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La Fenice di Sodoma.
Essere omosessuale nell'Italia del Rinascimento
di Giovanni Dall'Orto
Edito in: "Sodoma" n. 4, Primavera/estate 1988, pp. 31-53. Poi in: Wayne Dynes e Stephen Donaldson (a cura di), History of homosexuality in Europe and America, Garland, New York & London 1992, pp. 61-83 (due pagine sono state invertite per errore).
1) Sul dibattito costruzionismo-essenzialismo il lettore italiano troverà nella nostra lingua solo un sommario riassunto di uno storico essenzialista, John Boswell: "Rivoluzioni, universali e categorie sessuali", in: Robert e Peggy Boyers (a cura di), Omosessualità, Feltrinelli, Milano 1984, pp. 59-86.
2) La lista dei sodomiti sta in: ASV (Archivio di Stato di Venezia), Consiglio dei Dieci, Miste, reg. VIII, f. 135v.
Un indispensabile resoconto sul trattamento dei sodomiti nella Venezia del Tre-Quattrocento, nato dalla consultazione diretta dei documenti d'archivio, è in: William Ruggiero, Sexual Criminality in Early Renaissance Venice, "Journal of Social History", VIII 1979, pp. 18-37, successivamente ampliato in forma di libro: Id., The Boundaries of Eros, Oxford University press, New York & Oxford 1985. Indispensabili anche : Elisabeth Pavan, Police des moeurs, société et politique à Venise à la fin du Moyen Age, "Revue historique", CCLXIV 198O, Oct.-déc., pp. 241-288; Patricia Labalme, Sodomy and Venetian Justice in the Reinassance, "The legal history review", LII 1984, pp. 217-254; Gianni Scarabello, "Devianza sessuale ed interventi di giustizia a Venezia nella prima metà del XVI secolo", in: AA.VV., Tiziano e Venezia, Neri Pozza, Firenze 1976, pp. 75-84.
Per un rapidissimo cenno sul Settecento si confronti: Giovanni Dall'Orto, An unpublished document from the Archivio di Stato, Venice (1717), "Gay books Bulletin", n.9, Spring/summer 1983, pp. 24-26 (con ulteriore bibliografia).
Ai saggi citati sono debitore delle segnature di gran parte dei documenti d'archivio da me consultati.
3) Benvenuto da Imola, Commentum super Dantis comoediam, Barbera, Firenze 1887, t.1, p. 524. La responsabilità per le traduzioni che appaiono in questo saggio, salvo dove specificato altrimenti, è mia.
4) ASV, Consiglio dei Dieci, Miste, reg. X, ff. da 39v a 4Or (nota: ho seguito la numerazione delle pagine antica)
5) ASV, Ibidem, reg. XIV, f. 3v.
6) ASV, Ibidem, reg. XV, ff. da 49v a 5Or. Pubblicato anche in: G. Lorenzi (a cura di), Leggi e memorie venete sulla prostituzione, Venezia 187O-72, p. 5O.
7) G. Lorenzi (cur.), Op. cit., p. 53.
8) ASV, Consiglio dei Dieci, Miste, reg. XVI, ff. da 127r a 131r.
9) ASV, Ibidem, reg. XVI, f. 148r. Anche in: G. Lorenzi, Op. cit., p. 219.
1O) ASV, Ibidem, reg. XVIII, ff. da 77r a 79r, e 82r.
11) Si veda: Giuseppe Tassini, Curiosità veneziane, Filippi, Venezia 197O, p. 389.
12) ASV, Consiglio dei Dieci, Miste, reg. XXVII, ff. da 11v a 12r. Anche in: G. Lorenzi, Op. cit., p. 81.
13) ASV, Consiglio dei Dieci, Criminali, reg. V, ff. da 67v a 68r.
14) ASV, Ibidem, reg. VII, ff. 28v, 32r-v.
15) ASV, Ibidem, reg. VII, ff. da 32v a 33r.
16) C'è un gioco di parole in questa frase: chiasso significa infatti sia "bordello" che "viuzza"; "mettere" può voler dire sia "portare in direzione di" che "infilare dentro". Quindi questa parte della lettera può essere interpretata come "serpeggiando per quelle viuzze che conducono verso il centro" oppure come "serpeggiando per quelle viuzze " (o "quei bordelli") "dove te lo mettono in mezzo".
17) Niccolò Machiavelli, Tutte le opere, Sansoni, Firenze 1971, p.117O. Il "tordellino" apparteneva così poco all'avifauna da avere nome e cognome, riferiti nella lettera: Michele Costi.
18) Antonio Lanza, Lirici toscani del Quattrocento, Bulzoni, Roma 1973, vol. 2, p. 472.
19) Bernardino da Siena, Le prediche volgari, Pacinotti, Pistoia 1934. A cura di Ciro Cannarozzi. Vol. 2, p. 45.
Una preziosa messa a punto del pensiero di Bernardino da Siena, raffrontato con un eccezionale spoglio "a tappeto" dei processi per sodomia a Firenze nel Quattrocento, ci è fornita da Michael Rocke con: They have lost all shame. San Bernardino on 'sodomites' in XV century Florence, che apparirà entro breve sul numero speciale del "Journal of Homosexuality", dedicato a "The pursuit of the sodomite in early modern Europe". E' un testo altamente raccomandabile, al quale sono debitore di più di uno spunto.
2O) Bernardino da Siena, Op. cit., p. 35.
21) Ibidem, pp. 45-46.
22) Ibidem, p. 33.
23) Sulla notturnità dei sodomiti antichi ho già detto nel mio: L'omosessualità nella poesia volgare italiana fino al tempo di Dante", "Sodoma" n.3, 1986, pp.13-37 (p.35).
24) La disparità d'età e la non reversibilità dei ruoli nel coito sodomitico era ritenuta "naturale" persino dai non-sodomiti. Quando nel 1516 la Repubblica di Venezia promise con un bando l'impunità ai giovani che, avendo sodomizzato un adulto, lo avessero denunciato, la "stranezza" dell'idea suscitò l'ilarità degli astanti: "Molti forastieri ridevano, dicendo "li vechii si fano lavorar"; siché per tutto il mondo anderà questa nova"". (Marino Sanudo, I diarii, tomo 22, Fulin, Venezia 1888, col. 387, 29/7/1516).
25) Bernardino da Siena, Le prediche volgari, (cur. Cannarozzi), Libr. ed. Fiorentina, Firenze 1934-1958, vol. 5, p. 42.
26) Ivi.
27) Bernardino da Siena, Le prediche volgari (a cura di Pietro Bargellini), Rizzoli, Milano s.d. (ma copyright 1936), pp.796-97.
28) Ibidem, p. 898.
29) Bernardino da Siena, Le prediche volgari, (cur. Cannarozzi), Pacinotti, Pistoia 1934, v. 2, p. 4O.
3O) Cellini Benvenuto, Vita, libro II cap. 61 (varie edizioni).
31) Michelangelo Buonarroti, Lettere, a cura di Noè Girardi, Ente prov. per il turismo, Arezzo 1976, p. 94.
Non ho potuto usare la nuova edizione critica dell'epistolario, a cura di P. Barocchi e R. Ristori: Il carteggio, Sansoni, Firenze 1965 - ....
32) Giordano da Rivalta, Prediche inedite, Silvestri, Milano 1839, vol.1, p.1O1.
33) Mateo Bandello, Le novelle, Laterza, Bari 191O, vol.2, p.86.
34) A. Bertolotti, Gli studenti in Roma nel secolo XVI, "Giornale storico della letteratura italiana", II 1883, pp. 141-148.
35) Jean-Jacques Bouchard, Journal, (1632), Giappichelli, Torino 1976-77, vol. 2, p. 27O.
36) Francesco da Buti, Commento sopra la divina commedia, vol. 2, Nistri, Pisa 186O, p. 628.
37) Giovanni Battista Dalla Porta,Della fisionomia dell'uomo, Longanesi, Milano 1971, p. 813. (Testo latino 1586, traduzione italiana, da cui cito, del 161O).
38) Ibidem, p. 972.
39) Anonimo: Liber monstrorum de diversis generibus / Il libro delle mirabili difformità, Bompiani, Milano 1977, p. 38.
4O) Il testo del suo processo inedito è stato pubblicato qualche anno fa da Carlo Marcandalli e Giovanni Dall'Orto: Arsi finché morte ne segua, "Lotta Continua", 1O aprile 1982, pp. 11-13.
41) Le roman de la rose, varie edizioni. Versi 2169-2174 (2181-2186 nella "revisione" attribuita a Marot).
42) Jean-Jacques Bouchard, Op. cit., p. 148. Si confronti Francesco Da Colle: "Queste bardasse isfondolati a ghiotti/ vanno scopando il dì mille bordelli,/ e per mostrarci se son vaghi e belli/ cercando van per chi dietro gli fotti. (...) O frodelente e folle/ chi per cavarsi la rabbiosa fame/ aspetta fin che gli è rotto il forame!" (In: Lanza, Op. cit., vol. 2, pp. 639-4O).
43) Laud Humpreys, Tearoom trade, Aldine, New York 1975 (seconda edizione).
44) Qui analizzo solo gli argomenti che difendono il comportamento sodomitico. All'amore casto fra uomini ho dedicato un saggio apposito, focalizzando la mia attenzione sull'Amor socratico da Ficino al Settecento: Giovanni Dall'Orto: "Socratic love" as a disguise for same-sex love in the Italian Renaissance. Anch'esso apparirà nel numero speciale del "Journal of homosexuality" già citato.
45) Bernardino da Siena, Le prediche volgari, (cur. Cannarozzi), Libr. ed. fiorentina, Firenze 1934-1958, vol. 4, p. 273.
46) Bernardino da Siena, Le prediche volgari, (cur. Bargellini), Rizzoli, Milano 1936, pp. 897-898
47) Francesco Beccuti detto "il Coppetta" (15O9-1553), Rime, Laterza, Bari 1912, p. 29O.
48) Antonio Lanza, Op. cit., vol. 1, pp. 528-29.
49) Francesco Beccuti, Op. cit., pp. 289-29O.
