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Perché aderisco all'appello
di Giovanni Dall'Orto
giovanni.dallorto@iol.it
Alcune persone ritengono che per "tenere al loro posto" i froci sia giusto terrorizzarli con atti di violenza, e che a questo scopo non sia inadeguato nemmeno l'assassinio.
Altre persone ritengono che per tenere al loro posto queste "alcune persone" sia giusto terrorizzarle con atti di violenza, e che a questo scopo non sia inadeguato nemmeno l'assassinio.
Gli assassini di Shepard e coloro che desiderano assassinarli per ritorsione sono dunque figli della stessa cultura e della stessa mentalità. Ammantarsi della Legge e chiamare con altro nome un assassinio legalizzato non cambia i termini del problema.
Coloro che pensano che la condanna all'ergastolo non sia una pena abbastanza terribile sono persone che non tengono in alcun valore la libertà e la dignità umana.
Gli assassini di Shepard sono insomma i capri espiatori di una società che vuole lavarsi le mani delle proprie responsabilità scaricandole tutte su di loro.
Sono ragazzi cresciuti in una società che da un lato insegna che la pena di morte è giustizia, e dall'altro propone ossessivamente (pensiamo solo ai film di "Rambo" o ai comitati di "cittadini giustizieri") l'idea che è morale farsi giustizia da sé. Cioè proprio quello che hanno fatto i due ragazzi che hanno "giustiziato" Shepard.
Questi due assassini hanno responsabilità morali da cui non possono pensare di scaricarsi incolpando, come al solito, la vittima. Fa orrore il solo pensare alle torture che hanno inflitto, da vigliacchi in due contro uno, a un adolescente senza neppure colpe nei loro confronti. Hanno premeditato e attuato freddamente un crimine, sapendo che era un crimine.
Per tutto ciò fanno orrore... ma al tempo stesso fanno anche pena perché sono stati solo sfortunati. Se Shepard non fosse stato un adolescente di razza bianca, biondo e bello, con un famiglia determinata a dire la verità, avrebbero potuto cavarsela con molto meno, e forse perfino con un'assoluzione.
Pensiamoci: quante grasse e sfatte travestite sessantenni, magari di razza nera, sono state assassinate impunemente nel tempo che è durato il processo Shepard? E quando rispettabili padri di famiglia sono stati sgozzati da una marchetta nello stesso periodo? E in quanti casi la notizia è finita in due righe sulla pagina di cronaca nera di un foglio locale, o lo "scandalo" è stato soffocato dalla famiglia, dai parenti, agli amici, perché il "turpe segreto" non fosse conosciuto?
Ripugna alla coscienza pensare che i tribunali che oggi sono chiamati ad infliggere la pena di morte per il crimine contro Shepard sono gli stessi che fino a ieri, e in certi casi anche oggi, concedevano l'assoluzione o una mite pena sulla base della tesi assurda dell'"homosexual panic": il panico irresistibile che - ci assicuravano gli psichiatri - colpisce un sano e virile maschio eterosessuale oggetto di avances da parte di un losco pervertito omosessuale.
Sì. La Giustizia che oggi reclama la vita dell'assassino di Shepard è la stessa che fino a ieri ha insegnato che è scusabile se un uomo "normale", per salvare l'onore, uccide il pervertito che gli fa un'avance. (E in effetti l'avvocato di McKinney sta cercando di fare applicare almeno come attenuante proprio questa tesi). La Giustizia che vuole assassinare McKinney è la stessa che afferma in metà degli Stati Usa che Matthew Shepard era un criminale, un "felon", perché omosessuale.
La Legge che si arroga il diritto di decidere della vita e della morte di Mc Kinney è la stessa che nonostante le continue stragi non riesce a proibire la libera vendita di armi col pretesto che ciò impedirebbe ai cittadini di farsi giustizia da sé, usando le armi appunto. E le armi, si sa, sono fatte proprio per uccidere.
Lavarsi le mani nel sangue di McKinney è quindi solo un tentativo di scrollarsi di dosso queste responsabilità, scegliendo un capro espiatorio e dando a lui tutte le colpe della Società, che in questo modo si auto-assolve dalle proprie responsabilità.
Anche se l'assassinio legalizzato non fosse assolutamente immorale di per sé (come invece è); anche se la pena di morte non fosse totalmente inutile come deterrente (l'unico Paese occidentale che la applica con regolarità, gli Usa, è poi quello con il più alto numero di omicidi di tutto l'Occidente, in rapporto alla popolazione), queste ragioni dovrebbero spingere ad opporsi alla pena di morte almeno in questo caso.
Assassinare McKinney non farà nulla per migliorare ln tutti gli Usa la vita di centinaia di migliaia di Matthew Shepard, che per colpa della Legge americana sono automaticamente dalla parte del torto nel caso subiscano violenza.
Gli assassini di Shepard sono i figli legittimi di quella barbarie che oggi pretende di giudicarli.
Noi che lottiamo contro la barbarie perché crediamo in una società non basata sulla violenza e sull'intolleranza, non possiamo accettare l'idea che l'assassinio, a certe condizioni, possa essere giusto ed anzi doveroso.
Perché se il processo Shepard deve essere un "caso esemplare", allora esso deve insegnare esattamente l'opposto: che a nessuna condizione e per nessun presunto alto motivo morale l'assassinio può essere tollerato dalla società.
Un verdetto che accettasse la teoria morale in base alla quale hanno agito gli assassini di Shepard, cioè che l'assassinio a certe condizioni è lecito, sarebbe una sconfitta per noi che come gay lottiamo contro la barbarie e che, non lo dimentichi nessuno, chiediamo che sia abolita la pena di morte che ancora esiste contro l'omosessualità in certi Paesi del mondo.
Perché se un delitto gravissimo giustifica la pena di morte, e l'omosessualità è ritenuta un delitto gravissimo (e in certi Stati Usa tale è ritenuto), allora nessuna considerazione morale impedisce di applicare "giustamente" la pena di morte agli omosessuali.
Davvero, non si vede come sia possibile applicare due pesi e due misure.
Infine, se tutto quanto ho detto non bastasse, ricordiamo che togliere la vita a McKinney, mettendosi al suo stesso livello di cieca barbarie e fanatica ottusità, non restituirà Matthew Shepard alla vita.
E da che mondo è mondo, due torti non hanno mai fatto una ragione.
Giovanni Dall'Orto |