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La "tolleranza repressiva" dell'omosessualità
di Giovanni Dall'Orto
in: Arci gay nazionale (a cura di), Omosessuali e Stato, Cassero, Bologna 1988, pp. 37-57.
1) La trascrizione del presente intervento è stata rivista e notevolmente accresciuta nell'agosto/settembre 1987. Da qui l'anacronismo dei riferimenti a fatti e testi successivi all'aprile 1986.
2) Si noti come nei paesi di tradizione anglosassone la pena di morte sia sopravvissuta più a lungo: ancora nei primi decenni dell'Ottocento si registrano in Gran Bretagna esecuzioni capitali per buggery. (Si veda al proposito Louis Crompton, Byron and Greek love, University of California press, Berkeley e Los Angeles 1985, e la ricca bibliografia ivi citata). Ciò dovrebbe metterci in guardia (specie in campo storico) contro l'abitudine di applicare al mondo del "codice napoleonico" conclusioni tratte da studi sul mondo anglosassone, senza tener conto delle diverse tradizioni giuridiche e sociali.
3) Charles de Montesquieu, Lo spirito delle leggi (1748), varie edizioni, libro XII, cap. 6.
Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene (1764) varie edizioni, capitolo: "Delitti di difficile soluzione: l'àttica venere".
Voltaire, Prix de la justice et de l'humanité (1777), article XIX ("De la sodomie"), in: Oeuvres complètes, Aux bureaux du siècle, Paris 1869, tomo V.
4) Si veda al proposito:
Codice dei delitti e delle pene pel Regno d'Italia. Reale Stamperia, Milano 1810, lib. III, tit. II, cap. I, sez. 4. Adattamento del codice napoleonico. Non fa alcuna menzione degli atti omosessuali.
Codice dei delitti e delle gravi trasgressioni politiche pel Regno Lombardo-Veneto, Cesarea-Regia stamperia, Milano 1815. Codice penale austriaco per il Lombardo-Veneto: la "libidine contro natura" in quanto tale è punita col carcere dagli artt. 113-114.
Codice per lo Regno delle due Sicilie, vol. 1, parte 2: Leggi penali, Capasso, Napoli 1849. Promulgato nel 1819 e ispirato al codice napoleonico; l'art. 345 tratta ambiguamente degli "atti turpi e sregolati d'incontenza", ma punisce nello stesso modo etero ed omosessuali.
Codice penale per gli stati di Parma, Piacenza e Guastalla, Ducale tipografia, Parma 1820, libro II capo 6. L'"oltraggio al pudore" è punibile solo su querela di parte; gli atti omosessuali non sono nominati.
Codice penale per gli stati di S.M. il Re di Sardegna, Stamperia Reale, Torino 1839. L'art. 439 prevede la punizione della "libidine contro natura", anche se avvenuta senza violenza e fra adulti consenzienti. C'è però una limitazione: deve esserci stata querela di parte, oppure "scandalo".
Codice penale austriaco del 27 maggio 1852, Imperiale-regia stamperia, Milano 1852. Gli artt. 129-130 colpiscono specificamente la "libidine contro natura".
Codice penale pel Granducato di Toscana, Stamperia granducale, Firenze 1853, lib. II, tit. VI, capo III. Considerato il più "moderno" dei codici preunitari, non fa menzione dell'omosessualità.
Codice criminale e di procedura penale per gli stati Estensi, Soliani, Modena 1855. L'omosessualità è nominata solo (art. 431) come aggravante in caso di stupro: per il resto si segue il codice napoleonico.
Codice penale per gli Stati di S.M. il Re di Sardegna, Stamperia reale, Torino 1859. L'art. 425 riprende le disposizioni del codice del 1839.
Nella Repubblica di San Marino, non occupata da Napoleone, rimasero in vigore gli antichi statuti (si veda la Raccolta delle leggi e decreti della Repubblica di San Marino, Lapi, Città di Castello 1900 a p. 150) fino all'approvazione del codice penale del 1865 (Ibidem). Gli articoli 418, 421 e 425 del nuovo codice prevedono pene più severe per lo stupro anale o su un uomo; l'omosessualità in quanto tale non è però nominata.
Lo Stato della Chiesa non promulgò mai un codice penale; d'altro canto non mi è ancora riuscito di consultare copia di ciò che di più simile ad un codice penale produsse, vale a dire il Regolamento pontificio di Gregorio XVI, che dovrebbe trattare di atti omosessuali all'art. 169 e sgg.
Per brevità ho qui tralasciato i codici penali militari.
5) Si veda in proposito la Relazione luogotenziale presentata a S.A.R. il principe luogotenente dalla commissione per gli studii legislativi istituita con decreto del 6 febbraio 1861. L'ho consultata in: Vincenzo Cosentino, Breve commentario al codice penale italiano, Sarracino, Napoli 1866, alle pp. III-XVII. Vi si motivano le ragioni politiche di questa scelta.
6) Si veda in proposito l'essenziale studio di Maarten Salden, The Dutch Penal law and homosexual conduct, "Journal of Homosexuality", XIII winter 1986/spring 1987, pp. l55-179.
Naturalmente sono ben conscio del fatto che altri elementi, soprattutto influenze culturali da parte di un paese della stessa lingua, hanno giocato nella complessa partita per l'introduzione o meno di leggi antiomosessuali nei codici. Fra le "eccezioni" al quadro che presento sono l'Austria cattolica, che segue la tradizione della Prussia, l'Irlanda cattolica, che segue quella del Regno Unito, e nell'altro campo la patria stessa del calvinismo, Ginevra, che segue la tradizione francese del Code Napoléon.
7) L'ovvio riferimento di queste mie osservazioni non è tanto il classico L'etica protestante e lo spirito del capitalismo (Sansoni, Firenze 1980) di Max Weber, quanto piuttosto il suo Le sette e lo spirito del capitalismo, Rizzoli, Milano 1977.
8) Questa situazione ha un'altra conseguenza, interessantissima. Costringendo il fedele a interrogare incessantemente la propria coscienza, il calvinismo spinge involontariamente l'omosessuale a dissezionare, definire, ed infine (in alcuni casi) rivendicare la propria "diversità".
Al contrario il cattolicesimo scoraggia le definizioni precise: tutti gli uomini sono indistintamente peccatori, ma tutti si possono indistintamente salvare. Colui che si identifica come omosessuale diviene perciò automaticamente monstruum, e grazie all'accurato black-out di informazioni ("di certe cose è meglio non parlare") è spinto a credere di essere "l'unico al mondo" ad avere certi desiderii.
Naturalmente queste mie osservazioni sull'influenza della religione nella società andrebbero applicate anche alla rovescia, verificando cioè come la società latina e la società anglosassone abbiano riversato nella religione, in quanto (marxianamante) "ideologia", le rispettive preoccupazioni tipiche nei confronti dell'omosessualità.
9) Camera dei Deputati, Progetto per il codice penale per il Regno d'Italia, vol. 1, Relazione ministeriale, Stamperia Reale, Roma 1887, pp. 213-214.
10) Giampaolo Tolomei, Dei delitti contro il buon costume e contro l'ordine delle famiglie, "Rivista penale", XXX 1889, p. 319.