Anche per Mario Equicola il vantaggio del coito eterosessuale è che entrambi i partner, e non solo uno, provano piacere: Seguitémo le donne con le quali ogni fatica ne diletta, dove maggior piacere e reciproco sentìmo, esterminémo li puerili coiti, ove il patiente <passivo> ha in odio l'agente <attivo>. (Mario Equicola, Libro di natura d'amore, 1525. Cito dalla traduzione dell'edizione Giolito de Ferrari, Vinegia 1554, pp. 2O9-21O).
5O) Conquestio uxoris Cavichioli papiensis, in: Vito Pandolfi ed Erminia Artese (a cura di), Teatro goliardico dell'umanesimo, Lerici, Milano 1965, p. 39. Traduzione dei curatori.
51) Francesco Beccuti, Op. cit., p. 284.
52) Bernardino da Siena, Le prediche volgari, (cur. Bargellini), Rizzoli, Milano 1936, p. 897. Cfr. al proposito anche: Bernardino da Siena, "Sermo" n. 45, in: Opera omnia, Quaracchi, Firenze 195O, p. 83.
53) Bernardino da Siena, Le prediche volgari, (cur. Cannarozzi), Libr. ed. fiorentina, Firenze 1934-1958, vol. 4, pp. 184-85.
54) Bernardino da Siena, Ibidem, p. 276.
55) Bernardino da Siena, Ibidem, p. 277.
56) Bernardino da Siena, Le prediche volgari, (cur. Bargellini), Rizzoli, Milano 1936, pp. 913-914.
57) Nicolò dell'Angeli dal Bùcine (1448-ca 1532), Facezie e motti (1515), Romagnoli, Bologna 1874, p. 137. Cfr. anche l'irriverente risposta data da Bruno di ser Benedetto, Ibidem, pp. 84-85.
58) Wesselski Albert (a cura di), Angelo Polizianos Tagebuch, 1477-1479, Diederich, Jena 1929, "facezia" n. 2O8.
Si veda anche Gedéon Tallemant des Réaux, Histoirettes, Gallimard, Paris 1961, vol.2, p. 74O (1654).
59) Giorgio Vasari (1511-1574), Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, Rizzoli, Milano 1976, vol. 3, p. 964
6O) Ibidem, p. 971.
61) Le registre d'inquisition de Jacques Fournier, Privat, Toulouse 1965, vol. 3, p. 45.
62) Ibidem, vol. 3, p. 32.
63) Antonio Cammelli (l436-l5O2), I sonetti faceti, Jovene, Napoli 19O8, p. 233.
64) Conquestio, Op. cit., p.44.
65) Benvenuto Cellini, Op. cit., libro II cap. LXXXI. Per comprendere quale impatto potesse avere tale argomentazione sul pubblico colto dell'epoca, essenziale è il prezioso contributo di James Saslow, Ganymede in the Renaissance, Yale University press, New Haven and London 1986, in gran parte dedicato all'Italia.
66) Antonio Cammelli, Op. cit., p. 294.
67) Maurice Lever, Les bu^chers de Sodome, Fayard, Paris 1985, p. 114.
68) Francesco Beccuti, Op. cit., p. 288. Beccuti ritorna sul concetto anche nella composizione pubblicata a p. 29O.
69) Jean-Jacques Bouchard, Op.cit., vol. 1, p. 148.
7O) Gedéon Tallemant des Réaux, Op. cit., vol 2, p. 74O.
71) Mario Equicola, Op.cit., p.2O9.
72) Caso citato da Prospero Farinacci (1554-1618), Praxis et theorica criminalis (16O8), Varisco, Venezia 16O8, quaestio 148, par. 53.
73) Bernardo Bellincioni, (1452-1492), Le rime, Romagnoli, Bologna 1876, vol.2, p.45. (Per la fonte dell'aneddoto si veda Franco Sacchetti (1332/4O-14OO), Il trecentonovelle, Einaudi, Torino 197O, novella 139. Cfr. anche Wesselski, Op. cit., "facezia" n. 239).
74) Bernardino da Siena, Le prediche volgari, Rinaldi, Firenze 1958, vol. 2, p. 1O5. (A cura di Ciro Cannarozzi).
L'affermazione di Bernardino è confermata da altri confessori e dai processi. Ad esempio Arnold de Verniolle era stato quindici anni senza confessarsi né comunicarsi perché ogni anno si riprometteva di cambiar vita... l'anno seguente. (Le registre.., Op. cit., p. 46). E Christophle Sauvageon: "E' rarissimo che oggi si confessino peccati di sodomia e di bestialità, se non in punto di morte e nei giubilei. (Citato in: Jean-Louis Flandrin, Amori contadini, Mondadori, Milano 198O, p. 15).
75) Per maggiori lumi sull'uso del termine "inclinazione" nell' italiano antico si veda: Salvatore Battaglia (cur.), Grande dizionario della lingua italiana, vol. 7, Utet, Torino 1972, sub voce. Vi si noti in particolare la citazione del Tasso, che distingue l'inclinazione dal costume: "L'inclinazioni precedono gli abiti <abitudini>, e l'inclinazioni sono naturali e gli abiti sono morali".
76) Infatti già Tolomeo (1OOdC-178dC) nel suo Tetrabiblos, uno dei testi fondamentali dell'astrologia, sosteneva (III 13) che i nati avendo in congiunzione Mercurio e Venere sono "negli affari d'amore contenuti nelle loro relazioni con le donne, ma più appassionati di ragazzi" (Tetrabiblos, Heinemann, Loeb, London 1956 p. 358-59). Sulla questione si veda Wayne Dynes, Homolexis, Gay Academic Union, New York 1985, pp. 15-16 (voce: "astrology").
77) Cito dalla traduzione italiana pubblicata nel 1475, intitolata Sopra lo amor, o ver' Convito di Platone, Carabba, Lanciano 1911, ristampa anastatica come L'essenza dell'amore, Atanor, Parma 1982, p. 117 cap. XIV ("Onde viene lo amore inverso i maschi, e lo amore inverso le femmine").
78) Ascanio Condivi, Vita di Michelangelo, Cogliati, Milano 1928, p. 32.
79) Le registre d'Inquisition, Op. cit., vol. 3, p. 43.
8O) Ibidem, p. 17.
81) Ibidem, p. 49.
82) Ibidem, pp. 31 e 42.
83) Mario Marti, Poeti giocosi del tempo di Dante, Rizzoli, Milano 1956, p. 685.
84) La Commedia di Dante Alighieri col commento inedito di Stefano Talice da Ricaldone, Hoepli, Milano 1886, vol. 1, p. 231.
Si tratta in realtà degli appunti di uno studente a una lezione di Benvenuto da Imola nel 1375.
Nel passo corrispondente Benvenuto ha un testo diverso, che mi pare ancora più interessante: Bene Jeronymus dicit quod isti tales erunt muti in die judicii, quia nullam poterunt facere excusationem, sicut alii luxuriosi qui puniuntur extra civitatem, quia habuerunt magnam inclinationem a natura ad mulieres, sicut et caetera animalia naturaliter inclinantur pro conservatione suae speciei. (Benvenuto da Imola, Op. cit., p.533).
85) Scipione Ammirato, Opuscoli, Maffi, Firenze 1637, vol. 2, p. 254.
86) Ibidem, p. 259.
87) Giordano Bruno (e Tommaso Campanella) Opere, Ricciardi, Milano e Napoli 1956, p.538.
Mentre stavo già concludendo il saggio Dick van Loon (Rotterdam) mi ha cortesemente segnalato un brano della Breve istruttion all' Viaggio d'Italia per il mio Illustrissimo Signore Hooft di Antonio Marganetti, manoscritto del Seciento conservato presso la biblioteca dell'Università di Leida. A proposito della Toscana vi si legge che: "Per il più gl'huomini di questa Provintia sono in- clinati a' ragazzi, però <perciò> non è bene haver troppo familiare conversazione con loro".
88) Mario Marti, Op. cit., p. 293.
89) Mateo Bandello, Op. cit., vol. 1, p. 1OO.
9O) Gedéon Tallemant des Réaux, Op. cit. vol.2, p. 74O.
91) Giovanni Dall'Orto, L'omosessualità nella poesia..., Op. cit., p. 32.
92) Niccolò Franco (1515-157O) mostra concretamente come all' epoca si potesse già parlare della sessualità "eterodossa" in termini di "istinto", ma solo ad un livello beffardo e paradossale. Quando nella Priapea (1511, in: L. Tansillo, Il vendemmiatore, Pe-king XIX secolo (sic), p. 92) dichiara: Io non la tengo cosa capitale/ se lasciano i cialtroni <prostituti> e le zambracche <prostitute>/ per darsi al loro istinto naturale, lo fa solo per accusare tutti i calabresi di essere tanto bestie da preferire (per "istinto naturale") il coito con gli animali a quello con gli esseri umani ("ficcano le somare i Calabresi/ o che sian polledrelle, o che sian vecchie").
93) Hugo Sancti Cari, Postillae in universa Biblia, in: Opera omnia, Pezzana, Venezia 17O3, tomo 7, p. 15v.
Un'altra icastica definizione più o meno dello stesso periodo è quella dell'Ottimo commento: "Questo è così contro la natura, come sarebbe che la pietra <cadendo> andasse in su". (L'Ottimo Commento della Divina Commedia, Capurro, Pisa 1827, vol. 1, p. 281).
94) Bernardino da Siena, Le prediche volgari, (cur. Cannarozzi), Pacinotti, Pistoia 1934, vol. 1, p. 414. Si veda anche il testo citato alla nota 84.
La contrapposizione fra "costume" (per la sodomia) e "natura" (per il coito "normale") è esplicita nel Beccuti (op. cit., p. 289): Così dal corso suo quasi è smarrita/ nostra natura vinta dal costume.
95) Bernardino da Siena, Op. cit., p. 415.
96) Ibidem, vol.2, p. 44. Sull'atteggiamento personale di Bernardino al proposito ha discusso più dettagliatamente, e servendosi di più materiale, Michael Rocke, Op. cit., a cui rimando.
97) Maurice Lever, Op cit., p. 43.
