poche settimane, mentre il Comune di Pisa, che ha istituito il registro nel luglio del '97, ha finora ottenuto solo nove adesioni. "Noi siamo iscritti per far sì che lo Stato si decida a riconoscere questi veri e propri nuclei familiari", dicono Rosa Gini e Maurizio Parton, due giovani ricercatori dell'università di Pisa, assieme da tre anni e con due figli. "La mancanza d'ogni tutela in cui viviamo può rapidamente sfociare in un dramma. Se, per esempio, uno di noi ha bisogno di un intervento medico urgente e rischioso, l'altro non può autorizzarlo visto che non figura come parente. Né può chiedere permessi di lavoro se l'altro si ammala". Ci si iscrive su questi registri comunali come un gesto di sfida e di rottura. Nelle piccole comunità, dove ci si conosce tutti e la polemica divampa, ci vuole perfino coraggio. A Tarquinia, un paese dell'Alto Lazio fin qui noto per gli affreschi delle tombe etrusche, nessuno ha ancora avuto l'ardire di mettere le proprie generalità sul registro voluto a fine ottobre dalla giunta di centro-sinistra. Spronate dal vescovo di Civitavecchia Girolamo Grillo, le parrocchie ribollono d'indignazione. Mentre sui muri cittadini i termini della disputa vengono semplificati da ingiurie contro il sindaco Maurizio Sandro Conversini che ora si "occupa di froci". Ma anche nel profondo Nord,a Sesto San Giovanni, la Chiesa ha deciso di raccogliere la sfida. Nove parroci si stanno battendo, per ora con volantini, perché gli amministratori non pensino che qui si sia insediata una mentalità scandinava, favorevole a queste aperture. "Ma non possiamo più ignorare le coppie di fatto che sono diventate una parte importante della nostra popolazione", sostiene Filippo Penati, il sindaco diessino di Sesto. "Il nostro registro vuol mandare soltanto un segnale al Parlamento, perché si decida a riconoscerle. In Comune abbiamo già fatto tutto il possibile per parificare le unioni di fatto alle coppie legali, sia per l'accesso dei figli agli asili nido, sia per la refezione scolastica". Come negli anni Settanta, chiusure e aperture su questi temi lacerano anche i partiti. L'idea di questo registro a Sesto San Giovanni è stata lanciata da Alessandro Piano, ventisettenne consigliere di Forza Italia, subito sospeso dal segretario regionale Paolo Romani che vuole mantenere buoni rapporti con il clero. "Dobbiamo prendere atto della crisi della famiglia tradizionale e uscire da una situazione assurda", afferma Piano. "Faccio un solo esempio: i conviventi che lavorano assieme nella loro azienda non hanno però il diritto di costituire un'impresa di tipo familiare". Ma la minaccia di ribellioni dentro Forza Italia investe anche Milano, dove ben sei consiglieri di matrice "liberal", guidati da Fabrizio De Pasquale, da un anno hanno chiesto che, sull'esempio di Bologna e Pisa, anche la capitale del Nord si doti di un registro delle coppie di fatto. Il sindaco Gabriele Albertini ha finora evitato di mettere in discussione questa proposta che potrebbe mettere in crisi la maggioranza polista. Milano è forse la città dove più alto è il numero di queste unioni. Due anni fa (ultimo dato disponibile) i figli nati da unioni di fatto erano il 18 per cento di tutte le nascite, mentre nel resto d'Italia erano la metà. Milano, insomma, segue da vicino quello che sta avvenendo nel Nord Europa: in Francia, per esempio, da qualche anno i nuovi nati sono per metà di coppie sposate e per metà di coppie di fatto. Il sessuologo Willy Pasini lo ha definito l'ultimo colpo allo statalismo, "un intrigante, ma molto impegnativo fai-da te". A tal punto rischioso che spesso la rottura di queste unioni mette a nudo un lungo elenco di recriminazioni e di diritti negati. La vicenda di Pablo Lapi, un omosessuale di Desio in Brianza, è talmente esemplare da essere finita a Bruxelles sui tavoli d'una commissione che si occupa dei diritti dei gay. "Sono stato legato a Gianni Como, un manager, per dieci anni", racconta. "Poi l'Aids se l'è portato via. Ai suoi funerali, i parenti hanno chiesto al parroco di non farmi entrare in chiesa. Ora mi stanno buttando fuori dalla casa dove abbiamo convissuto, che è di loro proprietà, anche se Gianni mi aveva nominato suo erede universale". Ancor più forte delle coppie eterosessuali, che possono comunque sposarsi, è l'interesse delle organizzazioni gay per il riconoscimento di queste unioni di fatto. "Non pretendiamo certo di arrivare alle adozioni", osserva Marco Volante dell'associazione Gay-lib, "ci interessa partecipare all'assegnazione degli alloggi popolari, ai mutui agevolati che le banche riservano alle famiglie e a tutti quei benefits che le aziende prevedono per le coppie sposate". Due giornalisti quarantenni, Fabio Bo e Holger Lenz, vivono assieme a Roma senza troppi problemi. "Però viaggiamo molto e l'Alitalia, come le altre compagnie, ci discrimina. Non possiamo usufruire delle tariffe speciali per coppie, poiché escludono dalle agevolazioni gli omosessuali". Fra le coppie gay c'è una certa stabilità. Il sociologo Marzio Barbagli è arrivato alla conclusione, dopo un ampio studio su 3.500 casi condotto assieme a Asher Colombo, che il 14 per cento degli omosessuali vive in coppia. Alberto Baliello, imprenditore, e Giorgio Giorgetti, studente, vivono assieme da tre anni felicemente e agiatamente a Trieste.