11) P. Tuozzi, "I delitti contro il buon costume e la famiglia", in: Enrico Pessina (a cura di) Enciclopedia di diritto penale, vol IX (1909), SELI, Milano 1905-1913; pp. 172 e 175.
12) Per una discussione relativa alle leggi sulla morale sessuale del primo codice penale italiano si veda il fondamentale e illuminante studio di Romano Canosa, Sesso e Stato. Devianza sessuale e interventi istituzionali nell'Ottocento italiano, Mazzotta, Milano 1981, soprattutto alle pp. 101-121.
Per una bibliografia dei testi giuridici e medici ottocenteschi relativi all'omosessualità rimando a: Giovanni Dall'Orto, Leggere omosessuale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984, pp. 79-101.
13) "Fra le strategie impiegate può esserci la negazione, la normalizzazione e la conversione. La negazione comporta un'incapacità o una non volontà di riconoscere l'esistenza dell'omosessualità, e pertanto di farlo apparire così rara che il fenomeno può essere liquidato come "qualcosa di cui non vale la pena di occuparsi", uno "scherzo di natura". Data la visibilità generalmente scarsa dell'omosessualità, la negazione può essere un meccanismo molto frequente per affrontare questa "anomalia".
La normalizzazione comporta lo sforzo di costringere le anomalie a cambiare, in modo da rientrare nelle categorizzazioni prevalenti, o almeno in modo da poter essere spiegate come parte di esse. Così, per esempio, l'omosessuale può essere spiegato in termini di "una donna nel corpo di un uomo", oppure "in realtà una donna anche se il corpo sembra quello di un uomo", e così via. La categorie convenzionali delle persone dalla "sessualità normale" sono così salvaguardate." (Kenneth Plummer, Sexual stigma, Routhledge & Kegan, London & Boston, 1975 pp. 102-103. Traduzione mia.)
14) Incidentalmente: è forse con questa differente tradizione sociale che si spiega il fascino irresistibile che esercitano sugli omosessuali latini le comunità omosessuali costruite "a cittadella assediata" (come S. Francisco), chiuse in se stesse, mentre i gay di tradizione anglosassone e calvinista sono i più accaniti difensori dell'idea che l'omosessualità sia solo una "costruzione sociale" ("historical construction"), un'invenzione della società e del Potere. Ognuno vede nei difetti dello stile di vita altrui la promessa di un "nuovo" stile di vita che al suo Paese è impossibile.
15) An.: "L'omosessualismo in Francia e in Germania" "Rivista penale", LXIX l909, pp. 518-519. Raccomando vivamente la lettura di questa noterella, che mette direttamente in relazione la tradizione religiosa (cattolica e protestante) e l'atteggiamento sociale verso l'omosessualità. Prudentemente l'autore confronta Francia e Germania, ma il paragone calza perfettamente anche per l'Italia di allora e di oggi.
16) G.G. Perrando, Manuale di medicina legale, Idelson, Napoli 1921, pp. 134-135.
17) Amedeo Dalla Volta: Trattato di medicina legale, Società editrice libraria, Milano 1933, vol. 1, p. 308.
18) Si veda: Mack Fingal. The Italian penal Code: a study in evolution, "Mattachine review", II l956, pp. l5-l7.
19) Progetto preliminare di un nuovo codice penale, Tipografia delle Mantellate, Roma 1927, p. 206.
20) Relazione ministeriale sul progetto di Codice Penale, II, 314. Citato in V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, UTET, Torino l936, parte 2, p. 218.
Per altri pareri contrari all'incriminazione dell'omosessualità nel nuovo codice penale, e per una discussione generale un po' più approfondita sul periodo, rimando al mio saggio Le ragioni di una persecuzione in: Martin Sherman, Bent, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984, pp. 101-119, specie alle pp. 115-117.
21) Cesare Tallarigo, Reati caratteristici degli indigeni in Libia, pp. 398-399, in: Atti del I congresso internazionale di criminologia, Tipografia delle mantellate, Roma 1939, vol. V.
22) Perversioni, "Il popolo d'Italia", 7 novembre 1926.
23) Per le vicende degli omosessuali italiani durante il periodo in cui fu loro comminato il confino, si vedano i risultati della ricerca da me compiuta presso l'Archivio di Stato a Roma: Giovanni Dall'Orto, Per il bene delle razza al confino il pederasta, "Babilonia" n. 35, aprile 1986, pp. 14-17; e Credere, obbedire, non "battere", "Babilonia" n. 36, maggio 1986, pp. 13-17; inoltre Giovanni Dall'Orto, Allarmi, siamo gay, "Panorama", 20 aprile 1986, pp.156-165. Si veda anche la mia intervista ad un ex-confinato omosessuale: Pepinella: "En quittant les i^les Tremiti, il y en a qui ont pleuré!", "Gai pied hébdo", n. 271, 23-29 mai 1987, pp. 24-25; anche come: xyxyx yxy xyxyyx byxyxy xyxyxyxy, "Babilonia" n. 50, ottobre 1987, pp. oIoIoIoIo
24) Al proposito si veda Luigi Salerno, Enciclopedia di polizia, Bocca, Milano 1938, alle voci "ammonizione" e "confino di polizia".
25) Si veda lo spiritoso resoconto dell'esperienza di "confino" in un paesino del Sud contenuto nell'autobiografia di uno dei primi transessuali "pubblici" italiani: Romina Cecconi, Io, la Romanina, Vallecchi, Firenze 1976.
26) Si veda al proposito: Bruno Romano, Perché mi batto contro gli omosessuali, "ABC", 25 giugno 1961.
Maurizio Bellotti, Une proposition immonde, "Arcadie" n. 94, octobre 1961, pp. 509-513.
Sulla richiesta di criminalizzare il comportamento omosessuale si veda inoltre: Salvatore Messina, L'omosessualità nel diritto penale, "Ulisse", primavera 1953, pp. 671-677.
Per il testo delle leggi si veda: Atti parlamentari, Camera dei Deputati, disegni di legge n. 1920 (22 gennaio 1960), ripresentato senza variazioni come n. 759 (14 novembre 1963) e (la proposta di Bruno Romano), Ibidem, n. 2990 (29 aprile 1961).
27) Si veda l'intervista concessa da Bernardino Dal Boca in: Giovanni Dall'Orto (a cura di): La pagina strappata, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1987, pp. 79-99.
28) Atti parlamentari, op. cit., n.1920 (22/1/1960), p.1.
29) Ibidem, p. 3.
30) Op. cit., n. 2990 (29/4/1961), p. 10.
31) Ivi.
32) "Questa della uguaglianza dei diritti - rispondono alla polizia - è una barzelletta perché da noi, almeno sul piano legale, è cosa fatta a differenza di altri paesi (l'Inghilterra, la Germania e parecchi Stati americani). In Italia - proseguono alla polizia - il codice non si interessa dei rapporti tra adulti consenzienti" (Guido Cappato, "Mi chiamo Mario, ho 13 anni", "ABC", 3 marzo 1972, p. 37.) Sui metodi repressivi usati dalla polizia nel dopoguerra si vedano le memorie del commissario Carmelo Camilleri, Polizia in azione, Ordine pubblico, Roma s.d. (ma 1958), pp. 37-40.
