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Il santo dei fanciulli - Ritratto di don Bosco come gayApparso su "Babilonia" n. 52, dicembre 1987, pp. 26-28 1) Archivio di Stato di Venezia (ASV), "Santo Uffizio", Processi, "busta" 8, "pezza" 28; sentenza nella "pezza" 29. |
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Il santo dei fanciulliRitratto di don Bosco come gaySi ritorna a parlare di san Giovanni Bosco e della sua omosessualità. Avvicinandosi il centenario della sua morte, avvenuta nel 1888, vogliamo contribuire ai festeggiamenti fornendo un piccolo ritratto del don Bosco "gay", e discutendo - già che ci siamo - del perché la carriera ecclesiastica attragga così tanti omosessuali. Quello dell'omosessualità di san Giovanni Bosco è uno dei segreti che volgarmente vengono detti "di Pulcinella". Se ne parla ormai da anni, tanto che nel congresso internazionale di studi omosessuali Among men, among women, tenutosi ad Amsterdam nel 1983, erano ben due gli studi dedicati a don Bosco e al suo ideale di "amore pedagogico" per l'educazione dei fanciulli. Eppure la chiesa cattolica, nella sua bigotteria, si illude di riuscire a impedire che se ne parli. Così quando di recente Sergio Quinzio ne ha accennato, con serenità, in un libro dedicato ai "santi sociali" piemontesi (Domande sulla santità, Edizioni Gruppo Abele, 1986), apriti cielo. Si ego non scandalizor, quia vos scandalizamini? Eppure anni prima Guido Ceronetti aveva già discusso Urbi et Orbi dell'omosessualità di Bosco, sul quotidiano torinese "La Stampa" (queste considerazioni si possono oggi leggere nel suo Albergo Italia, (Einaudi, 1985) col titolo di "Elementi per una anti-agiografia"). Il bello è che nessuno di coloro che ne hanno scritto si è mai sognato di mettere in dubbio l'effettiva stretta osservanza del voto di castità, da parte del santo: la discussione si è sempre svolta attorno alle sue tendenze, non alle sue pratiche sessuali. Ma tant'è: la chiesa cattolica va sbandierando ai quattro venti di non essere nemica degli omosessuali, bensì "solo" degli atti contronatura, ma se poi si punta il dito sul caso di un omosessuale che effettivamente riuscì ad osservare l'arduo (e casto) modello che essa va proponendo ai gay, si dà a vere scene isteriche. Di fronte alla recente circolare Ratzinger qualcuno ha commentato che la gerarchia cattolica vuole che i gay siano solo o santi, o dannati. A giudicare dalla "questione don Bosco" sembrerebbe piuttosto che gli omosessuali non li voglia proprio, né santi, né dannati. Non stupisce insomma il malcelato imbarazzo di fronte a chi butta all'aria gli altarini tenuti finora accuratamente (e ipocritamente) nascosti. Perché all'interno delle gerarchie cattoliche questi altarini sono ben conosciuti, figuriamoci: l'istituzione ecclesiastica ha avuto due millenni di tempo per imparare a mettere a nudo le altrui, diciamo così, "difficoltà dell'anima"... Pensiamo solo ai gesuiti, pensiamo a quali fini (e pericolosi) conoscitori dell'animo umano siano questi nostri ammirevoli nemici. Manipolando a proprio vantaggio il precetto evangelico di "non esser pietra di scandalo", la Chiesa ha sempre coperto con un fitto velo di omertà le magagne esistenti al proprio interno. Per secoli è riuscita persino a sottrarre alla giurisdizione dei comuni mortali i sacerdoti delinquenti, giudicandoli per conto suo (molto più mitemente, va da sé) grazie al cosiddetto "foro ecclesiastico". E in barba a tutte le condanne all'omosessualità, le inchieste sulla sessualità dei sacerdoti continuano a rivelare percentuali scandalosamente alte di gay nelle fila della più antiomosessuale organizzazione del mondo. L'ultima, compiuta in America, rivela percentuali del 3O%, e in certi casi perfino di più. La Chiesa naturalmente sa di avere una così grossa pattuglia di "diversi" nei suoi ranghi, e considera la cosa un po' come un tallone d'Achille. L'esplodere dell'Aids fra i sacerdoti cattolici