98) Eneas, Champion, Paris 1929, tomo 2, p. 81, vv.8567-8573. E poco più oltre agginge che Enea les homes prent, les fames let (prende gli uomini e lascia le donne, v. 86O7). Nell'Eneas la dicotomia "amare i ragazzi/amare le donne" è espressa parecchie volte, anche con immagini molto colorite.
99) Conquestio uxoris, Op. cit., pp. 37 e 39-41. Traduzione dei curatori.
1) Archivio di Stato di Venezia (ASV), "Santo Uffizio", Processi, "busta" 8, "pezza" 28; sentenza nella "pezza" 29.
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La Fenice di Sodoma.
Essere omosessuale
nell'Italia del Rinascimento
Quello dei cosiddetti "stili di vita omosessuali" è un tema che da qualche anno sta facendo discutere: e non solo gli studiosi, ma anche e soprattutto i diretti interessati. Da quando, con la nascita del movimento gay, si può finalmente guardare a questo mondo come a una "comunità" strutturata secondo valori e rituali propri, si sono moltiplicati gli studi sui comportamenti e le mentalità di quanti fino a ieri erano bollati come "devianti".
Non c'è da stupirsi. Analizzare e capire il mondo in cui viviamo è per noi gay la condizione indispensabile per capire quanto in esso sia funzionale alle nostre esigenze e quanto invece scoria di una mentalità nata dai nostri oppressori e da noi introiettata.
Naturalmente per verificare cosa nel nostro stile di vita sia caduco e cosa duraturo è indispensabile un termine di paragone: una società diversa dalla nostra, o un periodo storico lontano da quello attuale.
Da questa esigenza di verifica è nata in me la curiosità per l'argomento di questo scritto, col quale vorrei fornire per l'appunto un termine di paragone "diverso".
Inizialmente avrei voluto intervenire con questo saggio nella querelle fra storici "costruzionisti" (che negano sia mai esistita una sottocultura omosessuale prima del XIX secolo) e quelli "essenzialisti" (che si limitano a riciclare per il passato i comportamenti statunitensi del XX secolo). Entrambi gli approcci mi sembrano dogmatici e insoddisfacenti (1).
E' per ciò che questo scritto si offre al lettore soprattutto come una semplice "visita guidata" alla sottocultura sodomita del Rinascimento.
Per cominciarla in bellezza, come merita, la faremo partire da una delle grandi città italiane del passato: Venezia.
PARTE PRIMA.
I LUOGHI E I MODI
La laguna di Sodoma
Nel 1407 la polizia della Serenissima Repubblica mise a segno un colpo davvero grosso: ben trentacinque sodomiti (non si sa, per la mancanza di alcuni documenti, se ad uno ad uno o tutti assieme) furono scoperti e processati (2).
L'avvenimento, al di là delle gravi complicazioni politiche che causò (quattordici imputati erano nobili) riveste per noi un grande interesse, perché costituisce una delle prime tracce di una rete di frequentazioni fra sodomiti nelle città italiane del Rinascimento.
Non che questa sia la prima attestazione del genere: Benvenuto da Imola (ca. 1336-1388), nel suo commento alla Divina Commedia, si vanta di avere smantellato ben trentadue anni prima (nel 1375) un'analoga rete di sodomiti a Bologna. Qui, a sentire il suo persecutore, tale cerchia godeva persino della universale tolleranza dei cittadini, al punto che "per questo fatto - osserva Benvenuto - io incorsi nell'odio generale e nell'inimicizia di molti" (3).
Tuttavia il processo veneziano del 1407 riveste un interesse particolare: non è infatti un documento isolato, ma il primo anello di una catena di testimonianze sulla presenza di un mondo strutturato di "sodomiti".
Gli arresti in massa continuano a costellare per secoli le carte processuali veneziane. Ne troviamo ad esempio un altro già nel 1422: diciannove le persone coinvolte, fra cui tre barbieri e (4).
Ma di questa presenza strutturata ci parlano anche le leggi stesse di Venezia. Una di esse, nel 1450, menziona i portici vicini a Rialto e quello della chiesa di S. Martino come luoghi d'incontro di sodomiti: "Poiché ci viene detto che a Rialto sotto i portici dei drappieri alcuni adolescenti di sera escono da Rialto e qui commettono turpitudini, e similmente <che> sotto il portico di San Martino, che è scuro e tenebroso, molti commettono in quelle tenebre cose illecite senza essere riconosciuti, sia promulgata una parte <legge>, per cui sia comandato ai nostri Provveditori sopra il sale che sotto quel portico dei drappieri di Rialto facciano accendere quattro lampade, una nell'angolo dell'apoteca delle Malombre, altre due nelle vie che vanno verso Rialto nuovo, ed un'altra sulla scala del governatore, che faccia luce dall'inizio alla sera fino alle ore quattro della notte, affinché se si volesse commettere alcunché di turpe ciò possa essere scorto dai passanti e impedito.
Inoltre i supervisori dell'Arsenale <presso cui si trova la chiesa di San Martino, N.d.T> ordinino che a spese del nostro Tesoro sia fatto chiudere con grosse assi il predetto portico di san Martino, facendo fare quattro porte ai quattro lati delle colonne, che stiano aperte e chiuse secondo gli orari delle porte della chiesa (5).
Cinque soli anni dopo questo decreto, nel 1455, viene deciso di pattugliare certe zone di Venezia, per impedire ai sodomiti di usarle come luoghi di incontro. I membri delle pattuglie "sotto il vincolo del giuramento saranno tenuti a interrogare e investigare diligentemente su chiunque, vale a dire per la loro zona se nella zona stessa qualcuno gestisca luoghi pubblici o case che vengono chiamate "bastie" <taverne>, nelle quali solitamente vengono commessi molti atti illeciti e disonesti, oppure se esistano frequentazioni di età non conveniente, vale a dire adulti che conversano insieme a ragazzi, oppure ancora altre persone sospettate di tale vizio, e dove vadano sia di giorno che di notte. E se i predetti vadano assieme nello spazio vuoto al di fuori della città, e dove; e facciano tutto il possibile perché la faccenda sia bene investigata" (6).
Passano sei mesi ed ecco un nuovo decreto, questa volta per sottoporre a sorveglianza gli scaleteri <pasticceri>, "poiché siamo stati avvertiti del fatto che nella casa di molti scaleteri di questa nostra città molti giovani, ed altri di diverse età e condizioni, si ritrovano di giorno e di notte, e qui giocano e tengono taverna, e commettono molti atti disonesti e sodomie (multae sodomiae)" (7).
Nel 1460 vengono incriminati tutti assieme altri sei nobili; stessa sorte hanno nel 1464 quattordici persone (fra cui cinque nobili), molte delle quali però fuggono prima della cattura (8).
Sempre nel 1464 Aliprando barbiere è punito con due anni di carcere e il bando perpetuo perché è "ruffiano di sodomia", e procura ragazzi a ricchi sodomiti (9).
Nel 1474 abbiamo ancora sei sodomiti (due dei quali nobili) coimputati. La vicenda assume le tinte di un thriller quando l'accusatore viene misteriosamente assassinato (10).
Nel 1488 un editto impone di chiudere con assi di legno anche il portico della chiesa di Santa Maria Mater Domini per i motivi per cui si era già chiuso quello di S. Martino (11).
Un'ulteriore lista di luoghi da sorvegliare viene stilata in un decreto del 1496, che elenca "magazzini, bastie, scuole, tutti i portici, le case degli scaleteri, taverne, postriboli, case delle prostitute; coloro che <le pattuglie> avranno trovato nei luoghi sospetti (...) li dovranno arrestare" (12).
Nel 1537, nell'ennesimo processo di gruppo (7 persone) emerge una sottocultura decisamente più articolata. Uno degli accusati è infatti una ostessa che concedeva ai sodomiti l'uso della sua osteria. Particolare ancora più interessante: di uno degli imputati viene riferito il soprannome, che è femminile: Nympha (13).
Nel 1546 una donna, Lugretia paduana, è bandita da Venezia assieme a due sodomiti, per aver fatto la ruffiana, procurando e alloggiando ragazzi disposti a rapporti omosessuali (14).
Infine nel 1547 appare ancora un gruppo di sodomiti, questa volta composto da sette persone, fra cui due accusati di lenocinio pueri ("lenocinio di ragazzo") (15).
La "famigerata" Firenze
Venezia non è la sola città rinascimentale che valga la pena di esaminare da vicino. Più di Venezia fu sempre la Toscana a godere presso i nostri avi della fama di terra assai tollerante verso il comportamento omosessuale, e quindi favorevole allo sviluppo di una sottocultura.
A qual punto potesse svilupparsi questa sottocultura ci è testimoniato da una "Mappa" dei luoghi frequentati dai sodomiti nella Firenze del Rinascimento, contenuta in una lettera, datata 25 febbraio 1514, in cui Niccolò Macchiavelli narra un'avventura di Giuliano Brancacci, uscito una sera a caccia di "uccelli". Machiavelli immagina di pedinare il Brancacci nella "caccia", che descrive con metafore trasparenti: gli "uccelli" sono esattamente ciò che il lettore ha già immaginato, la "vena" è il membro virile e il "carnaiolo" è l'ano.
Ma lasciamo la parola a ser Niccolò.
"Passò il ponte alla Carraia, et per la via del Canto de' Mozzi ne venne a Santa Trinita, et entrato in Borgo Santo Appostolo andò un pezzo serpeggiando per quei chiasci che lo mettono in mezzo (16); et non trovando uccelli che lo aspettassino, si volse dal nostro battiloro, et sotto la Parte Guelfa attraversò Mercato, et per Calimala Francesca si ridusse sotto il Tetto de' Pisani; dove guardando tritamente tutti quei ripostigli, trovò un tordellino il quale con (...) il lume et con la campanella fu fermo <fermato> da lui, et con arte fu condotto da lui nel fondo del burrone sotto la spelonca dove alloggiava il Panzano, et quello intrattenendo et trovatogli la vena larga et piu' volte baciatogliene, gli risquittì <reinnestò> dua penne della coda et infine, secondo che gli più dicono, se lo messe nel carnaiuolo di drieto " (17).