Amareggiati solo da una miriade di problemi fiscali. " Non posso inserire Giorgio nel 740 come coniuge a carico", si lamenta Baliello. "Non possiamo poi avere i mutui agevolati per la casa, concessi alle famiglie dalla Regione Friuli. E se dovessi fare testamento a favore di Giorgio, per ereditare lui pagherebbe molte più tasse di un normale parente". C'è anche chi, per egoismo o incoscienza, non si preoccupa neppure di fare testamento a favore del convivente. Alla morte di Giorgio Strehler corse molto veleno fra la moglie Andrea Jonasson e la convivente Mara Bugni. In quel caso la disputa legale verteva su una ricca villa a Lugano, ma più spesso alla fine di una convivenza la contesa riguarda modesti appartamenti nei quali la coppia ha vissuto una vita. A Emma L., una varesina di 53 anni, dopo trent'anni di convivenza il suo compagno s'è dimenticato di lasciarle l'appartamento in eredità. "Noi pensavamo che nessuno potesse cancellare il nostro rapporto", dice oggi. I parenti di lui ci sono riusciti in un amen, sbattendola fuori dall'abitazione. Ma questi casi sono il segno d'una negazione di diritti o, piuttosto, conseguenze di una scelta consapevole di voler vivere senza legami? I due più noti avvocati matrimonialisti sono su posizioni opposte. Annamaria Bernardini De Pace sostiene che se si legalizzano le coppie di fatto allora non c'è più alcuna differenza con le coppie sposate: "Chi vuole vivere insieme senza sposarsi deve essere lasciato in pace". Al suo liberalismo estremo si contrappone Cesare Rimini. "È vero che già oggi due persone possono mettersi d'accordo per definire doveri e diritti, anche per iscritto", sostiene lui. "Penso però che il modello da seguire sia quello della recente legge francese, che estende ai conviventi benefici e tutela del sistema pubblico: pensioni reversibili e assistenza sanitaria. Stando però attenti a non chiudere queste coppie in una specie di matrimonio di serie B". La divisione in materia mette una Regione contro l'altra (il Lazio ha esteso alle coppie di fatto non omosessuali aiuti fin qui riservati alle famiglie legali, mentre la Lombardia glieli ha negati) e rischia di spaccare il governo stesso se mai qualche ministro volesse proporre una legge come la francese Pacs. Laura Balbo, ministro per le Pari Opportunità, sta cercando con un escamotage di aggirare l'opposizione dei popolari e del Vaticano ad ogni riconoscimento legale delle famiglie di fatto. La sua idea è di diffondere dei patti di natura privata che servano a garantire i soggetti deboli anche in caso di rottura della coppia. Ora il suo ministero sta per insediare un gruppo di lavoro in proposito. "Alcune coppie consapevoli già ora ricorrono a patti scritti. Si potrebbe fare in modo che diventino la norma", spiega la giurista Gilda Ferrando, che farà parte del gruppo ministeriale. "Un patto scritto potrebbe, ad esempio, assegnare l'appartamento in comodato perpetuo al coniuge che sopravvive o che viene lasciato. Questo non tocca l'eredità, ma evita i traumatici sfratti in caso di morte del convivente proprietario da parte dei suoi parenti. Oppure si può riconoscere una forma di indennizzo a chi ha lavorato nell'impresa di famiglia quando il rapporto viene meno. Il caso più diffuso è quello di chi lavora nel negozio familiare senza essere socio, senza essere assunto e ricevere stipendio". Si prefigura insomma una coppia di fatto all'italiana: nessun riconoscimento giuridico, ma i conviventi saranno invitati ad aprire gli occhi sulla fragilità dei rapporti umani e a premunirsi andando da un professionista del diritto. Resterà una libera unione fondata sull'amore ma ancorata a un patto dettagliato sulla spartizione del conto in banca.

hanno collaborato
Antonia Matarrese e Roberta Rizzo


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