33) Carla Guglielmi, E tu non sei gay ma uomo, "Madre", gennaio 1987, pp. 30-32.
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La "tolleranza repressiva" dell'omosessualità' (1)
Quando un atteggiamento
diviene tradizione.
Il tema che mi è stato assegnato, l'evoluzione storica dell'atteggiamento dello Stato italiano nei confronti dell'omosessualità, può forse apparire un po' arido. Contrariamente alle apparenze, invece, si tratta di una questione di estrema importanza per chi vuole capire (e combattere) la posizione odierna dello Stato nei confronti degli omosessuali.
Perché faccio questa affermazione? Ma perché in Italia esiste da quasi due secoli una tradizione giuridica mai messa in discussione (nemmeno durante il fascismo), tramandata di generazione in generazione dall'inizio dell'Ottocento ad oggi, che è tuttora assai viva.
Lo stesso codice penale attualmente in vigore in Italia (il "codice Rocco", approvato nel 193O), è nato all'interno di una tradizione legislativa consolidata: quella del Code Napoléon, cioè del codice penale imposto da Napoleone a tutte le nazioni da lui conquistate o controllate.
Questo nuovo codice, benché costituisse sotto molti punti di vista una "restaurazione", per molti altri era figlio legittimo della Rivoluzione francese. Il suo modo di trattare dei comportamenti sessuali "devianti" è fra questi ultimi: l'omosessualità in quanto tale non è infatti neanche nominata.
È una decisione davvero "rivoluzionaria", e contrasta con l'atteggiamento prevalente nel resto del mondo occidentale, dove la pratica omosessuale era ancora un crimine punibile con la morte (2).
Ovviamente una decisione così audace non nacque dal nulla: al contrario fece tesoro di un lungo dibattito sull'inumanità della condanna capitale contro i sodomiti, sviluppatosi fra gli illuministi a partire da Montesquieu e Beccaria (3).
La codificazione preunitaria
Furono pochi gli stati italiani che dopo la caduta di Napoleone seppero rinunciare a uno strumento così adatto ai tempi come il "suo" codice penale. In molti casi esso rimase "provvisoriamente" in vigore, con le ovvie modifiche necessarie ai nuovi padroni; in altri costituì il modello su cui fu ricalcato un nuovo codice penale. Solo i Savoia e il Papa ebbero il coraggio (e la follia reazionaria) di abolirlo completamente e richiamare in vigore, in blocco, la legislazione pre-rivoluzionaria.
Questa circostanza spiega perché l'omosessualità in quanto tale non costituisse un reato per quasi tutti i codici penali italiani pre-unitari, con la sola eccezione di quello austro-ungarico (che era in vigore nel Lombardo Veneto) e di quello del Regno di Sardegna (4).
Questa "eccezione" ebbe comunque un'importanza notevole, perché il codice penale del Regno di Sardegna fu esteso nel 186O al resto dell'Italia appena unificata. Il famigerato articolo 425, che puniva gli atti omosessuali su querela di parte o in caso di "scandalo", entrò così in vigore anche nelle altre province del neonato Regno.
Ci fu però un'eccezione molto significativa: al momento di promulgare il "nuovo" codice nell'ex-Regno delle due Sicilie, l'art. 425, assieme a pochi altri, fu abrogato (5).
È questo un sintomo del disagio con cui le bigotte disposizione legislative sarde sull'omosessualità venivano accolte nel resto d'Italia. Si tratta anche di un implicito riconoscimento degli effetti devastanti che una legge repressiva avrebbe avuto sui costumi del Sud Italia, dove una fase di comportamento omosessuale veniva data implicitamente per scontata nella vita di ogni individuo. Fu insomma una prima, silenziosa ammissione della diversità fra le due "culture" dell'omosessualità, quella mediterranea e quella nordica, esistenti anche oggi in Italia.
Di fatto si giunse comunque a un paradosso: la pratica omosessuale fra adulti consenzienti poteva costituire un reato a Torino, Milano, Cagliari o Ancona, ma non a Napoli, Bari o Palermo. Una situazione decisamente anomala.
Quando però venne il momento, dopo interminabili discussioni, di promulgare il primo codice penale veramente "italiano" (il codice Zanardelli, del 1889), il contrasto fra le due disposizioni legislative fu risolto una volta di più secondo la tradizione del codice napoleonico. Quello omosessuale ritornò così ad essere un comportamento che, se compiuto fra adulti consenzienti in privato, non era preso in considerazione dalle leggi.
La natura del controllo sociale religioso:
cattolicesimo e calvinismo.
Fu una scelta di enorme importanza, che ci rimanda subito alla questione centrale del mio intervento. Perché mai la classe politica italiana, invece di "completare l'opera" estendendo l'art. 425 anche al Sud, come avrebbe potuto benissimo fare, scelse al contrario di cancellarlo del tutto?
La risposta è semplice: perché sapeva che in Italia esisteva già un'altra agenzia di potere a cui poteva essere affidato il controllo e la repressione dell'omosessualità: la chiesa cattolica.
Per la classe politica liberale ottocentesca (ma anche per quella attuale), il campo della morale, specialmente sessuale, è di "naturale" competenza della religione. La morale sessuale non riguarda lo Stato, che al più ha il dovere di intervenire solo quando l'immoralità rischia di creare turbamento all'"ordine pubblico".
Non si tratta di una innovazione. La spartizione delle aree di controllo sociale fra chiesa cattolica e Stato fu utilizzata già dallo stesso Napoleone, attraverso lo strumento del Concordato.
Quello che voglio dire è, in altre parole, che il codice napoleonico è uno strumento legale pensato e creato per le esigenze dei paesi cattolici, dove la Chiesa garantisce la repressione e la "copertura" di quelle aree di comportamento che i codici penali lasciano volutamente "scoperte".
Se si osserva quali sono le nazioni che fin dall'Ottocento hanno abbandonato la persecuzione legale del comportamento omosessuale (Francia, Italia, Spagna, Portogallo, tutte le repubbliche dell'America latina, persino la Polonia fascista di Pilsuldzki) si noterà che sono tutti paesi cattolici. Persino nella Germania pre-unitaria la Baviera cattolica depenalizzò l'omosessualità, mentre la Prussia protestante non lo fece mai.
Il caso limite, paradigmatico, è forse quello dell'Olanda, che ha seguìto il codice napoleonico fino a che la maggioranza della popolazione è stata cattolica, ma che dopo l'indipendenza del Belgio (e la conseguente riduzione dei cattolici a minoranza) ha introdotto leggi antiomosessuali (6).
Diversa è la situazione nei paesi protestanti, dove spesso esiste una galassia polverizzata di chiese e sètte. Qui lo Stato non dispone di un interlocutore unico, ed è costretto ad "agire in proprio" con leggi dirette.
Ciò avviene con tanto più zelo, quanto più fortemente l'influenza teocratica del calvinismo (e del suo figlio legittimo, il Puritanesimo) si è fatta sentire. Non è un caso che gli Stati Uniti d'America, dei quali il calvinismo/puritanesimo è sempre stato, per così dire, il cemento unificante, siano anche la sola nazione occidentale dove si arriva (in certi Stati) a specificare per legge gli atti sessuali che i coniugi possono compiere, e quelli che non possono compiere (neanche in privato e fra adulti consenzienti).