A ser Niccolò tiene bordone Francesco Scambrilla, poeta minore del XV secolo, che in una sua composizione indica nelle viuzze attorno a sant'Ambrogio la zona "malfamata" in cui si concentravano tutti gli outsiders: Chi vuol di ladroncelli una chiassata/ cerchi da sant'Ambrogio in quelle vie/ e troveravvi birri, messi e spie (...)/ assassin, soddomiti e barattieri,/ ch'alle volte s'uccidon come cani (18).
Noi che siamo curiosi non ci accontentiamo però di indicazioni così generiche. Una volta che fossimo giunti nella Firenze del Quattrocento, ci chiediamo, dove avremmo dovuto cercare le tracce della sottocultura sodomitica dell'epoca?
A questa domanda ci soccorrono le numerose prediche contro la sodomia pronunciate tra il 1424 ed il 1427, a Firenze e Siena, da San Bernardino: sono così ricche di particolari e notazioni psicologiche da costituire una vera e propria "enciclopedia" dei comportamenti omosessuali di allora.
Le ostilità contro i sodomiti il santo le apre tuonando contro le "taverne di corso di malvagge, <i> luoghi riposti ove si tiene pubrico bordello de' garzoni come di pubbliche meretrici, i letti per albergare la notte quando ànno pieno il corpo di vino, la lossuria sodomita in campo. Insensati cittadini che vedete i vostri figliuoli che diventano indemoniati e non vi provvedete a fare serrare le taverne alle ventiquattro ore! (19).
Per Bernardino le taverne sono, senza mezzi termini, una nuova Sodoma: "Vecchi impazzati, quanti ce ne sono! Cerca per le taverne(...). Erano di giacinto, cioè di colore bellissimo, e questi i vostri giovani figliuoli doventati fanciulle. Vergognatevi, padri e madri. Gastigategli, teneteli in casa la notte e menateli <portateli>, voi padri, presso a voi" (2O).
Ma non è finita: anche i pasticceri sono complici, secondo il santo: Voi ispeziali che vendete i pinocchiati, la zuccata e il marzapane e le torte inzuccherate, e sapete bene a cui <chi> le vendete e per che cagione, e non ve ne pare essere tenuti a coscienza (...) perché non avete un poco di coscienza a fare diventare i giovani cattivi! "(21).
Taverne e pasticcerie: le "bastie" e gli "scaleteri" che abbiamo appena incontrato a Venezia. Una coincidenza di luoghi che non può non saltare immediatamente all'occhio.
Bernardino non si è però limitato a specificare il "dove", ma ha indicato pure il "quando": di notte, specie dopo le ventiquattro. Sulla "notturnità" dei sodomiti il santo predicatore insiste con parole di fuoco: "Salvatichi porci sono e sodomiti che sempre vanno, di notte al buio, (...) e guastano la vostra terra, e non vi provvedete. E i porci salvatichi si pascano più di notte che di dì, <e> sono assomigliati a loro" (22). Anche questo aspetto ha riscontro nei documenti veneziani appena esaminati, e in altri ancora: basti dire che ai sodomiti fu più di una volta attribuito il soprannome di gatti per via del loro vagabondare la notte in cerca d'amore (23).
Bernardino omette solo di accusare i barbieri (che invece a Venezia erano spesso coinvolti in scandali a sfondo omosessuale), ma all'epoca la loro utilizzazione come ruffiani era corrente.
PARTE 2.
GLI SCHEMI DI COMPORTAMENTO
Il sodomita, questo pederasta
Se si vuole capire la natura della sottocultura omosessuale pre-moderna è assolutamente necessario tenere presente un suo aspetto peculiare, vale a dire il carattere pedofilo ed efebofilo delle relazioni omosessuali di allora. Quando si parla di sodomia in quest' epoca si parla infatti, quasi automaticamente, di un rapporto fra un adulto e un ragazzo d'età compresa tra i quattordici e diciott'anni (si ricordi che la pubertà all'epoca arrivava più tardi).
Il fatto è che il maschio antico era educato per essere padrone e dominatore nel rapporto erotico e di coppia, e tale esigeva di essere anche nel rapporto omosessuale. La società stessa si sentiva meno minacciata se il rapporto sodomitico si svolgeva secondo criteri e binari che sono sostanzialmente una riproposizione di quelli "normali".
Ciò bastava a garantire un margine di tolleranza ai sodomiti, che però sapevano che comunque li attendeva la pena del rogo se fossero usciti dai confini del tollerato (per esempio seducendo un bambino troppo giovane, o ricorrendo allo stupro).
Ma come facevano a trovare partner tutti i sodomiti di allora, visto che l'adolescenza passa alla svelta? Forse gli omosessuali dell'epoca si "svegliavano" prima? Esattamente il contrario. L'adulto non chiedeva infatti al ragazzo una sessualità "matura" e/o "orientata": anzi, esigeva da lui un comportamento "passivo" (anche e soprattutto nell'atto sessuale). Perciò poco o nulla gli importava della "tendenza" sessuale dell'altro (24).
Da ciò consegue un effetto molto importante. I membri della sot-tocultura sodomita rinascimentale non avevano rapporti sessuali gli uni con gli altri, ma bensì con un preciso gruppo di persone (i ragazzi), collocate in posizione intermedia nel loro mondo (un piede fuori e uno dentro).
E' la medesima situazione che vediamo riproporsi oggi nella sottocultura dei ricchioni del Sud Italia: mai due di loro avrebbero rapporti sessuali l'uno con l'altro. Se lo facessero sarebbero lesbiche o merlettaie, e verrebbero presi in giro dai "colleghi". Il ricchione fa sesso solo con i cosiddetti maschi, cioè con una categoria di persone che si colloca al di fuori della sua sottocultura.
Avere in comune luoghi d'incontro serviva quindi ai sodomiti antichi soprattutto a scambiare informazioni (i ragazzi che "ci stavano") idee e compagnia. Oltre che, naturalmente, a consumare i loro amori.
Va', guadagna, e véstiti e càlzati
Per quale motivo un adolescente eterosessuale accettava di farsi sodomizzare da un adulto? Sostanzialmente per tre ragioni: per denaro (molto importante in una società povera come quella antica), per il piacere di attirare l'attenzione di un adulto (altro aspetto importante quando la condizione di giovane non era invidiata e "centrale" come nella cultura attuale) e infine per l'inconfessato piacere di essere iniziato alla sessualità, seppure in un modo sentito come "surrogato" e non certo soddisfacente.
E' ancora Bernardino a testimoniare del segreto piacere provato da certi ragazzi nel vedersi oggetto delle cure di un adulto: "O sentito di quegli che si lisciano, e vannosi gloriando de' loro soddomitatori, e fannone arte <mestiere> per civanza <lucro>, e vanno stimolando altri del brutto peccato, che mi maraviglio come non pericola questa terra" (25).
Da parte sua la società considerava quasi implicito che i ragazzi di una certa età potessero avere un certo tipo di rapporti sessuali. E in una cultura in cui il potenziale economico del bambino era tenuto in molta più considerazione che oggi, i soldi che un ragazzo potesse aggiungere al bilancio familiare prostituendosi non erano malvisti da tutte le famiglie, e non tutti i genitori avevano voglia di chiedersi da dove venissero. "Le madri vo^tano loro le borse senza volere sapere donde que' danari sono venuti, e màndangli <glieli manda> a casa il diavolo", afferma il solito Bernardino (26).
In fondo quel che contava per la gente di quella società era che l'onore familiare fosse salvo, e i ragazzi, non potendo ingravidare, rischiavano di comprometterlo meno delle ragazze.
"O donna che hai il figliuolo già grandicello - ironizza Bernardino - fallo ben bello, adornalo, perché elli piaccia bene! Ché t'ingegni anco tu di fare ciò che tu puoi, e sénne <ne sei> contenta, perché tu vedi che elli torna poi col farsettino <giacchetta attillata in vita> al bellìco <fino all'ombelico> a casa, e talvolta co la giornea <tipo di sopraveste>, e anco col fiorino in borsa! E sai che è? Che non v'è pericolo: non v'hai a méttare nulla, sai! Elli è maschio: se fusse femina, forse non faresti così, perché ingravidarebbe; e poiché elli non ingravida, e tu ne se' contenta, e fai la schiacciata a la reina del Cielo!" <cioè alla Madonna, per ringraziarla> (27).
Qualche volta i genitori consentono a che il figlio si prosti-tuisca perché sanno che farebbe più rumore reprimere quell'attività che lasciar fare in silenzio: "Il padre e la madre potrebbono levar via che quello peccato non si facci più, e se ne stanno queti per paura di scandolo. (...) Oimmè padre e madre, sì che tu consenti che tal peccato si commetta per uno piccolo con-tento di robba o di denari!" (28).
A volte invece perché gli amichetti del figlio possono venir utili per qualche favore: "Deh! Padre e madre che vedi el tuo figliolo caduto ne' peccati, e non ti curi de' fatti suoi pure che ti rechi degli amici sodomiti a casa, e che ti facci riavere le fave <voti per le cariche pubbliche> e gli uffici!" (29).
Tutto sommato l'appetibilità sessuale di un figlio era spesso vista, specie fra le classi basse, più come un vantaggio da sfruttare che come un pericolo da sventare. Così la madre di Cencio, un "fanciullo" fattorino del Cellini, aveva pensato bene di approfittare dei gusti omosessuali del famoso scultore: un giorno gli confidò di temere che il figlio potesse essere arrestato da un momento all'altro per quello che, a suo dire, aveva fatto con Benvenuto. Gli propose perciò di "nasconderlo" a casa sua (cioè in pratica di mantenerlo lui) o di darle cento scudi per "corrompere" il bargello (di cui era amica, assicurava). In un caso o nell'altro, è implicito, il suo silenzio e la sua complicità erano garantiti (3O).
Persino Michelangelo scrive scioccato in una lettera del 1514 di come un padre gli avesse fatto capire che se avesse accettato di prendere in casa suo figlio per garzone, in cambio avrebbe potuto portarselo a letto senza problemi: "E lui rispose, che se io lo vedessi, non che in casa, io me lo caccerei nel letto" (31).
