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La Stampa
7 ottobre 1999

La sociologa Saraceno: "Giusto regolarizzare le coppie di fatto, ma il modello statunitense è difficile da importare" "Così si convive in America"

Ecco le regole che l'Italia vuole copiare

Francesca Sforza

In America la chiamano "palimony law" - da "pal", compagno, e "alimony", alimenti - Non è una legge vera, ma un contratto di diritto privato, che tutela chi sceglie la convivenza e che può, all'occasione, essere impugnato davanti a un giudice. Ora l'Italia pensa di copiarlo, per regolarizzare giuridicamente le coppie di fatto nel nostro Paese. L'annuncio è stato dato a Pisa dal direttore del ministero delle Pari opportunità al convegno sulle unioni e il ministro Laura Balbo lo ha subito fatto suo. Ma in cosa consiste precisamente? È possibile tradurlo in italiano? I princìpi della "palimony law" sono stati espressi per la prima volta dalla Corte Suprema dello stato della California negli anni Settanta, nel caso "Marvin contro Marvin" (lui era l'attore di "Duello nel Pacifico" e di "Gorky Park", lei la sua convivente, che pretendeva una liquidazione milionaria). Da allora è stato stabilito che le coppie non sposate possono fare contratti scritti, orali, o "impliciti"; la Corte si riserva di esaminarli qualora la situazione lo richieda. Il contratto deve essere firmato da entrambi i conviventi, deve essere scritto in un linguaggio "chiaro e comprensibile" e "non deve contenere inutili frivolezze". Le clausole da definire riguardano, in special modo, gli aspetti patrimoniali e finanziari della coppia. Si comincia col precisare che cosa ognuno porta di suo nella nuova vita in comune (può essere la macchina, un tappeto persiano o una collezione di stampe cinesi). Se ci sono cose da cui non vi vorreste mai separare, neanche dopo dieci o vant'anni, ditelo subito. Il giudice ve le farà restituire. Per quanto riguarda i beni e le proprietà regalate a entrambi nel corso della relazione, legalmente appartengono a tutti e due (anche se provengono dai parenti di lui o di lei). Se proprio bisogna dividerli, occorre stipulare un contratto in cui se ne definiscono le modalità "di uso e controllo". Ted e Rose, ad esempio, si sono spartiti il televisore che la nonna aveva regalato loro nel seguente modo: lui si è tenuto l'apparecchio, lei si è presa metà del valore in denaro. E per le cose che si acquistano insieme? Il consiglio è dividere per voci. Alcuni oggetti vengono restituiti ai proprietari; altri si dividono a metà; altri ancora si ripartiscono proporzionalmente in base a chi vi ha investito di più (ad esempio, se uno dei due ha costruito tutti i mobili in legno della casa, è giusto che se li riprenda, così come chi ha pagato le rate dell'enciclopedia può tranquillamente considerarla sua). L'ultima delle clausole del patto di convivenza è facoltativa, dedicata ai maniaci della burocrazia di coppia. Stabilisce infatti come vanno divise le spese quotidiane, dalla lavanderia, alla spesa, ai costi delle pulizie. Se per caso, dopo aver adottato un certo piano, uno dei due contravviene (e al posto del pollo compra un più costoso filetto), non ha diritto a risarcimenti. Ecco dunque in che consiste il modello americano. Al di là dei paradossi, permette che le questioni siano risolte all'interno della coppia, senza interventi improvvisi di famigli o altri estranei. Può essere importato anche da noi? "Direi di no - dice Chiara Saraceno, docente di Sociologia della famiglia all'Università di Torino - È un modello che corrisponde alla tradizione statunitense, dove anche i matrimoni si fondano sulla base di patti. Da noi si tratta semplicemente di riconoscere il valore sociale delle coppie di fatto e di tutelare la disponibilità delle persone a legarsi tra loro. La clandestinità non è giusta per nessuno, e soprattutto non fa bene a una società che vuol dirsi civile".


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