Qui siamo di fronte, a mio parere, a una tipica esigenza calvinista, che nasce dalla teoria della predestinazione. Secondo questa teoria l'individuo ha solo un modo per verificare se appartiene o meno a una chiesa di predestinati alla salvezza. Se la Grazia divina si manifesta nella comunità, allora quella è una comunità di "salvati".
Come si manifesta la Grazia? Se la comunità stessa osserva fedelmente i dettami divini, e "quindi" prospera (anche - se non soprattutto - economicamente...) è evidente che la Grazia salvifica è all'opera (7).
Per comunità di questo tipo l'individuazione di comportamenti privati "scorretti" diventa una necessità vitale. È come scoprire il baco nella mela. Permettere l'esistenza anche occulta (anzi, soprattutto se occulta) di comportamenti "immorali" equivale a disinteressarsi del proprio destino di "predestinato" alla salvezza o meno. (Da qui anche la passione tutta anglosassone per gli affari di letto degli uomini politici...).
Le radici calviniste della persecuzione antiomosessuale negli USA emergono esplicitamente nella risposta tradizionale a chi osserva che l'omosessualità è un victimless crime, un "delitto senza una vittima". Non è vero, ribatte chi è favorevole alle sodomy laws, una vittima esiste, ed è la collettività.
Come volevasi dimostrare...
Diverso è l'atteggiamento mentale (e morale) del cattolico, a cui manca l'ossessivo autocontrollo dei calvinisti. Il cattolico sa di avere, fra sé e Dio, un'istituzione il cui unico scopo è quello di guidarlo, cioè di deresponsabilizzarlo dei suoi atti. Non si preoccupa di non peccare, perché tanto sa che tramite la confessione può azzerare periodicamente il conto con la propria coscienza, per poi ricominciare a peccare dopo un po' di pentimento. Comodo, semplice ed efficace (8).
Particolare illuminante: mentre negli stati cattolici la Chiesa è contraria a leggi antiomosessuali, nei paesi protestanti, dove è solo una delle tante sette cristiane, e non può quindi controllare in prima persona la società, ne è una delle più accese sostenitrici.
Non mi si obbietti che il background religioso di cui ho appena parlato non può avere grande importanza nella società laica attuale. Se qualcuno si fa illusioni al proposito, gli ricorderò che la famosa sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti del 1986, ha giustificato ed ammesso le leggi antiomosessuali proprio facendo esplicito richiamo alla legge divina...
"Riesce più utile l'ignoranza del vizio"
Dopo questo excursus torniamo al punto di partenza, cioè all'Italia dell'Ottocento, dove l'esistenza di una "divisione dei compiti" fra chi si deve occupare del "campo della morale" (cioè la Chiesa) e lo Stato viene ammessa senza alcuna difficoltà. Lo stesso Zanardelli, spiega con queste parole perché il progetto del codice penale che avrebbe preso il suo nome non facesse menzione dell'omosessualità:
"Se occorre da un lato reprimere severamente i fatti dai quali può derivare alle famiglie un danno evidente ed apprezzabile, o che sono contrari alla pubblica decenza, d'altra parte occorre altresì che il legislatore non invada il campo della morale" (...) "Il Progetto tace pertanto intorno alle libidini contro natura; avvegnaché rispetto ad esse, come ben dice il Carmignani, riesce più utile l'ignoranza del vizio che non sia per giovare al pubblico esempio la cognizione delle pene che lo reprimono" (9) (corsivo mio).
Dunque per la classe politica italiana il problema omosessuale non esiste, è meglio non parlarne nemmeno, perché se ne parlassimo troppo la gente comincerebbe a porsi questioni un po' pericolose sulla natura dell'omosessualità.
Il parere di Zanardelli viene esplicitato in modo inequivocabile in un commento del 1889. "Nella celebre controversia sulla punibilità degli atti di libidine contro natura e dell'incesto", vi si dice, "il nuovo codice obbedì alla scienza da un canto, e alla pubblica coscienza dall'altro.
Li reprime sempre come delitti sotto il nome di violenza carnale quando commessi con la violenza vera o presunta, perché trapassano in lesioni dei diritti della dignità e della libertà della persona, che dallo Stato devono essere gelosamente tutelati.
Li reprime come delitti anche se commessi senza violenza, o sotto il nome d'incesto, o sotto quello di oltraggio al pudore quando offendano i sacri diritti della pubblica moralità; e li abbandona altrimenti come peccati alla sanzione della religione e della privata coscienza" (1O) (corsivo mio).
Il concetto viene ribattuto ancora una volta nel 19O9: "Simili fatti, per quanto ributtanti, non vanno ricordati e puniti, perché è preferibile per la morale pubblica che restino sepolti nella oscurità e ignorati. (...) <Il codice Zanardelli>, per tal modo, è venuto a consacrare un principio scientifico, il quale è all'unisono con la pubblica coscienza, che cioè la riprovazione dei vizi e della corruttela sia propria della legge etica, e che la legge penale non debba punirli se non quando si appalesano anche come violazione di diritti" (11) (corsivo mio).
Il "patto sociale" fra lo Stato italiano e gli omosessuali
Silenzio e censura: ecco le autentiche armi usate dallo Stato italiano per reprimere l'omosessualità. È una censura così spietata da aver persino paura della pubblicità che a questo comportamento avrebbero dato gli scandali connessi ai processi penali contro gli omosessuali ("l'ignoranza è un fiore delicatissimo: basta un nonnulla per sciuparla", ammiccava Oscar Wilde).
L'Italia non ebbe mai, e per scelta, scandali di enorme risonanza, come quelli che dall'Ottocento colpiscono a ripetizione l'opinione pubblica dei paesi protestanti. Se non si criminalizzò il comportamento omosessuale fu anzi per evitare che uno scandalo à la Oscar Wilde infrangesse quella "ignoranza del vizio" auspicata da Zanardelli (12).
Questa è in Italia, nella sua semplicità, la strategia di re pressione dell'omosessualità: un processo di negazione da parte del Potere, a cui fa eco da parte delle classi popolari un processo di normalizzazione, da cui nasce il ruolo sociale del ricchione e del femmenella (13).
Lo Stato offre agli omosessuali una relativa impunità, assicura loro che non andrà mai a metter naso nelle loro case private (come invece succede ancor oggi negli USA), ma in cambio esige che gli omosessuali non mettano mai in discussione, con il loro comportamento e i loro discorsi, la supremazia del modello di vita eterosessuale e patriarcale. Esige che l'omosessualità si "normalizzi", che non diventi mai uno "stile di vita", ma rimanga solo una variazione marginale e patetica dell'unico stile di vita "valido" e possibile: quello eterosessuale.
Il vantaggio che gli omosessuali italiani (e latini in genere) trovano in questo "patto" è che lo Stato non li costringerà mai ad "uscire dal nascondiglio" contro la loro volontà, per mezzo di processi clamorosi e "retate" che "mettano in piazza" la loro "diversità", come invece succede nei paesi dove l'omosessualità è proibita. La "doppia vita" diviene non solo possibile e facile, ma anche socialmente incoraggiata.