statunitensi sta del resto rendendo sempre meno "gestibile" e sempre più imbarazzante la questione: ormai i giornali ne discutono apertamente. La paura che questa curiosità riveli troppi "panni sporchi" è probabilmente la ragione per cui i gay costituiscono per la gerarchia cattolica un'ossessione così fanatica. Quale torturatore dei regimi fascisti sudamericani, per esempio, si è mai visto condannare con parole dure e inequivocabili quanto quelle riservate agli omosessuali? E quale omosessuale è stato mai trattato con l'indulgenza che Woityla ha di recente riservato al generale Pinochet? Tu ex illis es, nam loquela tua te manifestum facit. Sicuramente per noi sarebbe importante capire cosa nell'istituzione ecclesiastica attiri in modo così potente gli omosessuali. Da un lato esiste indubbiamente un aspetto di "convenienza": per secoli il religioso è stato una delle poche persone a cui l'opinione pubblica concedeva il diritto di vivere celibe. Per secoli tutti gli omosessuali meno disposti al matrimonio e ai dolori della "doppia vita" eterosessuale, hanno trovato nella Chiesa un rifugio, uno schermo contro il pettegolezzo e l'ostilità che colpivano senza pietà il celibe "senza giustificazione". In un certo senso la Chiesa fu anzi "vittima" della sua stessa propaganda antiomosessuale, finendo con l'incoraggiare coloro che perseguitava a rifugiarsi nel suo seno per avere un po' di requie. Ad esempio san Bernardino da Siena dichiarò senza peli sulla lingua in una predica del 1424: "Guai a chi non toglie <prende> moglie avendo el tempo e cagione legittima! Chè non pigliandola diventano soddomiti. E abbi questa regola generale. Come tu vedi uno in età compiuta e sano della persona, che non pigli moglie, abbi di lui cattiva istificanza, se già non fusse da stare per ispirito in castità". Vale a dire: sospetta di lui come sodomita, salvo che nel caso in cui abbia scelto di vivere celibe per motivi religiosi... Esiste però anche una seconda motivazione, altrettanto forte del desiderio di sfuggire al pregiudizio sociale, e che forse oggi, coll'estendersi dell'accettabilità del single, è prevalente. Si tratta della capacità, propria dell'istituzione ecclesiastica, di offrire un surrogato di famiglia a chi non ha diritto ad averne una "sua", in quanto "diverso". È la proposta di quella convivialità fra persone dello stesso sesso, la costruzione di quella "fraternità" (o "sorellanza") fra uomini o fra donne, che solo di recente, dopo secoli di vani sforzi, le comunità omosessuali sono riuscite a creare "in proprio". La segregazione sessuale all'interno della Chiesa offre insomma ai gay l'occasione irripetibile di vivere il loro affetto per persone dello stesso sesso, in un contesto che non solo non disapprova tale sentimento, ma anzi lo incoraggia e loda. Basta solo che questo amore non "trascenda" mai al livello sessuale, e si mantenga nei limiti dell'"amore cristiano": tutto qui. "Guai ai soli", dice la Bibbia, "perché se inciamperanno chi li aiuterà a rialzarsi?". Per molti omosessuali la risposta alla domanda è sempre stata: "la chiesa cattolica". Domine, non sum dignus. Don Bosco è indubbiamente uno di questi casi di omosessuali che nella Chiesa hanno trovato una famiglia e una "missione". Anzi, di più: è un pedofilo che riuscì a sublimare la sua attrazione per i bambini in modo non solo non riprovato, ma addirittura socialmente utile. Lo intuiamo da uno dei pareri più sorprendenti mai espressi su di lui: quello di Girolamo Moretti, il sacerdote iniziatore della scienza grafologica in Italia, che analizzò la scrittura del santo, presentatagli in modo anonimo. "Il carattere del soggetto", fu il responso di Moretti, "tende ad essere dominato da una insincerità così bene architettata da rovinare un'intera generazione ed essere così uno di quegli individui che sarebbe meglio non avessero mai aperto gli occhi alla luce. Si deve aggiungere che il soggetto ha molta facilità all'intenerimento