In qualche caso estremo i genitori arrivano quasi a spingere il figlio alla prostituzione per provvedere al proprio mantenimento, come nel 13O3 lamenta il predicatore Giordano da Rivalta: "Io ho trovato più volte che il padre ha detto al figliuolo: "Va', guadagna, e véstiti e càlzati". Or che crudeltade è questa, che puzza, e che sozzura è questa mai a udire dire?" (32).
Eppure la prostituzione non è attività che permetta di arricchirsi (salvo rare eccezioni). A volte la ricompensa è un piccolo lusso: un dolce (ecco perché le pasticcerie...), un po' di frutta, o un paio di monetine, quelle che usa il Cocco della novella del Bandello (l485-l56l), che "se alcuna volta si gettava a qualche fanciullo, con dui o tre baiocchi si cavava il suo disonesto appetito" (33).
Ciò non toglie che esistano anche attestazioni di una vera prostituzione organizzata e "professionale". Abbiamo visto come a Venezia si fosse condannato più di un barbiere per aver fatto il ruffiano di ragazzi. E secondo Bertolotti nel Cinquecento anche a Roma, in piazza Navona, si aggiravano ruffiani che proponevano ragazzi ai passanti (34).
Ancora verso il 163O Jean Jacques Bouchard (16O6?-1641) descrive la prostituzione dei rampolli della piccola nobiltà napoletana, che professavano pubblicamente il loro mestiere, "restando per tutto il corso della giornata agli incroci delle vie e nelle piazze per attirare i clienti". Ognuno aveva la sua tariffa, e guai a cercare di non pagare! Si sarebbe incorsi nei "colpi di bastone dei protettori"! (35).
Era più femina che l'istesse femine
Quanto detto fin qui non esaurisce però i "tipi umani" del mondo dei "diversi" dell'epoca. C'è un'altra presenza nel mondo omosessuale del Rinascimento, una presenza che ha lasciato tracce così evanescenti da far dubitare, a volte, della sua stessa esistenza. Sto parlando degli "effeminati", dei "transessuali" o, per chiamarli con il nome che qualcuno usò all'epoca, degli ermafroditi.
Il primo a parlarne è Francesco da Buti (1324-14O6), quasi incidentalmente, commentando la parola "ermafrodito" che Dante usa in Purgatorio, XXVI 81 :"Et io mi ricordo che essendo garsone mi fu mostrato uno che andava vestito come omo e stava (...) co la rocca e filava e chiamavasi mona Piera; e <queste persone> sono potenti all'uno e all'altro atto, e però la legge vuole che a questi così fatti si dia elezione <si permetta loro di scegliere>, secondo qual costume volliano vivere" (36).
Due secoli dopo una nuova traccia emerge nel trattato di fisionomia di Giovan Battista Dalla Porta (1528?-1615) che, parlando degli "effeminati" assicura: "Nell'isola di Sicilia son molti effeminati, et io ne viddi uno in Napoli di pochi peli in barba o quasi niuno; di piccola bocca, di ciglia delicate e dritte, di occhio vergognoso, come donna (...) et insomma con corpo e gesti di femina. Volentieri stava in casa, e sempre con una faldiglia, <veste femminile> come donna attendeva alla cucina et alla conocchia; fuggiva gli omini, e conversava con le femine volentieri, e giacendo con loro, era più femina che l'istesse femine; ragionava come femina, e si dava l'articolo femineo sempre: "trista me, amara me"; et il peggio era, che peggior d'una femina sopportava la nefanda Venere" <cioè la sodomia> (37).
Preziosa è la spiegazione del come si diventi "effeminati", secondo Dalla Porta: nei climi umidi e freddi l'umidità non invoglia i maschi al coito, "sì che quando questi uomini si giongono con le lor mogli, e veggono che sono impotenti, e tentato il negozio <l'impresa> due e tre volte e quattro non gli riesce, subito <sic!> dicono che sono effeminati e si vestono le vesti da donna, e si stanno con le donne trattando negozii di donne; così fanno e parlano e si vogliono far chiamar effeminati" (38).
Conosco per ora due sole altre descrizioni di transessuali nel mondo antico. La prima risale addirittura all'epoca carolingia (sec. IX): si tratta di un uomo di entrambi i sessi in un bestiario di autore anonimo. Il libro comincia proprio con la descrizione di questo essere: All'inizio dell'opera testimonio di aver conosciuto un uomo di entrambi i sessi, che tuttavia in volto e nel petto appariva più virile che femminile, e veniva giudicato maschio da chi non lo sapeva, ma amava i lavori femminili, e adescava gli uomini ignari come una prostituta. Eppure dicono che ciò sia accaduto sovente, presso il genere umano (39).
L'ultimo caso a me noto è quello di Rolandino Roncaglia, bruciato a Venezia nel 1354 per "sodomia". Costui, per sua esplicita confessione, "non ebbe mai rapporti sessuali né con sua moglie né con alcuna altra donna perché non sentì mai alcun appetito carnale né riuscì mai ad ottenere l'erezione del membro virile". Uccisa dalla peste la moglie, Rolandino decise di iniziare una nuova vita prostituendosi in abiti femminili in quanto, "dato che ha aspetto, voce e movenze femminili - sebbene non possegga l'orifizio femminile ma abbia membro e testicoli come i maschi - molti reputavano che fosse donna a causa appunto del suo aspetto esteriore. Egli stesso ebbe modo di udire gente che diceva: "costui è una donna"" (4O).
A questo sparuto mazzetto di casi si può aggiungere il Ninfa che abbiamo visto poco sopra. Per il resto è poco chiaro quale fosse il rapporto fra omosessualità ed effeminatezza nel mondo rinascimentale. E' vero che già a metà Duecento il Roman de la Rose collegava tra loro effeminatezza e desideri sodomitici: Cous tes manches, tes cheveux pigne,/ mes ne te farde ni ne guigne/ ce n'apartient s'a dames non/ ou à ceux de mauvais renom/ qui amour par male aventure/ ont trouvée contre nature. (Cuci le tue maniche, pettina i capelli, ma non truccarti e non lanciare occhiate di sottecchi: ciò non si addice se non a dame, o a quelli di cattiva reputazione che l'amore, per mala sorte, l'hanno trovato contro natura) (41).
Tuttavia la questione dell'esistenza, nella società rinascimentale, di un ruolo sociale dell'effeminato, sul tipo del kinaidos greco antico, è ancora da chiarire, e meriterebbe una ricerca a sé. Forse può essere lecito sospettare che il termine bardassa celasse un ruolo del genere: in fondo nel 1632 Bouchard testimonia che "anche molti vecchi si fanno boggerar <sodomizzare> per le emorroidi, come fanno pure molti giovani per il solo piacere, e non per guadagno (42).
Per ora, comunque, è prematuro spingerci oltre.
PARTE 3.
LA CONDIZIONE UMANA
Autocoscienza ed autogiustificazione
Finora abbiamo parlato di ruoli e comportamenti. Ma né ruoli né comportamenti caratterizzano come tale una sottocultura se manca, tra chi ne usufruisce, la coscienza di essere diverso, e quindi una percezione del proprio "io" differente da quella della maggioranza. Certo non sempre è indispensabile che tutti i membri di una sottocultura si sentano parte di un "gruppo", anzi, come ha mostrato Humpreys per gli incontri nei gabinetti pubblici (43) si può dare il caso di chi apprende i comportamenti di una sottocultura pur sentendosi soggettivamente estraneo al gruppo che l'ha creata.
Non tutti gli antichi sodomiti hanno però evitato di chiedersi il "perché" del loro comportamento. Molti giunsero anzi, con gli strumenti culturali messi a disposizione dal loro tempo, al risultato di: 1) giustificare a se stessi il proprio comportamento; 2) affermare il loro diritto a vivere i propri desideri "diversi".
Tentiamo allora di capire ed analizzare un campionario di argomentazioni giustificative tratte dai documenti antichi. Lo scopo dell'elenco di argomenti che sto per fare non è - sia chiaro - quello di inferire che ogni sodomita antico ne facesse uso per giustificare il suo modo di essere. Più semplicemente voglio mostrare la "tavolozza" dei colori a disposizione allora per costruire una coscienza di sé deviante, e per giustificare il proprio comportamento (44).
Egli sta sempre pieno
di stiza e di turbazione
Come viveva la propria condizione un sodomita del XV secolo? Che opinione aveva di sé? Ancora una volta è Bernardino da Siena a soccorrerci.
Secondo lui il sodomita "solo à 'l pensiero a quella tristizia, e sempre si lamenta, e sempre si duole di padre, o di madre, o di fratelli, o di cognati, o di parenti, o di compagni; sempre vive di scontento; con iracundia favella; risponde al padre, alla madre quando è ripreso; alla moglie non ti dico, che mai à con lei un dì di bene" (45).
Inoltre "quando egli torna a casa, torna turbato co la rabbia nel capo, e non si cura né del giudicio di Dio, né dell'onore del mondo. Egli sta sempre pieno di stiza e di turbazione, e sempre teme e ha paura di non venire in disgrazia del fanciulletto tristo" (46).
Eh no, non doveva essere facile tenere a bada capricci e bizze di un ragazzino.
Francesco Beccuti, che dichiara di parlare "per esperienza", così riassume gli svantaggi della relazione omosessuale con un adolescente, in una composizione contro il rapporto omosessuale scritta prima del 1553: Se d'un garzon s'innamora per sorte/ (...) ben potrìa maledir il giorno e 'l ponto/ ben potria dir: - Mi avess'io rotto 'l collo -/ se vuol d'ogni suo mal tener ben conto./ Forse il terrai un otto dì satollo/ con un bel pasto di bove ordinario;/ non bastan quattro di piccion o pollo:/ al tuo voler sarà sempre contrario,/ e ti comanderà con quella grazia/ che se tu stessi con seco a salario; <come se tu fossi un suo servo>/ ti dà martel <preoccupazioni>, ti beffeggia, ti strazia/ e vuol esser patron de' tuoi denari/ ed una volta pur <neanche> non ti ringrazia;/ e, per dir zuppa, si ritrovan rari <sono rari quelli>/ che non sian come gli asini indiscreti/ e fantastichi <strambi> più che gli scolari;/ non han carpite <panni>, verdure o tappeti/ tanti vari color quant'essi voglie:/ guarda se stanno i sodomiti lieti! (47)
Dello stesso parere era già, verso il 1467-1481, anche Filippo Scarlatti: Bisognati operar gran maestria/ a volere istar ben con un garzone,/ di ciò che disce e fa dargli ragione/ e non andar con lui in traversia <bisogna dargli sempre ragione e non contraddirlo mai>./ (...) Ogni altro pensier vano non ti riesce,/ però che tanto basta il loro amore/ quanto da te molta pecunia t'esce <il loro amore dura tanto quanto il flusso di denaro che esce da te>./ (...) Ed è assassinatore/ e non si curere' cavarti gli occhi;/ prima la paga vuol che tu lo tocchi (48).
