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Vittorio Alfieri (1749-1803)
Vita scritta da esso [1790].
Capitolo terzo.
Primi sintomi di carattere appassionato.

Testo inviato da Giovanni Dall'Orto

I fatti narrati dall'Alfieri si collocano grosso modo "fra i sette ed ott'anni".

Il testo qui proposto è quello edito online da I Classici della Letteratura Italiana.

Vittorio Alfieri (1749-1803)

Vita scritta da esso [1790].


Capitolo terzo.
Primi sintomi di carattere appassionato.

Ma qui mi occorre di notare un'altra particolarità assai strana, quanto allo sviluppo delle mie facoltà amatorie. La privazione della sorella mi avea lasciato addolorato per lungo tempo, e molto più serio in appresso. Le mie visite a quell’amata sorella erano sempre andate diradando, perché essendo sotto il maestro, e dovendo attendere allo studio, mi si concedeano solamente nei giorni di vacanza o di festa, e non sempre. Una tal quale consolazione di quella mia solitudine mi si era andata facendo sentire a poco a poco nell’assuefarmi ad andare ogni giorno alla chiesa del Carmine attigua alla nostra casa; e di sentirvi spesso della musica, e di vedervi uffiziare quei frati, e far tutte le cerimonie della messa cantata, processione e simili. In capo a più mesi pensava più tanto alla sorella, ed in capo a più altri, non ci pensava quasi più niente, e non desiderava altro che di esser condotto mattina e giorno al Carmine.

Ed eccone la ragione. Dal viso di mia sorella in poi, la quale aveva circa nov’anni quando uscì di casa, non avea più veduto altro viso di ragazza, né di giovane, fuorché certi fraticelli novizj del Carmine, che poteano avere tra i quattordici e sedici anni all’incirca, i quali coi loro roccetti assistevano alle diverse funzioni di chiesa; questi loro visi giovanili, e non dissimili da’ visi donneschi, aveano lasciato nel mio tenero ed inesperto cuore a un di presso quella stessa traccia e quel desiderio di loro, che mi vi avea già impresso il viso della sorella.

E questo insomma, sotto tanti e sì diversi aspetti, era amore; come poi pienamente conobbi, e me ne accertai parecchi anni dopo, riflettendovi su; perché di quanto io allora sentissi o facessi nulla affatto sapeva, ed obbediva al puro istinto animale.

Ma questo mio innocente amore per quei novizi giunse tant'oltre, che io sempre pensava ad essi ed alle loro diverse funzioni; ora mi si rappresentavano nella fantasia coi loro devoti ceri in mano, servienti la messa con viso compunto ed angelico, ora coi turiboli incensando l’altare; e tutto assorto in codeste immagini, trascurava i miei studi, ed ogni occupazione, o compagnia, mi nojava.

Un giorno fra gli altri, stando fuori di casa il mio maestro, trovatomi solo in camera, cercai ne' due vocabolari latino e italiano l'articolo frati, e cassata in ambedue quella parola, vi scrissi Padri: così credendomi di nobilitare, o che so io d’altro, quei novizietti, ch’io vedeva ogni giorno, e da cui non sapeva assolutamente quello ch’io mi volessi.

L’aver sentito alcune volte con qualche disprezzo articolare la parola Frate, e con rispetto ed amore quella di Padre, erano la sola cagione per cui m’indussi a correggere quei dizionari: e codeste correzioni fatte anche grossolanamente col temperino e la penna, le nascosi poi sempre con gran sollecitudine e timore al maestro, il quale non se ne dubitando, né a tal cosa certamente pensando, non se n'avvide poi mai.

Chiunque vorrà riflettere alquanto su quest’inezia, e rintracciarvi il seme delle passioni dell’uomo, non la troverà forse né tanto risibile né tanto puerile, quanto ella pare.

Da questi siffatti effetti d'amore ignoto intieramente a me stesso, ma pure tanto operante nella mia fantasia, nasceva, per quanto ora credo, quell’umor malinconico assai, che a poco a poco s'insignoriva di me, e dominava poi sempre su tutte le altre qualità dell'indole mia.



L'Archivio di Storia Gay e Lesbica è a cura di Giovanni Dall'Orto

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