È così che la società italiana è riuscita fino al 1971 a prevenire la formazione di un gruppo di individui che facese della sua diversità una ragione di battaglia, e quindi la nascita di un movimento di liberazione omosessuale. Ed è così che gli omosessuali italiani hanno potuto cullarsi tanto a lungo nei loro alibi di cartapesta ("Io sono bisessuale", "l'omosessualità non esiste", "io non sono omosessuale perché sono sposato" ecc), che nessuno aveva interesse di verificare (14).
È particolarmente importare capire la logica di questa tattica, perchè, come anticipavo all'inizio, in Italia si è fatta tradizione profondamente radicata: lo dimostra ad esempio il modo in cui le autorità e la società si comportano oggi di fronte alla crisi dell'Aids. Per quanto incredibile ciò possa apparire, l'Italia è uno dei pochi paesi al mondo in cui una campagna di prevenzione mirata agli omosessuali non è stata neppure progettata.
Una volta di più il problema non esiste perché non deve e non può esistere.
La repressione sabota la "doppia vita"
Poiché so che a qualcuno questa mia interpretazione della nostra storia apparirà un po' troppo audace, vorrei fare un paio di citazioni.
In un commento apparso sulla "Rivista penale" nel 19O9 si afferma esplicitamente che (Foucault qui non ha scoperto niente di nuovo) la repressione diretta ha lo svantaggio di "creare" il militante omosessuale che la combatte, e di stimolare la concentrazione degli omosessuali in una città-rifugio:
"Gli omosessuali tedeschi son usciti dall'ombra, ove generalmente amano starsene, per mostrarsi alla luce del sole, per riunirsi a Berlino, per discutere sui giornali, sulle riviste. L'art. 175 c.p., che incrimina gli atti di omosessualismo anche commessi fra le quattro pareti d'una stanza solitaria e per reciproco consenso, à potuto produrre quest'effetto, dando luogo a una campagna per l'abolizione di quella disposizione e impegnando una discussione vivissima pro e contro l'omosessualità" (15).
E in un manuale di medicina legale del 1921, si afferma: "Quanto alla repressione dell'omosessualità, non è il caso di pensare alle deplorevoli disposizioni del famoso art. 175 del codice germanico. Queste ed altre immoralità e perversioni non sono da combattersi con inquisizioni sulla vita privata ed intima. La legge non deve intervenire che per offesa di ragione pubblica. La profilassi non può che rivolgersi all'accennata riforma educativa dei costumi" (16).
E ancora, nel 1933, a ridosso dell'approvazione del nuovo "codice Rocco", vi fu chi osservò: "Si è notato che anche nei paesi dove l'omosessualità è considerata come reato questa non solo permane, ma si circonda di una pericolosa aureola di pubblicità che contribuisce alla sua diffusione fra i predisposti e conduce non di rado ai più odiosi ricatti" (17) (corsivo mio).
Credo che alla luce di questi pareri sia più facile capire perché, quando il fascismo approvò il "codice Rocco" scelse di non fare parola dell'omosessualità. Per questa decisione un codice penale fascista fu indicato subito dopo la guerra dai gay dei "democratici" Stati Uniti come un modello di modernità e... apertura di idee! (18).
Il fascismo e il codice Rocco
La scelta del codice Rocco non fu insomma causata da una dimenticanza. Ciò è dimostrato dall'esistenza nella bozza di codice penale, del 1927, di un articolo, il 528, destinato a reprimere proprio gli atti omosessuali.
Eccone il testo:
"Relazioni omosessuali. Chiunque (...) compie atti di libidine su persona dello stesso sesso, ovvero si presta a tali atti, è punito, se dal fatto derivi pubblico scandalo, con la reclusione da sei mesi a tre anni.
La pena è della reclusione da uno a cinque anni:
1) se il colpevole, essendo maggiore degli anni ventuno, commetta il fatto su persona minore degli anni diciotto;
2) se il fatto sia commesso abitualmente, o a fine di lucro" (19).
Si noti come questa proposta di legge "fascistissima" sia molto meno repressiva delle leggi tuttora in vigore in molti stati "democratici". Ciononostante, l'articolo non fu approvato.
"La innovazione", spiegò Rocco al momento di presentare il nuovo codice penale, "fu oggetto di quasi generale ostilità. Venne principalmente opposto che il turpe vizio, che si sarebbe voluto colpire, non è così diffuso in Italia da richiedere l'intervento della legge penale. Questa deve uniformarsi a criteri di assoluta necessità nelle sue incriminazioni: e perciò nuove configurazioni di reato non possono trovare giustificazione, se il legislatore non si trovi in cospetto di forme di immoralità che si presentino nella convivenza sociale in forma allarmante. E ciò, per fortuna, non è, in Italia, per il vizio suddetto. Queste ragioni, contrarie all'incriminazione dell'omosessualità, mi hanno convinto, e, nel testo definitivo, ho soppresso la relativa disposizione" (2O).
Quanto al monopolio concesso alla chiesa cattolica in campo morale, credo che il testo del Concordato parli da sé. Le vicissitudini che ha dovuto attraversare l'approvazione del divorzio in Italia sono sintomatiche. Dirò di più: le polemiche nate dalla famigerata "ora di religione" nelle scuole dimostrano come neppure le forze laiche (in prima linea il PCI) che hanno votato a favore di quel mostro che è il "nuovo" Concordato, neppure queste forze siano mai riuscite a liberarsi dell'idea che sia "giusto" e "naturale" garantire alla Chiesa cattolica un controllo sulle coscienze, soprattutto per mezzo dell'educazione dei bambini.
Esiste comunque un documento divertente che mostra in maniera paradossale fino a qual punto il fascismo considerasse la questione omosessuale come appartenente al campo della morale religiosa.
Si tratta di una relazione ad un convegno di criminologia sulla vita morale in Libia, che all'epoca era colonia italiana. Figuriamoci se allora a qualcuno importava che le leggi che l'Italia preparava per i popoli colonizzati fossero eque e democratiche. Se si fosse promulgata una legge antiomosessuale in Libia, nessuno se ne sarebbe accorto.
Eppure di fronte al problema di come contenere l'omosessualità in Libia il relatore non ha alcun dubbio: bisogna coinvolgere le autorità religiose, perché convincano la gente che il Corano condanna l'omosessualità!
"Le leggi italiane", afferma il relatore, "applicate in pieno in Libia, colpiscono da un venticinquennio con tutto il loro rigore la pederastia, quando assume forme di reato, ma la lotta contro il delitto non ha speranza di trionfo, se un'opera tenace e continua - quale si sta compiendo - non riesca prima a sgombrare dall'animo la falsa credenza dell'impunità religiosa e, quindi, non crei nelle coscienze degli indigeni la convinzione dell'immoralità della pratica immonda.
La lotta contro il delitto (...) più che sulle condanne e sulle pene deve fare affidamento nell'opera di profilassi sociale e di convincente propaganda, che instilli il sentimento della ripugnanza ad esso e la convinzione che quanto si è fatto per anni e secoli ed è diventato una seconda natura, certi di non violare una legge morale, è invece riprovato sia dalla morale che dalla religione e, quindi, dalla legge.