Del resto il "passivo" non doveva mai essere molto entusiasta del rapporto sessuale: così, paragonando fra loro il rapporto con un ragazzo e quello con una donna, nota il Beccuti: Quel voltar de le spalle a me non garba./ Un ragazzo ti dice: - affretta, spaccia <sbrigati> - / gli par mill'anni uscirti de la mano:/ l'altra non si può to^r da le tue braccia (49).
A questi problemi va aggiunto quello del matrimonio: la pressione sociale lo esigeva, forti ragioni economiche lo consigliavano. Nella Conquestio uxoris Cavichioli, un testo teatrale del secolo XIII-XIV, il personaggio del sodomita così elenca alla moglie, che si lamenta di lui, le ragioni per cui si è sposato: "Volevo fare di te la mia compagna mite, contegnosa, castigata, piena di pudore; che diventasse il bastone della mia vecchiaia; che amministrasse saggiamente le mie sostanze e le moltiplicasse; che tenesse in ordine la mia casetta con l'abilità di una amministratrice fidata, e avesse cura di me quando la vita mi diventerà pesante, che mi preparasse buoni pranzi e accogliesse un giorno la mia testa canuta sul petto" (5O).
Purtroppo confondere una moglie con un amministratore delegato può essere fonte di dolori e incomprensioni.
Qualcuno si adattò volentieri alla "doppia vita": Bene abbi un vostro amico e mio compare/ chè egli, se ben è capo di famiglia,/ non cessa il giovinetto confortare (51).
Ma troppo spesso il rapporto con la moglie si rivelava insoddisfacente. "O donna, pònvi mente, che mai nol potrai contentare, se egli è involto in quello vizio! Di ciò che tu fai, sempre se ne lagna, sempre" (52).
Bernardino da Siena consigliava alle mogli di rimproverare i mariti infedeli. "E se questo non giova, dagli de' caldelli <rimedi>. Se gli muti la camicia digli: "Te', che non la meriti!". Se gli porgi la scodella digli: "Tòi, che pro ti faccia se 'l meriti!". Se gli fai niun servigio gli di': "Non per altro, ma per quella ribaldella, o di <sic> quello ladroncello!"" (53).
Naturalmente neanche per la moglie di un sodomita la vita era facile: "Regola generale, quanto più è soddomito, tanto à più in odio la donna sua, sia bella ella a suo modo. (...) Il soddomito à in odio la femmina. Guardatevi di non dare per moglie vostre figliuole a' soddomiti, che non arà mai un'ora di bene. Così le donne ànno in odio i soddomiti e meritamente" (54).
In questo modo Bernardino riassume la condizione umana del sodomita: "Delle cose passate non si ricorda e delle presenti non pensa, e dell'avvenire non si provede. In brieve il cuore del soddomito non si cura di vergogna del mondo, e non teme di giudicio di Dio. Ed egli istà male"(55).
Chi è de li ostinati, sai che fa?
Presi in mezzo fra la guerriglia casalinga caldeggiata da Bernardino ed il costante rischio di diventare lo zimbello della città (se non di finire sul rogo), facili prede di capricci e bizze del "fanciulletto tristo", non doveva essere facile per i sodomiti vivere sereni e senza sensi di colpa. Eppure in un modo o nell' altro si arrabattavano per resistere, facendosi "sordi", come lamenta il santo, ai rimproveri e alle minacce.
"Egli vive senza niuna vergogna del peccato suo, el quale è tanto brutto, che pure a pensarlo è da vergognarsene; e perché il peccato sarà punito, elli non vi pensa. Egli non ha paura della pena: ellino <essi> so' tanto immersi nel peccato, che e' non pensa al peccato del tempo passato, né ai peccati del presente, né al peccato dell'avvenire. (...) Che se pure elli si cognosce che fa male, dice in se medesimo: - Oh, quando io verò a morte, io me ne confessarò - e non se ne vuol rimanere <correggere> innanzi a la sua fine. A lo stremo de la vita te ne vuoi rimanere, eh? (...) Chi è de li ostinati, sai che fa? Che se ellino odono la predica, e cognoscono la graveza loro, eglino dicono in loro medesimi: - Che farò? Io vego pure ch'io fo male, e cognosco che 'l peccato è grandissimo. - E così si starà senza cominciare <ad> astenersene..." (56).
Come non ammirare la "faccia tosta" di quanti furono capaci di farsi beffe del giudizio altrui? Come non applaudire nel leggere di come "Ser Ciuffa, essendo ripreso aspramente dal padre del vitio di soddomia; dicendogli il padre: "E' non fu mai nessuno in casa nostra, che havesse questo vitio"; rispuose: "Io fo conto, che io me l'ò tratto dalle calchagne" <Vorrà dire che mi sarà venuto fuori dai calcagni>? (57).
Vero è che talvolta era necessario ostentare la frequentazione dei "luoghi pubblici" (bordelli) per "purgar la fama", così come l'Altrito, scolare a Pisa, per purgare la sua fama andava spesso nel luogo pubblico, et egli stesso si bociava <vantava> (58).
Ma è anche vero che esisteva un certo numero di persone che la propria diversità la ostentava con la massima sfrontatezza di questo mondo, pur badando a non esagerare per non finire sul rogo. Come il pittore Giovannantonio Bazzi che, "però che <poiché> aveva sempre attorno fanciulli e giovani sbarbati, i quali amava fuor di modo, si acquistò il soprannome di Soddoma, del quale, non che si prendesse noia o sdegno, se ne gloriava, facendo sopra esso stanze e capitoli <composizioni poetiche>, e cantandogli in sul liuto assai commodamente" (59).
Tale era la sua faccia tosta che, avendo un suo cavallo vinto il palio di S. Barnaba, "fu dimandato Giovan Antonio che nome si aveva <da> gridare, et avendo egli risposto "Soddoma, Soddoma", i fanciulli così gridavano. Ma avendo udito così sporco nome certi vecchi da bene, cominciarono a farne rumore et a dire: "Che porca cosa, che ribalderia è questa, che si gridi per la nostra città così vituperoso nome?" Di maniera, che mancò poco, levandosi il rumore, che non fu dai fanciulli e dalla plebe lapidato il povero Soddoma, et il cavallo" (6O).
PARTE 4.
LE GIUSTIFICAZIONI
L'ho fatto per chiarir la vista
E' ovvio che non tutti avranno avuto il coraggio (o l'incoscienza) del Bazzi. Tuttavia anche chi era meno sfrontato di lui aveva a sua disposizione una serie di argomentazioni più o meno serie per difendere il suo amore. Ecco le principali.
1) Che se pure in teoria la sodomia è generalmente esecrata, la praticano tutti. Così nel famoso processo ad Arnold de Verniolle, del 1323, un ragazzo diciottenne cerca di sedurre Arnold, argomentando che "molti buoni uomini facevano nel predetto modo, ed egli rispose che sì e, come aveva sentito dire, persino i religiosi" (61). Lo stesso Arnold aveva dichiarato in altra occasione "che avrebbe ben da fare il signor vescovo se volesse arrestare tutti quelli attualmente infettati da detto crimine a Pamier, poiché erano più di mille e tre" (62).
2) Che anche i papi ed i re amano la sodomia. Così il Cammelli, accusato di praticarla, ribatte: Se questa è infamia, gli è mia infamia antica,/ e di Roma e del Papa e del suo clero (63).
Tale argomento è talmente noto da essere spesso messo in bocca ai personaggi omosessuali da scrittori che omosessuali non erano. Così, nella già citata commedia, argomenta Cavicchiolo alla consorte che si stupisce che egli preferisca aver fama di sodomita che di ladro: "I re si dilettano di sodomia, ma non rubano. Gli dei hanno amato i ragazzi: cosa c'è di male se anche Cavicchiolo ama?" (64).
3) Che non solo "lo" fanno i grandi della Terra, ma persino gli dèi della mitologia greca. E' questa la risposta scelta dal Cellini quando uno scultore rivale lo zittisce in pubblico dicendo: "Oh sta' cheto, soddomitaccio!". "O pazzo," replica Benvenuto, "tu esci dei termini: ma Iddio 'l volessi che io sapessi fare una così nobile arte, perche e' si legge ch'e' l'usò Giove con Ganimede in paradiso, e qui in terra e' la usano i maggiori imperatori e i più gran re del mondo. Io sono un basso ed umile omiciattolo, il quale né potrei né saprei impacciarmi d'una sì mirabil cosa" (65).
4) Che col coito sodomitico non si prendono malattie veneree.
Così conclude il Cammelli, che nel sonetto "Madonna, alla franciosa son vestito", lamenta di essersi "infranciosato" (ossia di aver preso la sifilide): Ora attendete <considerate> un poco/ a quanto strazio se ritrova al mondo/ chi toglie <sceglie> il quadro <vulva> e lascia stare il tondo <ano> (66).
E' un'argomentazione che dovette aver fortuna in tutta Europa se ancora nel 1623, al processo contro Théophile de Viau, uno dei capi d'imputazione fu proprio quello di aver dichiarato "che era tormentato da uno scolo, e che tutte le volte che si assentava dalla compagnia carnale dei ragazzi, il che diceva con termini assai volgari, non mancava mai di prendersi lo scolo" (67).