sessuale, una spinta all'affettività di languore per cui, col complesso delle qualità descritte, metterebbe in azione ogni sforzo per colpire la vulnerabilità delle anime a piegarle ai suoi intendimenti morbosi". Il parere di Moretti mozza il fiato, ma riceve la sorprendente conferma da san Giuseppe Cafasso, un altro dei "santi sociali" piemontesi, che di don Bosco fu il confessore. "Se non fosse che lavora per la gloria di Dio", lasciò scritto Cafasso, "direi che è un uomo pericoloso, più per quel che non lascia trasparire, che per quel che ci dà a conoscere di sé. Don Bosco, insomma, è un enigma". Enigma, cultore della "doppia vita", facile preda dell'"intenerimento sessuale"... Ce n'è abbastanza per far drizzare le orecchie anche ai più ingenui. Il fatto è che don Bosco non fu solo omosessuale. Se fosse stato solo quello, la vita per lui sarebbe stata più facile. Una certa indulgenza verso le "tentazioni", figlie del demonio e non responsabilità dell'individuo che le subisce (senza cedervi, ovviamente) era normale da parte della Chiesa e della società laica del tempo, che non aveva ancora il concetto di "tendenza omosessuale". No: don Bosco non è solo un omosessuale. E' anche un pedofilo. E su questo punto ottenere l'indulgenza da parte della società, ieri come oggi, è sempre stato un altro paio di maniche. Per mettere a fuoco la questione mi servirò delle parole di Ceronetti, ammirevoli per la loro sapienza nel "dire" in modo esplicito ma discreto. "C'è un documento iconografico notevole di questa "affettività di languore"", osserva Ceronetti: "la confessione davanti al Fotografo, in bella posa, del chierichetto Paolo Albera, tra altri preti e ragazzi. Don Bosco aveva voluto che gli poggiasse la fronte sull'orecchio. Questo intenerimento non andava che ai "giovanetti"; aveva un vero orrore del contatto femminile. Vedendosi una volta insaponare la faccia dalla moglie del barbiere, scappò via insaponato dalla bottega (Noli me tangere in versione torinese). Nessun santo ha lasciato, come ultime parole scritte di suo pugno, un pensiero così strano come don Bosco: "I giovanetti sono la delizia di Gesù e Maria". Soltanto loro". E poco oltre: "E se il suo più profondo segreto fosse la consapevolezza di essere quel che dice il padre Moretti, 'uno di quegli individui che sarebbe meglio non avessero mai aperto gli occhi alla luce'?" Spiritus carnis me colaphissat. Se questo è il quadro "segreto" dei desideri "inconfessabili" di don Bosco, è facile capire come per lui l'ingresso nell'istituzione ecclesiastica abbia voluto dire una possibilità di dar sfogo, e in modo onesto, al suo desiderio di star vicino ai "fanciulli", e al tempo stesso una garanzia di ferrea disciplina per evitare di cedere ai propri impulsi. Ceronetti nel suo saggio suggerisce esplicitamente una dinamica di questo genere. "In tutte le sue firme", osserva, "è costante il Sac. che le precede. Era l'uso, ma (...) in realtà significa anche: sono Io ma all'interno di un sacro Ordine, agisco in nome di, vengo in nome di. E' passaporto, corazza e alibi. (...) Il Sac. è la copertura di una forza misteriosa presentita, per mezzo di un potere rassicurante e legittimante: questo Bosco "che avrebbe fatto meglio a non nascere", è sacerdos, fulmine di Chiesa, e la Chiesa lo conforta: i diavoli non praevalebunt" ("non prevarranno", N.d.R.). E, conclude Ceronetti, se non fosse stato prete "come sarebbe ricordato oggi (...) Giovanni Bosco? (...) Qualcuno avrebbe finito per farlo fuori con una pietra o una roncola. Sarebbe stato un santo senza statua in San Pietro. Certo mi apparirebbe più amabile". L'abito religioso è insomma per Bosco al tempo stesso "chiave" meravigliosa che gli apre la porta all'intimità coi "fanciulli" senza destare sospetti, e corazza che lo difende da se stesso e dai propri desideri. Repressa e compressa la sessualità diviene così per Bosco un'ossessione, un sogno segreto, un fantasma spaventoso, un'idea