L'opera del giudice, cioè, non deve precedere, ma seguire quella del moralista, o meglio (...) il giudice, con la sua parola e con la convincente motivazione della sua sentenza, deve essere contemporaneamente l'autorità, che applica la legge scritta, e il moralizzatore, che diffonde i principi del vivere morale" (21).
Per concludere con le citazioni, che spero sufficientemente convincenti, vorrei leggere un trafiletto apparso nel 1926 su "Il popolo d'Italia", quotidiano fascista fondato da Benito Mussolini e diretto da Arnaldo Mussolini, e quindi specchio decisamente fedele, nelle sue prese di posizione, del pensiero "ufficiale" del fascismo.
Argomento è una recensione non meglio identificata, apparsa poco prima su un altro giornale, dell'epistolario di Oscar Wilde, nella quale si condannava l'Inghilterra per aver perseguitato un genio letterario di così alto livello.
L'articolo non firmato, che si intitola "Perversioni", si scaglia contro questa presa di posizione. "Curiamo di mantenere pura e vigile la fortunata sanità del nostro popolo", afferma "Il popolo d'Italia", "e se ascoltiamo con piacere a teatro Il ventaglio di Lady Windermere, o ci compiaciamo per La casa del melograno o La ballata del prigioniero, dove questo mediocre poeta e scrittore di derivazione pur tocca certe note umane profonde, nei giornali italiani - che vanno per le mani di tutti - si faccia il silenzio intorno alle documentazioni epistolari di vergognose malattie, abbandonate al pubblico sotto pretesti vagamente letterarii. Il silenzio è l'unica forma di rispettosa pietà per il morto e di preservazione dal contagio per i vivi" (corsivo mio) (22).
Fascismo e omosessuali:
riassunto d'una ricerca d'archivio.
C'è bisogno d'altro? Si poteva essere più espliciti? Credo di no. Le tessere del puzzle combaciano in modo perfetto.
Quella che si configura in Italia non è affatto, come a prima vista potrebbe apparire, la mancanza di un intervento delle autorità nel campo della devianza sessuale, ma al contrario una strategia generale compiuta con il minimo sforzo, il minimo disagio sociale, ed il massimo di rendimento. Dal punto di vista della repressione, si deve ammettere che si è trattato di una tattica molto intelligente: non a caso i paesi del "codice napoleonico" sono oggi anche quelli in cui il movimento gay è più debole e demotivato.
Seguiamo l'evoluzione delle leggi dall'Unità in poi. L'Italia umbertina prima, quella fascista poi, e quella democristiana subito dopo, seguono tutte la stessa identica strategia di controllo sociale: la "tolleranza repressiva" appunto. I cambiamenti di regime non hanno influito sul tipo di repressione: neppure quando nel 1936 l'Italia cercherà di scimmiottare la Germania nazista, dichiarando gli omosessuali nemici della sanità della razza e mandandoli al confino.
Grazie anche al contributo dell'Arci-gay, che ha sostenuto le spese del viaggio e della ricerca, sono stato in grado di consultare presso l'Archivio centrale dello Stato gli incartamenti relativi ai confinati per omosessualità durante il fascismo (23).
Ebbene, mi ha colpito il fatto che il confino politico (non quello comune) per omosessualità, inaugurato nel 1936, non durò a lungo. Bastano tre anni perché le autorità si stufino di quel metodo di controllo così complicato e costoso, e nel 194O tutti i confinati sono rispediti a casa, (sotto il controllo occhiuto del parroco, del commissario di polizia, dei parenti e dei vicini); di confino per gli omosessuali non si parla più.
Questo accadeva mentre i lager nazisti divoravano un numero sempre crescente di omosessuali tedeschi.
Incidentalmente si noti come il confino fosse comminato non sulla base di una legge apposita, ma bensì del Testo Unico di Pubblica sicurezza (tuttora in vigore), che dava alla polizia il potere discrezionale di eliminare dalla convivenza sociale un individuo che avesse un atteggiamento "scandaloso". Per questo non era necessario un processo regolare, (ne bastava uno sommario), non erano necessarie prove, in quanto le prove le doveva fornire la polizia, che proponeva il confino e la cui "parola d'onore" costituiva prova essa stessa.
Non era necessario provare che un dato atto era stato compiuto, specificando dove, quando, da chi e con chi. Bastava che la polizia affermasse che una certa persona "dava scandalo": tutto qui.
In questo modo fu facile punire quegli omosessuali che non vivevano in modo sufficientemente segreto la loro condizione. Ma al confino si arrivava raramente (meno di novanta casi in tutto fra il 1936 ed il 1939): altri metodi repressivi di cui ho trovato traccia negli archivi sono il pestaggio (normale sotto il fascismo), l'invito a bersi una bottiglia di olio di ricino, il licenziamento se si lavorava per un ente pubblico, e molto spesso anche l'ammonizione, (una specie di arresto domiciliare mitigato), sotto sorveglianza costante della polizia (24).
Sono tutte forme di repressione che non passano attraverso il codice penale, e perciò non lasciano traccia, non si prestano ad essere pubblicate sui giornali, sono indolori per la società, ma non ovviamente per chi ne è colpito.
Ed è importante notare che la Repubblica ("antifascista e nata dalla Resistenza") le eredita tutte, salvo naturalmente i brindisi di olio di ricino, troppo "caratterizzati". Il confino ad esempio fu applicato fino a pochi anni fa, anche se "solamente" ai transessuali (25). Quanto ai pestaggi e ai licenziamenti, sono pratica corrente anche oggi.
Tradizione o "continuismo"?
Fra l'Italia umbertina, quella fascista e quella democristiana non esiste insomma soluzione di continuità: cambiano i regimi ma non la condizione legale dell'omosessualità, che continua a non essere penalmente perseguibile.
Analogamente, esiste una continuità fra la Germania imperiale, la Repubblica democratica di Weimar, il Terzo Reich nazista e la Repubblica federale tedesca (almeno fino alla parziale abrogazione del paragrafo 175): oltralpe l'omosessualità fu sempre reato. Ed ancora oggi la Germania federale si rifiuta di indennizzare gli omosessuali sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti, considerando "legittimo" il loro internamento!
I sociologi in questi casi parlano di "viscosità" delle istituzioni. E credo che questo sia un eccellente esempio di "viscosità", cioè di conservatorismo e "continuismo". Un continuismo che giunge fino ai giorni nostri.
Tentativi di introduzione di leggi antiomosessuali
nel codice penale italiano.
Nel dopoguerra in Italia è stata per ovvie ragioni la Democrazia Cristiana il partito che ha garantito il mantenimento di questa tradizione. La conseguenza più anomala di questa sua "eredità" è che per quarant'anni è stato proprio questo partito il principale baluardo contro l'inserimento nel nostro codice penale di un articolo contro l'omosessualità.
Quando gli USA divennero i dominatori del mondo occidentale, i loro principii penali assursero improvvisamente a "modelli" da seguire, e non mancò chi ritenne necessario "adeguarsi" al livello di "civiltà" d'Oltreatlantico adottando anche nei paesi europei leggi contro gli omosessuali.
A tre riprese in Italia (nel 1960, 1961 e 1963) si tentò di far discutere un progetto di legge antiomosessuale: due volte per iniziativa del Movimento sociale, ed una di Bruno Romano, deputato del PSDI (26).