5) Che migliora la vista perché spurga gli umori nocivi dal corpo. Così ancora Francesco Beccuti: Roma, Venezia, Fiorenza e Bologna/ ed ogni altra città c'ha del civile,/ desta fa quel mistier, dormendo il sogna;/ è mestier reverendo e signorile, <degno di preti e signori>/ che ci assotiglia la vista e l'ingegno (68).
E' il già citato Bouchard a spiegarci meglio perché la sodomia gioverebbe alla vista, secondo l'antica teoria degli "umori" del corpo: "Si dice schiarirsi la vista, perché facendosi molta meno effusione di sperma nel bugerar che nel chiavar (dato che l'estremo piacere che se ne prova, fa eiaculare quasi immediatamente) gli spiriti non si dissipano molto, e per conseguenza la vista non si indebolisce; al contrario essa si ristora e rinforza, per il sommovimento degli spiriti che questa voluttà causa per tutto il corpo, che essendo troppo rapida e impetuosa non li lascia interamente dissolvere né dissipare" (69). Anzi, secondo l'informatore di Bouchard, un medico francese di Roma, la sodomia è ottima contro le emorroidi, le irritazioni intestinali (per ciò consigliata anche da Ippocrate!) e insomma, per la salute.
Persino nelle barzellette riappare l'argomento: "L'ho fatto", diceva un ribaldo, "per chiarir la vista". "Questo non è vero, figliuolo", rispose il confessore. "Se fosse così, vedrei fin a Napoli" (7O)
6) Che le donne sono un sesso perfido e inferiore: "Ne sono (...) alcuni, li quali della divina et humana legge scordàti Venere mascula diletta, con dar pessimo esempio alla imperìta moltitudine. Ascrivono al femineo sesso della loro intemperantia la cagione; affermano le donne esser insolenti, impie, crudeli, e de costumi intollerabili; la lor faccia e bellezza non esser altro che fuoco, cerusa, unti e roscio adulterino, cosa fastidiosa" (71).
E se tutto questo non bastava per mettere a posto la coscienza, si poteva sempre improvvisare su due piedi una scusa, come fece quel tale che accusato di aver sodomizzato un ragazzo con cui dormiva (era normale all'epoca coricarsi in due o più nello stesso letto per scaldarsi) si era scusato dicendo che nel sogno o dormiveglia aveva pensato di avere un rapporto con una donna (72).
Naturalmente questo tipo di argomentazioni raffazzonate non convinceva sempre: spesso anzi ce ne si faceva beffe, proprio come il Bellincioni: Voi errate com'un, del qual dico io, /che, dormendo con un, gliel menò bene,/ poi disse: Io mi credea che fusse il mio (73).
Natura inclinabat me
Certo, il modo più semplice e rapido per non avere troppi sensi di colpa era quello di smettere di frequentare coloro che ne instillavano di più. Bernardino da Siena si lamenta più volte del sodomita per la sua scarsa (o nulla) frequenza delle chiese: "Non si comunica, né confessa, e cinquanta anni sta involto in tanta miseria senza confessarsene" (74).
Ma qualcuno, ragionando e argomentando, riusciva a fare di meglio, andando ben al di là di questa semplice resistenza passiva, e convincendosi di non essere responsabile dei propri gusti sessuali. Se responsabilità c'era, questa era della Natura, della sorte o di Dio.
La parola chiave di questo atteggiamento è inclinazione, (o "inclinatio", "incrinamento", "inclinamento") che se non è un esatto equivalente dell'odierno tendenza, viene però usato in maniera analoga.
"Inclinazione" è un termine tecnico dell'astrologia per indicare l'influsso degli astri sul comportamento umano (le stelle inclinant a un certo temperamento) (75). Usata in questo senso la parola ha una forte valenza deterministica, che comunque sottrae la responsabilità dell'atto all'agente, collocandola "al di fuori" di lui (76).
Né del resto mancò chi attribuisse la responsabilità della tendenza omosessuale a influssi astrali.
Marsilio Ficino, nonostante dichiari nel suo Commento al Convito di Platone che "la potenzia di generare, che è nella Anima, manca di cognizione, però <perciò> non fa differenzia fra sesso e sesso. E nientedimeno per sua natura tante volte ci invita a generare, quante volte veggiamo un bello obbietto", subito dopo aggiunge: "laonde spesse volte adviene, che quelli che conversano con maschi, per voler rimuovere gli stimoli della parte generativa, si mescolano con loro: e quelli massime nella natività de i quali, Venere si è trovata in segno masculino, congiunta con Saturno, o ne' termini di quello, o vero a quello opposta" (77).
E se il buon Michelangelo, che alla cerchia del Ficino si formò, fece sottolineare al suo biografo di essere nato proprio con Mercurio in congiunzione con Venere (78), (come descritto da Tolomeo) una ragione l'avrà avuta...
Il concetto di inclinazione si trova comunque anche al di fuori dell'àmbito astrologico. La prima attestazione di cui io sia a conoscenza appare in un testo non italiano ma francese, uno dei più interessanti processi antichi pubblicati finora: quello, già citato, contro Arnold de Verniolle, del 1323. Negli atti si legge che fra l'altro l'accusato "disse al detto Guglielmo Ros che in alcuni uomini la natura richiedeva che facessero tale atto, oppure che conoscessero carnalmente le donne e, come disse, sentiva bene in sé che si sentiva oppresso nel corpo quando se ne asteneva per più di otto o quindici giorni, vale a dire non avere un rapporto con una donna o un uomo commetendo col maschio detto crimine" (79).
(Non ci si faccia ingannare dall'accenno ai rapporti con donne: per sua ammissione Arnold aveva avuto un unico rapporto eterosessuale in vita sua, a suo stesso dire traumatizzante.)
Un altro dei ragazzi interrogati rivelò che "il detto Arnold gli disse in volgare che in quel libro c'era scritto che se un uomo giacesse con un uomo e per il calore dei loro corpi scaturisse il seme, questo non è peccato tanto grave come se un uomo conoscesse carnalmente una donna, perché, come diceva, ciò è richiesto dalla natura, e l'uomo da ciò è reso più sano" (8O).
Arnold, tentando di mitigare la gravità teologica di tale affermazione, aggiunse che sebbene credesse che la sua natura lo inclinasse a tale peccato di sodomia, tuttavia ritenne sempre che fosse un peccato mortale (81).
Infine Arnold ammise (e questo gli fu imputato come eresia) di aver ritenuto e detto che la sodomia è un peccato di eguale gravità con la semplice fornicazione eterosessuale, ma che a suo modo di vedere non si aveva sodomia vera e propria senza penetrazione anale (il che spiega perché con i ragazzi sedotti adoperasse la masturbazione reciproca o il coito intercrurale) (82).
Più o meno nello stesso giro d'anni il poeta perugino Marino Céccoli rispondeva a Ugolino da Fano (che gli aveva chiesto di difendersi da quanti lo accusavano di sodomia) limitandosi a dare la colpa alla sorte ("ria", ovviamente): Io son colui, che per fortuna ria/ eletto fui tra le profane gregge/ condutto da vertù <colpa> de fredde orregge <tempeste>/ en parte ove salute se desvia <dove salvezza si perde> (83).
Secondo Stefano Talice da Ricaldone (che cita una lezione del 1375 di Benvenuto da Imola), "dice S. Gerolamo che nel giorno del Giudizio universale costoro <i sodomiti> saranno muti. Altri cercheranno di scusarsi dicendo: la natura mi inclinava a ciò <natura inclinabat me> quando vedevo le donne" (84).
In epoca più tarda, nella seconda metà del Cinquecento, Scipione Ammirato (1531-16O1) biasima Benedetto Varchi che inclinato sempre ad amori fanciulleschi (...) si scemò molto di quella riputazione che all'età di lui, et all'abito, perché morì prete, et alle lettere dirittamente si sarebbe convenuta (85).
Lo stesso Ammirato, parlando della condanna a morte di Jacopo Bonfadio per sodomia, aggiunge che "del cattivello, perché fosse meno scusabile, si leggono ancor rime, le qual par che rendan testimonianza di cotesta sua inclinazione (86).
E Giordano Bruno, parlando di Socrate nello Spaccio della bestia triunfante (1584) ritiene che il filosofo greco fosse stato a lodarsi tanto maggiormente di continenza, quando approvò il giudicio del fisionomista circa la sua natural inclinazione al sporco amor di gargioni (87).
Oibò Padre, m'è naturalissimo a me!
Anche quando non parlano esplicitamente di inclinazione i sodomiti antichi più di una volta mostrano di pensare che il loro comportamento fosse "connaturato" alla loro "natura". Già Nicola Muscia, verso la fine del Duecento, aveva giustificato la sua passione amorosa per un uomo dicendo che era un'attrazione naturale quanto quella del ferro verso la calamita: "e a lui vado, com'a la calamita/ va lo ferro, ch'è naturaltade" (88).
Non stupisce perciò che Mateo Bandello si sia divertito in una sua novella con questa argomentazione, mettendola in bocca all' umanista Porcellio, che sul letto di morte nega ripetutamente di aver mai commesso peccati contro natura."Oimè, figliuolo - si lamenta il prete - io non so quello che di te mi dica. Tu mi neghi d'aver peccato contra natura, (...) e nondimeno sono io assicurato che tu sei più vago mille volte dei fanciulli che non è la capra del sale".
Allora il Porcellio con alta voce più che puotè e crollando il capo disse: "Oh, oh, padre reverendo, voi non mi sapeste interrogare. Il trastullarmi con i fanciulli a me è più naturale che non è il mangiar e il ber per l'uomo, e voi mi domandavate se io pec-cava contra natura" (89).
Non diversa è la risposta di un sodomita italiano contenuta in una barzelletta attestata nel 1654: "Un confessore diceva a un buggerone: "Oh, questo è peccato contra natura". "Oibò padre", disse l'altro, "m'è naturalissimo a me" (9O).
PARTE 5.
IDEOLOGIE DI CONTROLLO
E DI CONTESTAZIONE
L'ordine regna a Varsavia?