fissa che tende a travasarsi sulle preoccupazioni che egli instilla nei suoi collaboratori e discepoli. L'intero ideale educativo di don Bosco è impregnato del suo amore per i bambini, del suo bisogno di stare con loro, di amarli. L'educatore deve amare il fanciullo, fargli sentire che è amato ("in Cristo", ovviamente), e attraverso questo "amore pedagogico" farsi strada verso la sua anima, che deve essere guidata, sorvegliata e indirizzata ai valori cristiani. L'educatore deve essere capace di scendere al livello dei bambini, farsi fanciullo coi fanciulli, parlare loro con il linguaggio che essi capiscono. (Le fin troppo note agiografie di Bosco lo descrivono agli inizi della sua carriera come funambolo e saltimbanco, mentre per strada cerca di attirare l'attenzione dei ragazzi per poi proporre loro il messaggio cristiano). Sinite parvulos venire ad me. Queste furono teorie a modo loro "rivoluzionarie" per l'epoca, e suscitarono scandalo negli ambienti più retrivi della chiesa cattolica, che mal vedevano tanta familiarità tra sacerdoti e laici, fra adulti e ragazzacci, fra borghesi e figli di povera gente o figli di nessuno. Furono teorie che "diedero un tono" peculiare a un ideale educativo tutto sommato tradizionale come quello di Bosco (il quale non capì mai veramente, ed anzi ne diffidò profondamente, i nuovi tempi che venivano, a cominciare dall'Unità d'Italia che lo vide, lui piemontese, tiepido, se non decisamente ostile). Furono anche teorie che diedero modo al suo éros paidikòs di esprimersi, di farsi strada verso la luce del sole, di farsi evidente, esplicito, sicuro di sé. E più cresceva l'espressione del suo amore per i ragazzi, tanto più dovevano crescere le difese mentali approntate contro una sua "degenerazione", cioè una sua manifestazione fisica, sessuale. Sotto questo aspetto don Bosco sembra uscito pari pari da un manuale freudiano. La sua esistenza assomiglia a una esemplificazione quasi pedìssequa (e di una evidenza che negli attuali e maliziosi tempi post-freudiani sarebbe del tutto impensabile) del concetto di "sublimazione dell'impulso sessuale" in un'attività creativa. L'intera esistenza di Bosco è dedicato all'assistenza ai "fanciulli", specie quelli abbandonati, i "ragazzi di strada", i "ragazzi di vita" del secolo scorso. Ma il prezzo pagato per questa impresa monumentale fu la costruzione, nella vita propria e (quel che è peggio) altrui, di immensi argini di contenimento e repressione delle pulsioni sessuali. Non solo: fu anche la sistematica svalutazione del corpo e della corporeità, in dispregio alla disponibilità così nuova di Bosco ad essere "corporeo" coi ragazzi, nel mischiarsi ai loro giochi "da cortile". "Più e prima del desiderio di condividere le giornate dei ragazzi più poveri", osserva Quinzio nel suo libro, "c'era l'esigenza teologico-morale di seguirli momento per momento, di controllarli per evitare che cadessero, fuori di metafora, nella masturbazione o in rapporti omosessuali. (...) L'idea di don Bosco, come già di Alfonso <de' Liguori>, è che tutti, o forse quasi tutti, i dannati si dannino a causa, più o meno direttamente, della "disonestà", cioè della colpa contro la purezza. (...) Una valutazione in positivo della sessualità, per quanto ci risulta, manca completamente in don Bosco". La virtù ideale di Bosco è la castità, al punto che gli sarebbe piaciuto che caratterizzasse specificamente i suoi salesiani, così come la povertà "caratterizzava" i francescani e l'obbedienza i gesuiti. La sua, secondo Quinzio, è una "castità che sembra tendere decisamente all'asessualità, e a una sessualità che, paradossalmente, finisce col coincidere con un'esasperata attenzione, per sfuggirlo, a tutto ciò che appartiene al sesso. (...) Mi turba," continua Quinzio, "l'idea che, perseguendo in modo tanto esclusivo la salvezza celeste dell'anima, propria o altrui, la vita sulla terra viene svalutata: finisce per essere solo un periodo di prova, finisce