Ebbene, nessuna delle tre proposte fu mai messa all'ordine del giorno, e tutte e tre decaddero col decadere della legislatura senza essere mai state discusse. Nei documenti dell'epoca ho letto che il "sabotaggio" fu "promosso" dalla Democrazia Cristiana, che trovava inopportune le proposte.
Non ho i mezzi per verificare la fondatezza di questa "accusa"; in ogni caso tutto contribuisce a far pensare che non sia infondata. Non c'era ragione per cui il partito di maggioranza relativa avrebbe dovuto essere scontento della situazione esistente: data la sua matrice culturale gli era possibile agire in coordinamento con le istituzioni ecclesiastiche nella repressione dell' omosessualità, senza ricorrere a leggi. Una volta di più, né la chiesa né la DC volevano che si facesse troppo "chiasso" attorno all'argomento.
Oggi facciamo fatica a credere a qual punto arrivasse in Italia, negli anni Cinquanta e Sessanta, il regime inquisitoriale sulle questioni sessuali, e sull'omosessualità prima di tutto.
Gino Olivari, una figura che molti conosceranno, fu denunciato nel 1953 per aver scritto un articolo in cui parlava con simpatia di due collegiali, suicidatisi dopo che il loro amore era stato scoperto e "messo in piazza". Fu accusato (dai cattolici) di "apologia" e di "oscenità", e dovette affrontare un processo (in cui fu assolto).
L'editore di "Scienza e sessualità", il primo mensile italiano che si occupò timidamente di sessualità, se la dovette vedere con le squadracce di padre Gemelli (il fondatore dell'Università Cattolica) che giravano per Milano a minacciare gli edicolanti che vendevano la sua rivista. Ci fu anche, per questo fatto, una denuncia contro Gemelli, ma "ovviamente" il processo non ebbe mai luogo.
L'editore De Carlo, che pubblicava libri "piccanti" ma anche opere "serie" sulla sessualità, fu denunciato per "oscenità" contemporaneamente in tutte e 91 le province italiane d'allora, e non potendo affrontare 91 processi in un botto solo fu costretto a dichiarare fallimento (27).
Questa era l'Italia di quegli anni, l'Italia in cui l'onorevole Scalfaro schiaffeggiava pubblicamente (e impunemente) in un bar di Via Veneto una donna perché, a suo dire, aveva un scollatura eccessiva. A che pro allora introdurre "scandalose" leggi antiomosessuali, quando anche senza di esse la situazione era perfetta mente sotto controllo anche senza di esse?
Per dare un'idea più precisa di queste tentativo fallito, ecco due brevi stralci dalle proposte di legge in questione.
Nella proposta del MSI si dice ad esempio che "non v'ha dubbio che la situazione morale dei nuclei familiari deve proteggersi e che tale finalità non può raggiungersi se non con una legge dello Stato. Esiste oggi in Italia una vera e propria letteratura del vizio; teorici di questa moderna degenerazione hanno avuto financo la temerarietà e l'audacia di elevare il vizio ad arte, sollecitando una vera e propria organizzazione con adesioni concettuali e filosofiche e per ciò stesso determinando il pericolo che siffatte perversioni non rappresentino soltanto una sia pur degenerata ansia di sensi, ma una direzione psicologica e spirituale verso traguardi di chiara involuzione morale" (28).
L'articolo di legge del MSI così recita: "Chiunque ha rapporti sessuali con persona dello stesso sesso è punito con la pena della reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire 10.000 a lire 100.000. Se dal fatto deriva pubblico scandalo la pena è aumentata. Se tra persone che hanno rapporti sessuali con persone dello stesso sesso vi siano uno o più minori di anni 18, la pena sarà aumentata nei confronti del maggiore e dei maggiorenni" (29).
Per quel che riguarda Bruno Romano la sua proposta di legge è assolutamente delirante: nella sua proposta "chiunque ha rapporti sessuali, o commette atti idonei al raggiungimento di una finalità sessuale con persona dello stesso sesso, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni, e con la multa da lire 50.000 a lire 500.000", (art. 1), salvo il caso in cui uno dei partner abbia meno di 17 anni, nel qual caso la reclusione va da cinque a dieci anni! (art. 2) (30).
Ma la parte davvero pazzesca è l'art. 4 della proposta, che così recita: "Chiunque, a mezzo della stampa, della radio televisione, del teatro, del cinema, di convegni o riunioni dovunque tenuti e di ogni altro sistema di propaganda e diffusione, si renda promotore, organizzatore ed esecutore di azioni e manifestazioni che abbiano come finalità l'apologia della condotta omosessuale è punito con la reclusione da cinque a dieci anni" (31).
Siamo di fronte all'introduzione di un vero e proprio reato d'opinione! Non solo: poiché nello spirito di allora qualsiasi difesa dell'omosessualità era di per sé un'apologia, anche i promotori e relatori di questo convegno (compreso me) rischierebbero oggi, se la proposta di Romano fosse stata approvata, dai 5 ai 1O anni di carcere...
Le cose andarono poi come già sappiamo, e queste leggi non furono approvate. Eppure, colmo della raffinatezza, negli anni successivi proprio la mancanza di leggi antiomosessuali fu utilizzata come argomento polemico per sostenere la "insensatezza" della protesta del neonato movimento gay (32).
E oggi?
Siamo arrivati al momento attuale. La situazione continua ad essere quella appena delineata: nessuna legge contro l'omosessualità, ma ampi spazi di arbitrio e discrezionalità, come nella regola secondo cui i dipendenti degli enti pubblici debbono avere un comportamento "moralmente irreprensibile". Cosa voglia dire "irreprensibile" non lo sa nessuno: certo che l'omosessualità può rientrare ad arbitrio fra i comportmenti "reprensibili".
L'onorevole Rodotà ci ha appena ricordato come negli Stati Uniti il movimento per i diritti civili sia avanzato grazie a processi esemplari, che hanno fatto scalpore e hanno stabilito un precedente. In Italia questa strada non è mai stata praticabile, perché è sempre mancato lo stimolo di leggi da sfidare.
Un alto dirigente del "Fuori!" torinese mi ha detto qualche anno fa (e non stava scherzando): "In Italia ci vorrebbe una bella legge contro l'omosessualità o un'Anita Bryant, così il movimento gay diventerebbe fortissimo".
È un paradosso (perché oggi abbiamo sì un movimento gay debolino, ma fortunatamente nessuna Anita Bryant!), però ha un fondo di verità.
Interrogativi sul futuro
Per chiudere il discorso, vorrei porre alcuni interrogativi sul movimento gay italiano e la situazione attuale.
Di recente ho sentito fare molto chiasso attorno all'ex articolo 28 del codice militare, di cui alcuni di noi hanno chiesto l'abrogazione, senza peraltro inserire la loro richiesta in una riflessione generale sull'esercito, né su quella che è la vita di un omosessuale in un'istituzione così patologicamente antiomosessuale, fallocratica, maschilista ecc.
Nel corso di questa bagarre io ho avuto l'impressione che il nostro movimento gay stesse banalmente cercando di scimmiottare gli americani: "siccome lo fanno loro, dobbiamo farlo anche noi". Senza tener conto di questo nostro secolo di storia così diversa dalla loro, senza tenere conto del fatto che noi abbiamo una tradizione che è esattamente agli antipodi di quella statunitense.
