III
Dialogo: Aretino, Franco.
- A. Dunque, ser Franco, il Papa fé davvero?
- F. Cazzo! lui mi fé porre il laccio al collo,
- e sù le forche dar l'ultimo crollo.
- A. La Poesia?...
- F. La non mi valse un zero!
- Anzi, lei mi fu il boia.
- A. A dirti il vero,
- mai ti vedesti di dir mal satollo.
- F. Il cancaro che ti mangi, e chi pensollo!
- Fu il non saper mostrar per bianco il nero.
- A. Diceasi in Roma, che eri mal Cristiano;
- intesi non so che di Sodomia...
- F. Becco cornuto, tu sei l'Aretino!
- Bardascia, bugerone, luterano,
- ch'hai più corna che compar Cristino!
- A. Menti! F. Mento? il mal'anno che Dio ti dia!
È palesemente impossibile attribuire a Pietro Aretino (1492-1556) questo sonetto, che parla dell'impiccagione ("il Papa
mi fé porre il laccio al collo") di Nicolò Franco (1516-1570), avvenuta ben quattro anni dopo la morte del "divino Aretino". Non ha quindi nessuna base la sua inclusione nella miscellanea edita come "secondo libro" dei Sonetti lussuriosi dell'Aretino dal Progetto Manuzio, col titolo: Altri sonetti lussuriosi.
La composizione, affine per spirito a una pasquinata, mette in scena una rissa nell'Aldilà fra due arci-nemici in Terra, gli scrittori Aretino e Franco, appunto.
Franco, che si direbbe appena arrivato nell'Oltretomba, rivela d'esser stato impiccato per colpa delle sue poesie irrispettose. Aretino insinua che però stranamente esse non si rivolsero mai contro chi gli riempiva la pancia. Franco protesta di esser stato invece giustiziato perché incapace di raccontare bugie. Eppure, ribatte ancora l'Aretino, a Roma si diceva che eri un cattivo cristiano, per non citare poi certe voci che ti dicevano sodomita
A questa accusa Franco riconosce il nemico e lo insulta dandogli del sodomita passivo (bardascia) e attivo (buggerone) oltre che dell'arci-cornuto. Il sonetto si conclude bruscamente con due rapidi insulti.
IV
- Morendo su le forche, un Ascolano,
- qual era avvezzo a scaricar la foia,
- vide, torcendo il capo, il culo al boia,
- che li facea su 'l collo un ballo strano.
- Subitamente, o fragil senso umano!
- il cazzo se gli arrizza, ancor che moia;
- ma non se 'l mena già, che gli da noia
- l'aver legata l'una e l'altra mano.
- Così all'inferno, a cazzo ritto è andato,
- e al Nemico, in vece di saluto,
- dentro del negro cul l'ebbe ficcato;
- poi ringraziollo e disse: - O Pluto,
- tu hai le corna ed io ti ho buggerato;
- dunque ti posso dir becco fottuto.
1 Morì... Ascolano, una persona di Ascoli morì impiccata. Questo sonetto potrebbe essere stato scritto in occasione dell'esecuzione capitale (a Roma?) di un sodomita di quella città. 2 Qual.. foia, il quale sfogò sempre la sua libidine nel didietro. 3 Vidd'il.. boia, vide il didietro del boia. 4 Che... strano, il significato mi è oscuro; forse: "mentre (l'impiccato) faceva un ballo strano all'altezza del collo del boia".
6-8 Segli... mano, gli si rizza nonostante egli stia morendo, né può masturbarsi perché glielo impedisce il fatto di avere legata sia l'una che l'altra mano.
11 L'ebbe ficcato, glielo ficcò. Le concordanze dei verbi in questo sonetto sono alquanto eterodosse.
12 Pluto: Plutone, la divinità che per gli antichi pagani regnava sull'Aldilà, qui assimilata cristianamente a un diavolo (e per questo rappresentata con le corna). 13 Buggerato, sodomizzato. 14 Becco fottuto: tipico insulto dell'epoca, che valeva un: "cornuto e fottuto".
Il finale ha numerosi paralleli e precedenti, fin dalla composizione tardolatina di Luxorio (sec. V) in: Anthologia latina, (edizione Riese), Teubner, Leipzig 1906, p. 296.
Il parallelo più vicino è in una pasquinata in latino per la morte di Pier Luigi Farnese (1503-1547) (in: Alessandro Luzio: Un pronostico satirico di Pietro Aretino (1543), Istituto di arti grafiche, Bergamo 1900, p. 153): anche qui protagonista è Plutone, che teme per le sue natiche: (vis dicam? Ex italis stygias uti venit ad horas,/ incoepit natibus Pluto timere suis).
Situazione simile abbiamo anche in Francesco Ruspoli (1579-1625) nei: Sonetti editi e inediti, Fava e Gargnini, Bologna 1876, pp. 8-9 (qui gli stessi diavoli paventano l'arrivo di un maestro di scuola).
Ancora nel XVIII secolo un epigono della tradizione libertina, Giorgio Baffo (1694-1768), dedica una composizione ("L'inferno spaventà da Padre Lodoli") a descrivere lo sconcerto dei diavoli all'arrivo all'inferno di un sodomita.
Abbiamo così un altro esempio della capacità di persistenza nei secoli di temi giocosi della tradizione libertina.