per essere solo un pezzo di prova al tornio, da buttare via come inutile una volta che la prova è stata eseguita". Lilium convallium. Si può basare un programma di "rinascita cristiana" basandosi sulla rinuncia alla sessualità? Per la società dell'epoca, come per quella di oggi, la risposta è evidentemente no. Eppure l'ossessione di Bosco per la "purezza" mostra che egli in parte ci credette, come mostrano anche i suoi famosi "sogni", allucinazioni oniriche in cui le più sadiche catastrofi colpiscono i "giovinetti" che si lasciano traviare (sempre su questioni sessuali, ovviamente) da "cattive compagnie". Lo stesso modo in cui "costruì" la santità di Domenico Savio dopo la morte (a quindici anni) del ragazzo, mostra fino a che punto lo slogan "la morte ma non peccati" (di tipo sessuale, ovviamente) fosse importante per lui. Domenico si è meritato un posto nel calendario cattolico semplicemente lottando contro i suoi primi istinti e desideri sessuali. Nessuno in quell'epoca si è meritato la canonizzazione lottando contro gli industriali che per pochi centesimi facevano lavorare quattordici ore al giorno ragazzi di molti anni più giovani di Domenico Savio. Evidentemente per Santa Madre Chiesa 14 secondi di orgasmo sono più nocivi di 14 ore di lavoro pesante. Strani parametri di giudizio... In ogni caso se don Bosco credette tanto a questo "itinerario verso la santità", una ragione a mio parere c'è. Ed è che quello fu l'itinerario che guadagnò a lui la santità. Se egli non avesse represso e sublimato così bene i suoi desideri, sarebbe forse stato solo uno di quei "froci di paese" di cui è piena la cronaca nera dei giornali di provincia. Chissà. Ciò che aveva funzionato per lui (sembra di sentire il suo ragionamento) perché non avrebbe dovuto funzionare per gli altri? La risposta è: semplicemente perché gli altri non erano lui. Come ha compreso la stessa chiesa cattolica, che oggi guarda con un certo sospetto agli ideali educativi di don Bosco. Puzzano di pederastia anche per lei, ormai. Lasciato da parte diavolo e diavoletti, anche lei comincia a capirne qualcosa di "tendenze sessuali" "pulsioni" e simili "diavolerie" laiche. Non del tutto, sia chiaro: la circolare Ratzinger di qualche mese fa segna una voluta regressione ad un approccio alla sessualità che è - letteralmente - quello del Medioevo. Tuttavia, sebbene la Chiesa faccia ancora finta di non volersi insozzare con certe idee laiche, ormai di psicologia ne ha capito abbastanza per diffidare delle implicazioni erotiche di questo rapporto amoroso (seppur "amore in Cristo"...) fra insegnante e ragazzo. Oggi i pedagogisti cattolici non vedono di buon occhio il "farsi fanciullo tra i fanciulli" di don Bosco, e la sua "amicizia amorosa" per loro. La stessa educazione segregata per sessi, un tempo considerata unica salvezza contro lascive frequentazioni tra giovani, oggi è vista come un pericoloso incentivo allo sbocciare di tentazioni omoerotiche fino a quel punto assopite. Ben vengano le scuole miste, dunque, in barba al terrore che delle donne aveva don Bosco! Insomma: Bosco si ritrova ormai santo, ma sconfessato proprio in quell'aspetto della sua vita che ha fatto di lui un santo. Ironie della storia... Tra pochi mesi dovremo affrontare l'inevitabile centenario, con i soliti francobolli commemorativi, gli scontati dossier sui giornali e (speriamo di no) gli immancabili sceneggiati televisivi democristiani in dodici puntate. Chissà se in tutta questa bailamme celebrativa qualcuno avrà l'onestà di ricordare, fuor di retorica, che esistette anche un bizzarro don Bosco "privato", per cui la strada alla santità passava attraverso l'amore dei fanciulli... Giovanni Dall'Orto
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L'Archivio di Storia Gay e Lesbica è a cura di Giovanni Dall'Orto Tutti gli articoli qui pubblicati appaiono per gentile concessione degli autori. |
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