Come sarebbe stato possibile dare per "naturale" il comportamento sodomitico, se la società di allora non avesse avuto un qualche concetto di "tendenza", e avesse davvero creduto (come sostengono oggi molti storici) che la lussuria, in tutte le sue forme, si esprime nello stesso modo in ogni essere umano?
Nello scorso numero di "Sodoma" (91) ho lamentato che troppo spesso nel fare storia si dia oggi un'attenzione spropositata ai documenti ufficiali (processi, trattati di teologia, manuali, leggi ecc) di quello che in un certo gergo viene definito "il Potere", trascurando il ben più faticoso compito di ascoltare l'altra campana, quella dei diretti interessati che il "Potere" si limitano a subirlo.
Il confronto tra le prese di posizione degli oppressori e quelle degli oppressi sulla medesima questione è invece irrinunciabile, e si rivela ricco di stimoli preziosissimi. Nel nostro caso, ad esempio, svela che il concetto di "connaturalità" del comportamento omosessuale non era, come abbiamo visto, né ignoto né estraneo al pensiero ufficiale dell'epoca.
La Storia è sempre il risultato di una dialettica fra oppressi ed oppressori: la volontà di ogni tiranno trova sempre il suo limite nella non-volontà dei suoi sudditi di subire, anche a costo di affrontare la repressione. E se né oppressi né oppressori hanno la forza di schiacciare l'antagonista (il che si verifica spesso) è inevitabile il compromesso (la "sintesi", diceva ottimisticamente Marx).
Succede così che mentre formalmente alle teorie del "Potere" viene concessa la supremazia, (con la conseguenza che il "popolo" consentirà a reprimere chiunque le voglia mettere formalmente in discussione, come la "plebe" col Sodoma su richiesta di "certi vecchi dabbene"), il "popolo" segue poi nel comportamento quotidiano tutt'altra scala di valori "suoi", "ufficiosi". Questi valori, pur non essendo mai enunciati in polverosi tomi a stampa, delizia dei cattedratici d'oggi, non sono per questo meno vincolanti di quelli del "Potere". Anzi...
Questo è il caso, più che mai, della morale sessuale. La Chiesa può avere avuto un bell'affermare, per duemila anni, che l' adulterio ha per l'uomo e per la donna la stessa gravità teologica e morale, se poi la società ha sempre vissuto e agito sulla base del principio che l'adulterio femminile è più grave di quello maschile.
Viceversa la Chiesa può anche avere insistito per duemila anni, con fulmini e maledizioni, sul fatto che quello omosessuale è un comportamento che nasce non da tendenza naturale, ma da corruzione della natura umana, se poi nella pratica dei rapporti quotidiani la gente ha sempre avuto una concezione diversa della cosa. Tanto diversa da rifiutare, per esempio, di denunciare i sodomiti che conosceva, nonostante esigesse il rispetto formale delle tesi dominanti, e perseguitasse chi le contestava.
Insomma, non sempre gli studiosi fanno fatica a scoprire i satelliti di Giove perché non posseggono gli strumenti adatti: il mondo è pieno di intellettuali che si rifiutano di guardare nel cannocchiale di Galileo proprio perché non vogliono scoprire ciò che non possono accettare.
Così anche l'idea nella "connaturalità" del comportamento omosessuale fu respinta in passato non perché apparisse "assurda", ma molto più banalmente perché avrebbe inevitabilmente portato a una giustificazione, perché avrebbe reso impossibile l'applicazione del concetto di "colpa". Il che in nessun modo il "Potere" poteva e voleva accettare (92).
Connaturales secundum quid
La principale contraddizione che mette in luce quanto ho appena argomentato, è il fatto che mai nel pensiero ufficiale antico venne meno la certezza che il comportamento eterosessuale fosse, questo sì, connaturato ad ogni essere umano. L'"inclinazione" dell'uomo verso la donna (e viceversa) era un dato che non necessitava di spiegazione: si limitava ad esserci, era innato. Al contrario il comportamento omosessuale venne sempre considerato conseguenza di un vizio, nel senso etimologico del latino vitium ("difetto", "imperfezione", "guasto"), non di una inclinazione.
Così, commentando Paolo, (Romani 1, 26-27) viene plasticamente riassunta da Ugone di San Caro (fine sec XII- 1263) la posizione ufficiale cattolica: <Paolo> chiama <quel>le passioni "peccato contro natura", perché in esse la natura subisce violenza, come è simboleggiato nel Lago d'Asfalto <il Mar Morto>, in cui furono sommerse cinque città che soffrivano di quel vizio, dove nessun essere vivente può essere fatto affondare se non con la violenza, a indicare che la natura umana non affonda in quel turpe vizio, a meno che faccia violenza a se stessa. (...) Grida infatti la natura in questi peccati, come una vergine che viene deflorata (93).
Naturalmente neppure Bernardino ebbe mai dubbi sul fatto che gli atti eterosessuali nascano da inclinazione. Quella dell'uomo e della donna secondo lui "è naturale inclinazione all'uno inverso dell'altro, per essere formato l'uno dell'altro" (94).
Solo una volta si lasciò scappare che i sodomiti "lasciano l'incrinamento naturale per lo incrinamento contro a natura" (95), mettendo involontariamente sullo stesso piano, sia pure con giudizi morali diversi, le due inclinazioni.
Ma a parte questo caso Bernardino tratta la sodomia, alla pari di tutto il pensiero religioso del suo tempo, come un costume, una cattiva abitudine. "Chi piglia la consuetudine del peccato acceca in esso peccato. Guàrdati dall'usanza de' soddommiti. (...) Chi usa co' cattivi li s'appicca la cattività <cattiveria>, ma chi usa co' buoni li s'appicca la bontà" (96).
Autorevole fondamento delle opinioni del santo è del resto nientemeno che Tommaso d'Acquino (1225-1274), che nella sua Summa theologica (I-II, q. 31, a.7) si era chiesto due secoli prima se il comportamento omosessuale non potesse risultare connaturale alla natura di alcuni singoli individui. La sua risposta è che sì, può esserlo, ma (qui sta il trucco) secondo una "natura" corrotta, come lo è quella di un malato a cui per la malattia appaiono amari i sapori dolci. (Contigit in aliquo individuo corrumpi aliquod principiorum naturalium speciei, et sic id quod est contra naturam speciei, fieri per accidens naturale huic individuo).
In altre parole "avviene che alcuni piaceri siano, assolutamente parlando, innaturali, (innaturales) sebbene siano connaturali in senso relativo" (connaturales secundum quid).
Le prostitute gridavano
"sodomita!" ai passanti
Per chiunque abbia la pazienza di sfogliare qualche testo antico non è difficile collezionare ulteriori attestazioni di questa concezione ufficiale. La tentazione di concluderne che secondo i nostri avi l'omosessualità non era frutto di una "tendenza", è quindi forte.
Eppure a ben saper leggere i documenti, emerge fra le righe una concezione che ritiene che gli individui siano più "inclinati" verso l'uno o l'altro polo, per cui chi ama i ragazzi, oibò, non amerà le donne.
Così nel XIII secolo, secondo Jacques de Vitry, le prostitute parigine del quartiere latino gridavano sodomita alla volta dei passanti che rifiutavano di avere rapporti con loro (97).
Intendevano forse con ciò dire che chi non frequenta prostitute, per qualche misteriosa ragione, ama solo la penetrazione anale? Oppure l'aneddoto assume significato unicamente se sodomita è inteso come persona che non ama le donne ma bensì i ragazzi?
Del resto non molti anni prima (c.a 116O) nel Roman d'Eneas la gelosa madre non aveva forse avvertito Lavinia che Enea: est de tel nature/ qu'il n'a gaires de femmes cure;/ (...) / il priseroit mialz un garc,on/ que toi ne altre acoler? (98). (E'di tale natura che non si cura delle donne; (...) preferirebbe un ragazzo piuttosto che te o un'altra donna).
Ed anche nella Conquestio uxoris Cavichioli i problemi sorgono non perché il marito ami i ragazzi, ma bensì perché non prova la minima attrazione sessuale per la moglie: Lui, niente. Si limita a palparmi il petto, e dice: "Non c'è donna più dolce di te". E quando gli metto sotto la parte da usare, dice: "Ohi, ohi, ohi, la mattina ho appena la forza di alzarmi!". E quando la disputa fra i due si fa accesa il marito (incorreggibile!) le grida: "Non mi lascerei turbare nemmeno dalla bellezza della figlia di Tindaro e nemmeno da Taide o dalla perfezione delle vergine Ifigenia. Solo il fato potrebbe mutare la direzione dei miei entusiasmi, solo la morte potrà ostacolare i miei desideri" (99).
Se la sodomia è soltanto la preferenza per un certo tipo di penetrazione (anale anziché vaginale) come insiste la Chiesa, in che modo spiegare queste dicotomie ("o" le donne, "o" i garzoni) che sono comuni nella mentalità laica?
CONCLUSIONE
Giunti alla fine di questo esame spero che anche i lettori più dubbiosi converranno con me sul fatto che è lecito parlare di una "sottocultura sodomitica" nel Rinascimento. Vi sono luoghi di incontro, c'è una coscienza di sé e persino un desiderio di affermazione del proprio modo di essere, esiste la convinzione che l'omosessualità possa essere connaturata all' individuo che la vive, ed esiste infine una concezione popolare che vede quella del sodomita come una condizione, diversa ed alternativa a quella dell'uomo "normale". Solo il "Potere", che per secoli ha propagandato una concezione diversa del fenomeno, manca all'appello.
Spero anche di essere riuscito a mostrare come la sottocultura antica vada capita per quello che è, con i suoi schemi e le sue convenzioni: anche se non vi si trovano quelle "saune gay" a cui oggi siamo terribilmente affezionati, tanto meglio: è una prova in più del fatto che si può essere omosessuali anche in modo diverso da quello di moda oggi a S. Francisco o Amsterdam.
E se qualcuno poi trovasse che la sottocultura che ho descritto ricorda "troppo" certe situazioni del giorno d'oggi, tanto meglio lo stesso. Sono veramente troppo "moderni" gli antichi - gli chiedo - o siamo noi che vogliamo a tutti i costi farci un vanto della scoperta dell'acqua calda?
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