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Corriere della Sera
28 Novembre 1999

Alla fine del '98 erano 33 milioni le persone colpite dal virus Hiv nel mondo, la maggior parte nei Paesi in via di sviluppo
Emergenza Aids
In Italia la malattia è in calo, ma le nuove terapie, pur efficaci, non portano ancora a guarigione > La prevenzione resta, perciò, in prima linea

di Gaia Piccinini

Sono quasi due milioni e mezzo le persone morte per Aids nel 1998 e se la malattia continua a diffondersi, arriveranno a 40 milioni i sieropositivi all'alba del secondo millennio. Questi i dati riferiti da Anthony Fauci, direttore del National Institute of Infectious Diseases statunitense sulla rivista New England Journal of Medicine. Dati che sottolineano l'importanza della Giornata mondiale contro la malattia, il primo dicembre. "L'aumento della promiscuità sessuale, in particolare dovuta alla prostituzione, e i flussi migratori verso l'Europa e il Nord America hanno favorito l'attecchimento dell'infezione nel mondo occidentale - spiega Fauci. - Qui il virus Hiv ha trovato un bersaglio ideale nei maschi omosessuali e nei tossicodipendenti, che con i loro comportamenti ad alto rischio hanno fatto esplodere l'epidemia". Alla fine del 1998, c'erano in tutto il mondo più di 33 milioni di persone sieropositive o malate di Aids, di cui più del 40 per cento donne. Nel corso dello stesso anno sono stati stimati in circa sei milioni i nuovi casi, che crescevano al ritmo impressionante di circa 16.000 al giorno. Più del 95 per cento di questi ha interessato i Paesi in via di sviluppo. "È già chiara da questi dati - esordisce Gianni Rezza, epidemiologo dell'Istituto superiore di sanità di Roma - la necessità di distinguere tra Paesi industrializzati e Paesi del Terzo Mondo: nei primi, a partire dal 1996, si è assistito ad un calo della malattia, ma non dei sieropositivi, grazie alle terapie antivirali combinate, cocktail di farmaci che hanno allungato il periodo in cui il virus è presente nell'organismo senza causare la malattia. In secondo luogo la terapia antiretrovirale ha determinato un aumento della durata e della qualità della vita delle persone contagiate, che ha reso possibili comportamenti sociali normali, compresi i rapporti sessuali a rischio. Con un conseguente aumento delle probabilità di diffusione del virus". In Italia il picco delle nuove infezioni si è registrato nel biennio 1985-1986, seguito da un calo a partire dagli anni Novanta. Da qualche tempo però sono comparsi allarmanti segnali di ripresa, dovuta sia alla perdita di una sorta di memoria generazionale sull'Aids, sia al diradarsi delle campagne d'informazione.
Tenere alta la guardia "Preoccupa soprattutto - prosegue Rezza - l'abbassamento della percezione della soglia del rischio: con le nuove terapie sembra di avere a che fare con una malattia gestibile e controllata. Se questa visione introduce una nota di ottimismo, non deve però diventare la scusa per avallare un progressivo accantonamento delle precauzioni, dall'uso del preservativo a quello di siringhe monouso". Un panorama ben diverso si delinea all'orizzonte dei Paesi del Terzo Mondo. Nella maggior parte dei Paesi africani, il virus sta decimando la parte produttiva della popolazione, lasciando prevedere che tra una quindicina d'anni l'aspettativa di vita sarà in media più breve di sedici anni rispetto a oggi. Dati ufficiali indicano che in Ruanda, come in Tanzania o Zimbabwe, quasi l'80 per cento degli individui tra i 20 e i 50 anni è sieropositivo. Ma non è il cuore del continente nero a destare più preoccupazione, bensì l'Africa australe, la zona dei Grandi Laghi e Paesi quali il Malawi o il Sudafrica: qui le stime più pessimistiche profilano l'agghiacciante traguardo di sei milioni di persone infettate dall'Hiv entro il 2005. Ma il ticchettio più allarmante proviene dalla bomba a orologeria rappresentata dal Sud-Est asiatico. Le zone più interessate sono la Tailandia, l'India, la Birmania, il Sud della Cina e parte del Vietnam. Qui l'infezione si sta spostando dai tossicodipendenti alla popolazione generale, grazie alla prostituzione, alimentata con costanza dal turismo sessuale.
L'esiguità delle risorse Non sembrano comunque profilarsi soluzioni facili per questo ennesimo dramma della povertà: "Le difficoltà - puntualizza l'epidemiologo romano - non riguardano solo i costi assoluti: sono Paesi in cui si muore di diarrea o di morbillo. Si crea così una sorta di competizione tra le diverse malattie". Non potendo sostenere il peso economico della prevenzione e della cura delle svariate malattie, i sistemi sanitari nazionali sono costretti a fare una scelta, in una roulette russa di statistiche e previsioni, che ignora tutt'oggi se a tirare il grilletto per l'ultima volta sarà la malaria oppure il morbillo, la tubercolosi oppure l'Aids. È quindi difficile indignarsi di fronte a governi lontani che antepongono le spese per la reidratazione di un bambino in fin di vita per un attacco di diarrea alla cura non sempre risolutiva e comunque a lungo termine, e molto costosa, di un malato di Aids. Ma tutto questo sembrerebbe scuotere ben poco i Paesi industrializzati che restano a guardare, lasciando il Terzo Mondo in balìa delle sue drammatiche scelte.


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