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Matthew Shepard
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Stati Uniti d’America
McKinney colpevole,
ma niente condanna a morte

Albany, Wyoming – Lo scorso 4 novembre Aaron James McKinney è stato condannato a due ergastoli consecutivi per l’uccisione di Matthew Shepard, lo studente di 21 anni dell’università del Wyoming, pestato il 6 ottobre 1998 e morto dopo cinque giorni di agonia.
Shepard era stato avvicinato in un bar nei pressi dell’università dal ventitreenne Aaron McKinney e dal ventiduenne Russell Henderson, ed era stato ritrovato 18 ore più tardi abbandonato senza conoscenza contro una staccionata con bruciature e ferite su tutto il corpo.
Il processo a carico di Russell Henderson si era concluso il 6 aprile scorso con una condanna a due ergastoli per omicidio di primo grado, sequestro di persona e furto aggravato. Henderson è riuscito ad evitare la pena di morte dichiarandosi colpevole di avere partecipato al pestaggio, ma gettando ogni responsabilità morale sul complice.
Lo scorso 3 novembre la giuria composta da sette uomini e cinque donne aveva riconosciuto McKinney colpevole di omicidio aggravato di primo grado, omicidio di secondo grado, furto aggravato e rapimento, ma aveva respinto la richiesta dell’accusa di ritenere il crimine premeditato.
Il pubblico ministero Cal Rerucha aveva descritto l'azione di McKinney e Russell Henderson come quella di "due lupi che adocchiano un agnello", sottolineando che McKinney uccise Matthew Shepard intenzionalmente e con premeditazione. La difesa ha invece sostenuto che il comportamento dell'imputato fu provocato dal cosiddetto "Gay Panic”, il panico che si sostiene potrebbe avere un eterosessuale oggetto d’attenzioni non volute da parte di un omosessuale. L’assurda tesi del “Gay Panic” è stata ampiamente usata in passato per concedere l’assoluzione o per condannare a pene miti chi si è macchiato di crimini e violenze verso lesbiche e gay, ed anche questa volta è stata avanzata per lo stesso motivo. E’ lo stesso atteggiamento di chi vede nella causa di una violenza sessuale ai danni di una donna, l’atteggiamento o l’abbigliamento di quest’ultima, la vittima diventa il colpevole, il giovane ragazzo omosessuale che si ritrova a pagare per qualcosa che è stato unicamente causato dal suo comportamento.
Anche il giudice John Voigt ha sollevato riserve sulla tattica della difesa, decidendo di non ritenere ammissibile il concetto del “gay panic”, ma l'avvocato della difesa Dion Custis ha negato di avere mai usato il termine "gay panic", che è stato invece ampiamente usato dai media. David Smith, portavoce dell’organizzazione Human Rights Campaign, ha affermato di ritenere “spregevole” le tattiche della difesa, basate su un forte pregiudizio anti-omosessuale, e aggiungendo che "sarebbe meglio definirle dare la colpa alla vittima".
Nel cercare attenuanti che evitassero la pena capitale, la difesa ha anche sostenuto che McKinney fosse in stato di ubriachezza e sotto l’effetto di stupefacenti, ma la ragazza di Henderson, Chasity Pasley, che deve rispondere dell’accusa di favoreggiamento, ha testimoniato che nonostante Henderson ed Aaron McKinney facessero frequente uso di droghe e bevessero parecchio, McKinney non sembrava essere sotto l'effetto di stupefacenti la notte dell'aggressione.
Nonostante i tentativi della difesa e anche a causa del rifiuto delle maggiori organizzazioni omosessuali americane di prendere una posizione chiara di condanna alla pena capitale, quella di vedere McKinney condannato a morte rimaneva una possibilità reale, ma in una dimostrazione di grande civiltà, i genitori di Matthew Shepard hanno chiesto che gli fosse risparmiata la vita. In cambio McKinney si vede negata la possibilità di ricorrere in appello e di vedere diminuiti per buona condotta i due ergastoli ricevuti.
“Signor McKinney, sto per accordargli il diritto alla vita, sebbene per me sia così difficile a causa di Matthew.” ha dichiarato il padre di Matthew, Dennis Shepard, “Ogni volta che celebrerà il natale, un compleanno o il quattro di luglio, si ricordi che Matthew non c’è più. Ogni volta che si sveglierà in quella cella in carcere, si ricordi di avere avuto l’opportunità e le capacità di fermarsi, quella sera”.
Parlando con i giornalisti a seguito della sentenza, Dennis Shepard ha colto l’occasione per ringraziare il giudice distrettuale Barton Voigt per avere rifiutato la tesi del “panico gay” avanzata dalla difesa, “prendendo quella decisione, ha sottolineato che Matthew era un essere umano con tutti i diritti, le responsabilità ed il diritto ad essere tutelato, di ogni altro cittadino del Wyoming”.
Dennis Shepard ha quindi aggiunto che il processo è stato l’occasione per lanciare un segnale forte al paese contro i “crimini dell’odio” (Hate Crimes). Nonostante i crimini comuni siano in calo in tutto il paese, i crimini dell’odio provocati dall'orientamento sessuale sono cresciuti dell'8% nel 1997, secondo gli ultimi dati dell'FBI, e l'orientamento sessuale risulta la terza grande categoria (14%) di "hate crimes" dopo razza e religione. Attualmente questo genere di crimini è contrastato da un mosaico di leggi che offrono ai cittadini vari livelli di protezione a seconda dello stato dove vivono; 21 stati più il Distretto di Columbia hanno una legislazione sugli "hate crimes" che include anche l'orientamento sessuale, altri 21 stati non lo includono e altri 8 stati non hanno nemmeno una legge contro gli "hate crimes".
Mentre i media e il mondo politico si sono occupati ampiamente di casi come quello di Shepard, la violenza verso lesbiche, gay e transessuali è molto più comune di quello che si potrebbe pensare. Uno studio reso pubblico nell'agosto del 1998 suggerisce ad esempio che le violenze contro studenti e studentesse omosessuali e transessuali sono molto comuni negli Stati Uniti; secondo lo studio, un quarto degli studenti che ha risposto alle domande ha ammesso di avere molestato verbalmente o fisicamente qualcuno ritenenuto omosessuale. Nell'ottobre del 1998, un sondaggio condotto dalla CNN e dal Time a seguito della morte di Matthew Shepard ha rivelato che il 75% degli americani riteneva che la violenza contro gli omosessuali fosse un problema grave ed il 68% riteneva che potesse accadere un fatto simile nella propria località.
Alla conclusione del processo, non resta che constatare che di fronte al caso che ha visto Matthew Shepard diventare suo malgrado un simbolo della richiesta delle organizzazioni per i diritti umani americane per leggi che proteggano gli e le omosessuali da violenze e discriminazioni, restano impuniti e nel silenzio ancora troppi crimini e troppe violenze… anche in Italia, nonostante sia finalmente in discussione una legge che protegga da ogni discriminazione basata sull’orientamento sessuale.

Luca Balboni
Articolo pubblicato in esclusiva sull'ultimo numero di
Pride&Guide


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