La nostra subalternità al modello "stelle-e-strisce" è un sintomo di sterilità, ma anche di una sfaticataggine (mi si perdoni il termine) imperdonabile. Creare una cultura nuova significa infatti anche studiare, leggere, riflettere; fino ad oggi però la cultura è stata l'ultima preoccupazione del movimento gay, che per risparmiare fatica ha preferito importare "già fatte" da oltreoceano le sue parole d'ordine, per quanto inadeguate.
Ad esempio ho sentito alcuni di noi rivendicare il "diritto" all'adozione per le coppie omosessuali, quando in Italia non sono sicuramente le coppie adottive che mancano: ce ne sono dieci per ogni bambino in stato di adottabilità.
È davvero possibile che noi siamo così stupidi da non sapere che l'adozione non è mai stata un diritto per nessun adulto, né etero né omosessuale? Io stento a crederlo. L'adozione è un diritto del bambino ad avere una famiglia che lo segua e lo curi: è un diritto civile del bambino, non dell' adulto.
In America, dove quello di "foster parent" è un mestiere come un altro, può avere senso protestare: lì si tratta soprattutto di una questione di discriminazione sul posto di lavoro.
Ma finché l'adozione sarà un diritto del bambino e non un'occasione di lavoro per l'adulto, io mi opporrò all'idea di considerarla come un "diritto" dei gay. Fino a quando la coppia omosessuale sarà bersaglio di preconcetti e di uno stigma sociale, non avrà senso il rifilare a un bambino abbandonato, che ha già avuto per conto suo una collezione di traumi non indifferente, l'ulteriore problema di essere "il figlio dei culattoni".
Quanta leggerezza e quanta mancanza di serietà stia alla base di proposte come questa lo rivela il fatto che quando gli americani parlano di "coppia gay" parlano di una realtà di cui hanno discusso senza remore per dieci anni, consacrandole almeno due voluminosi studi sociologici. Da noi invece la coppia è ancora vista come un "residuo patriarcale e borghese", e molti militanti dell'Arci-gay (spesso quegli stessi che chiedono l'adozione!) parlano ancora della distruzione della coppia come di un obiettivo politico importante.
Proposte di questo tenore servono insomma solo a nascondere i problemi autentici che già esistono: ad esempio quello della custodia o del diritto di visita dei figli in caso di divorzio, quando uno dei genitori sia omosessuale. Esiste già almeno un precedente, di cui hanno parlato i giornali qualche anno fa, di una madre lesbica che si è vista negare la custodia dei figli proprio perché era lesbica. Adesso poi che esiste la scusa dell' Aids la questione rischia di diventare drammatica: a me è già capitato, durante una conferenza su questo argomento, che una signora mi chiedesse se esisteva una scappatoia legale per impedire all'ex-marito (omosessuale) di vedere la loro figlia, "perché le potrebbe attaccare l'Aids".
C'è la questione dell'accesso all'inseminazione artificiale per chi non fa parte di una coppia sposata, ad esempio una lesbica.
Esistono i problemi delle convivenze di fatto, che in nessun modo sono riconosciute dalla legge. Come pensano i nostri sventatelli di proporre l'adozione da parte di una coppia di omosessuali, se poi da un punto di vista legale tale coppia non esiste?
Cominciamo col discutere del riconoscimento delle convivenze di fatto, ai pargoletti penseremo in un secondo momento. Se proprio si sente un grande vuoto nella propria vita, esiste la soluzione dell'affido, che per la legge italiana può essere fatto anche da un individuo singolo. Non si riescono mai a trovare affidatari in numero sufficiente, perché in Italia tutti vogliono possedere il bambino.
Ecco, qui i gay potrebbero sfruttare il loro "handicap" momentaneo trasformandolo in un vantaggio, in modo da proporsi come "avanguardia" verso una cultura dell'infanzia che sia per l'infanzia, e non creata per titillare gli egoismi dell'adulto.
Conclusione
La conclusione che vorrei trarre dal mio discorso è questa. Non facciamoci illusioni sul fatto che le difficoltà di rapporto tra omosessuali e Stato nascano da un'arretratezza culturale del solo Stato. L'arretratezza culturale dello Stato c'è ed è enorme, ma non è questo il solo punto della questione.
Il fatto è che il "patto non scritto" stilato nell'Ottocento ha, come tutti i patti, più di un contraente: da una parte c'è sì lo Stato, ma dall'altra ci sono pur sempre gli omosessuali. In virtù di quel patto gli omosessuali italiani hanno perso qualcosa, ma hanno anche guadagnato. E a questo "guadagno" sono comprensibilmente (ma a volte ottusamente) attaccati. Eppure se si vogliono rimescolare le carte, bisogna anche tenere conto che non sempre è possibile avere la botte piena e la moglie ubriaca.
Oggi abbiamo un movimento gay, anche un Arci-gay, in cui la pratica della furbizia, del piccolo cabotaggio e dell'ipocrisia è tutt'altro che sparita. Abbiamo dirigenti nazionali dell'Arci-gay che non hanno il coraggio di ammettere di essere omosessuali, che continuano a gabellare la vecchia storia secondo cui l'omosessualità non esiste ed è solo un'invenzione del Potere, ma che al tempo stesso rivendicano il riconoscimento di una nuova specificità omosessuale.
Farla finita con queste ridicole schizofrenie, con la cultura rancida che ancora ammorba l'Arci-gay, è la condizione indispensabile per continuare la nostra battaglia. Non possiamo più permetterci il lusso di non capire che se ripetiamo allo Stato che l'"omosessualità non esiste" non solo non gli proponiamo una "provocazione rivoluzionaria", ma non facciamo altro che ripetergli quello che lui ci va dicendo da un secolo e mezzo.
Cambiare è necessario, ma cambiare noi, se vogliamo che anche lo Stato cambi. Non è pensabile che gli omosessuali siano riconosciuti come "soggetto sociale", quando certi militanti dell'Arci-gay non hanno neppure il coraggio di essere riconosciuti come omosessuali. E cosa mai dovrebbe "riconoscere" lo Stato: un'entità metafisica?
Oggi i nostri nemici parlano un linguaggio stranamente simile al nostro. A Milano un assessore alla cultura, Abbagnano, ci ha rifiutato un finanziamento per una rassegna di film dicendo che non voleva incoraggiare la chiusura degli omosessuali in un "ghetto", perché anche gli omosessuali sono cittadini come gli altri, e non ha senso rinchiuderli in una categoria ed in iniziative ghettizzanti e "tutte per loro". E quando è uscita la circolare Ratzinger il mensile cattolico "Madre" ha intitolato il suo commento: "E tu non sei gay ma uomo" (33). Un titolo che non avrebbe sfigurato in una rivista di liberazione omosessuale.
Forse la stretta assonanza fra le più "audaci" teorizzazioni del movimento gay e le più retrive argomentazioni dei nostri avversari non è dovuta all'improvvisa conversione dei nostri nemici in sostenitori.
Forse si tratta di una nostra adesione - non proprio conscia - alla loro visione del mondo.
Non sarebbe il caso di rifletterci sopra?
Giovanni Dall'Orto
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